Famiglie costrette a scegliere

La sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, a fronte dell’attuale emergenza sanitaria, sollecita alcune considerazioni in merito all’impatto che la stessa avrà sul tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, in particolare per le madri lavoratrici tra i 25 e 49 anni con figli in età prescolare che, come segnalato dal recente Rapporto Istat 2018,[1] sono da considerare la categoria con le maggiori difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare.

La sospensione del sistema educativo si innesta, del resto, su un contesto sociale ancora intriso di una visione di genere dei compiti di cura, generando il timore che le madri lavoratrici, impegnate a tempo pieno nella gestione dei figli minori, possano rinunciare al lavoro retribuito. È noto, scrive la giurisprudenza, che “sulla base del senso comune e della comune esperienza (…) le lavoratrici-madri, specialmente se con figli in età da scuola dell’infanzia, materna o primaria, si trovino frequentemente a dover far fronte a impellenti e imprevedibili esigenze connesse all’accudimento della prole”.[2]

La direttiva europea in materia di equilibro familiare e attività lavorativa, approvata il 20 giugno 2019, la definisce “propensione” al materno delle donne lavoratrici che “quando hanno figli (…) sono propense a dedicare meno ore al lavoro retribuito e a dedicare più tempo all’adempimento di responsabilità di assistenza non retribuite”.

In tal senso, l’idea, ancora profondamente radicata, che sia la madre lavoratrice figura di riferimento del nucleo familiare, colei a cui è naturalmente assegnata la cura della prole, si staglia ora sulla chiusura sine die dei servizi scolastici con probabili ricadute sulla tenuta della partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Sembra, pertanto, necessario chiedersi se sia possibile progettare e programmare una ripresa dell’economia, senza considerare una riapertura dei servizi scolastici al fine di ritrovare un equilibrio tra attività lavorativa e impegni familiari.

Del resto appare evidente che il confinamento dentro le abitazioni impone un impegno di cura e di assistenza che rende complessa la continuità della attività lavorativa sia all’interno, in modalità smart-working, sia all’esterno delle medesime, essendo venuta meno l’assistenza dei cosiddetti caregiver rivolta ai minori che, nella nostra cultura, sono prevalentemente i nonni, e più in generale i familiari.

Le misure approvate dal governo si sono occupate soltanto parzialmente delle criticità sollevate; o meglio, pur tenendo conto dei bisogni di assistenza, coprono, se pure con le distinzioni che seguono, soltanto in misura marginale il periodo di chiusura del sistema scolastico di cui, a oggi, non è stato fissato un termine di riapertura.

Al riguardo, il decreto legge “Cura Italia”[3] ha introdotto per i genitori di figli minori, qualora lavoratori subordinati, autonomi e/o collaboratori uno specifico congedo di quindici giorni continuativi o frazionati. Entrambi i genitori devono essere impegnati in un’attività lavorativa e non devono aver scelto di accedere alla corresponsione di un bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting da utilizzare per prestazioni da effettuare nel medesimo periodo.

L’intervento può essere così sintetizzato

  • i lavoratori subordinati, possono fruire del congedo “straordinario” qualora genitori di figli minori di età fino ai dodici anni con l’erogazione di una indennità pari al 50% del trattamento economico percepito;
  • il limite di l’età non costituisce più condizione per l’accesso al congedo “straordinario”, quando si è genitori di figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi della nota legge 140/1992, iscritti a scuole di ogni ordine e grado o ospitati in centri diurni a carattere assistenziale;
  • lo stesso congedo e alle medesime condizioni spetta ai genitori iscritti in via esclusiva alla gestione separata (collaboratori) e ai lavoratori autonomi iscritti all’Inps, salvo un diverso calcolo dell’indennità;
  • un ulteriore congedo, senza corresponsione di una indennità è previsto per i genitori con figli fino a sedici anni, anche al fine di non incorrere nel reato di abbandono di cui all’art. 591 c.p., senza limiti temporali;
  • per i lavoratori alle dipendenze della pubblica amministrazione è prevista la fruizione del congedo parentale per tutto il periodo di sospensione dei servizi di istruzione e didattica ai quali verrà erogata una indennità pari a quella prevista per i lavoratori dipendenti del settore privato.

In alternativa, i genitori lavoratori possono accedere al bonus per babysitting, ma la somma complessiva prevista (fino a seicento euro), sembra coprire soltanto parzialmente le spese, tenuto conto della retribuzione dei lavoratori che svolgono assistenza familiare domiciliare.

Le misure adottate, dunque, da un lato soffrono una regolamentazione del lavoro ancora prevalentemente volta a tutelare il lavoro subordinato, ancor di più se alle dipendenze della pubblica amministrazione, dall’altro non corrispondono in termini di “tempo” al periodo previsto per la chiusura del sistema scolastico.

Si potrebbe sostenere che le famiglie possano accedere agli strumenti ordinari, ad esempio il congedo parentale (d.lgs. n. 151 del 2001 e l. n. 81  del 2017); tuttavia non si esclude che il periodo temporale sia già stato in passato interamente fruito dai genitori e che, dunque, non si possa ricorrere ad altri strumenti.

In ogni caso, anche a voler estendere quelle misure fino a ora adottate per un ulteriore periodo, quel solo tipo di intervento può considerarsi sufficiente?

Appare utile riflettere su una questione urgente e fondamentale.

Il tema dell’occupazione è senz’altro trasversale e non riguarderà solo le donne.

Tuttavia, occorre considerare che le nuove abitudini dettate dall’emergenza sanitaria, in cui probabilmente l’altro genitore si è trovato a essere maggiormente coinvolto nei compiti di cura, non necessariamente porteranno alla stabilizzazione di un nuovo modello culturale.

Come garantire, in assenza della scuola, la ripresa delle attività economiche che si avvarrà dell’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori?

È evidente che molte famiglie si troveranno costrette a scegliere e, in qualche modo, a riproporre una suddivisione di ruoli precostituiti e consolidati per far fronte alle esigenze di accudimento della prole. Questa scelta ricadrà probabilmente sulla madre lavoratrice che, in considerazione dei dati prima citati, è considerata “meno” rilevante sul piano della partecipazione, in termini retribuitivi, al bilancio familiare. Di conseguenza non si esclude affatto che la composizione del mercato del lavoro in futuro possa risentire di una riduzione della componente femminile con importanti ricadute sull’effettiva attuazione delle politiche di genere.

Si potrebbe allora guardare con forza, come sembra si stia adoperando in questi giorni il Ministero dell’Istruzione, all’esperienza tedesca e a quella inglese che hanno previsto di tenere aperte le scuole per tutti i genitori lavoratori che non hanno la possibilità di assistere i figli minori, misura che dovrebbe essere considerata anche dal nostro governo, se non per tutti, almeno per coloro che sono impiegati nelle attività definite come essenziali.

Così come si potrebbe considerare la possibilità di verificare quali attività lavorative possano continuare a essere svolte da remoto, in tal senso limitando mobilità e assembramenti considerati rischiosi. Si pensi, a titolo esemplificativo, a tutte quelle prestazioni amministrative non a contatto con il pubblico che riversano negli uffici centinaia di lavoratori.

In altri termini, appare utile considerare la possibilità di bilanciare e destinare le misure per evitare occasioni di pericolosi raggruppamenti, senza indirizzarle soltanto sulla scuola che appare, invece, la leva per la ripresa economica.

La continuità scolastica di ogni ordine e grado rappresenta oggi non soltanto un elemento essenziale del sistema educativo, ma anche lo strumento fondamentale per l’avvenire economico che, in assenza di interventi diversi, con qualche certezza, si priverebbe dell’apporto fondamentale della partecipazione femminile.

Riferimenti

Rapporto Istat Bes 2018

D. Gottardi, a cura di, La conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Il rinnovato TU n. 151/2001 ai sensi del dlgs 80/2015, Giappichelli, 2016

D. Gottardi, L’isola della maternità. Donne lavoratrici di fronte all’esperienza dell’essere madri, Franco Angeli, 2015

Note

[1] Rapporto Istat sul Benessere Equo e Sostenibile (Bes) 2018

[2] Trib. Firenze, 22 ottobre 2019

[3] approvato il 17 marzo 2020, n. 18

Micaela Vitalietti

30/4/2020 http://www.ingenere.it

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