Gaza, le chiacchere isteriche e patetiche dell’Europa

La scelta finale che Israele sta perseguendo per Gaza resta un rompicapo per il “dopo”. Una volta eliminata Hamas (posto che sia possibile) cosa si intende fare per risolvere la questione palestinese? E l’Europa, ancor più che gli Usa, è parte in causa, tanto più avendo opzionato l’appoggio incondizionato a Israele.

Gaza, la soluzione finale le chiacchere dell’Europa.

Se Hamas sta usando la popolazione civile di Gaza come ostaggio bisogna dire che Netanyahu ha preso la palla al balzo, sterminandone il maggior numero possibile. Calcolo osceno, ma calcolo.

Infatti è del tutto razionale che Israele cerchi di garantire la sua sicurezza liquidando Gaza come tale. Del resto Israele, formazione statale giovane e ‘tardiva’, è da tempo entrata nella fase matura della costruzione statal-nazionale. Che comprende: estensione territoriale (annessionismo e stabilizzazione dei confini), rafforzamento ideologico e omogeneizzazione etnico-culturale (eliminazione dei corpi anomali, cioè insediamenti e culture forali).

Processi altrove durati per lunghe epoche e culminati in Italia nel fascismo (che fu una particolare prosecuzione del risorgimento). Anche una volta eliminata Hamas (posto che sia possibile tale operazione chirurgica, a meno non siano così stupidi e altruisti da trasferirsi nel Sinai per farsi bombardare al netto dei civili) è del tutto evidente che la brulicante gabbia di Gaza sarà sempre fertile di nuove e ancor più radicali minacce.

Più estese sono le distruzioni (e già il livello raggiunto è enorme) più Gaza diventerà un territorio inabitabile. La soluzione finale che Israele sta perseguendo, con tutto il tempo che richiederà e a costo di sofferenze sempre più gravi.

Se il prius fatto proprio dall’Europa e dal blocco neuro-atlantico è la ‘sicurezza di Israele (la ragion di Stato israeliana fatta coincidere con quella europea, seguendo l’adagio di Schultz) e se un qualche refolo di pudica sincerità è contenuto nella ‘misura’ umanitaria entro cui lo scopo dovrebbe essere perseguito, allora bisognerebbe che l’Europa si assumesse il costo dell’operazione.

Prendendosi in carico direttamente larga parte della popolazione di Gaza, accogliendola entro i propri confini con tanto di progetto integrativo quale inerisce al diritto d’asilo (come la Merkel fece a suo tempo con due milioni di siriani).

In alternativa potrebbe garantirne sine die il mantenimento ai margini degli stati arabi, finanziando lautamente le autocrazie che li guidano, Una pratica di sostegno già ampiamente sperimentata a proposito delle migrazioni. Che però cozza contro la reticenza degli stati arabi che non hanno giustamente alcuna intenzione di prendersi in carico la sicurezza di Israele e il costo dell’evacuazione di Gaza.

Infine resterebbe sempre la possibilità che l’Europa si assuma in proprio il ‘protettorato’ di Gaza, magari in concorso con gli emirati.
Ipotesi bizzarra e improbabile, seppure ventilata da alcuni, ma anch’essa emblematica, come le altre, del punctum dolens: fare propria la ragion di Stato di Israele significa prendersi in carico la ‘questione palestinese’. In una nemesi singolare quanto spettacolare.

Accogliere nel proprio seno i profughi palestinesi (e una più generale questione islamica) dopo aver sospinto i profughi ebrei da essa stessa perseguitati a farsi uno stato a casa dei palestinesi (dando soluzione alla ‘questione ebraica).

Anche a proposito dell’altro refrain l’Europa dovrebbe dismettere le giaculatorie. Rivendicata la ‘ragion di Stato’ di Israele è infatti consuetudine evocare a compendio la soluzione ‘politica’ pacificatrice: due popoli, due stati. Ma dove diamine dovrebbe essere ricavato il luogo dello stato palestinese?

La Cisgiordania è di fatto stata espropriata ai nativi attraverso una colonizzazione dispiegata ad opera di contadini ebrei armati e sostenuti dai militari, con uno stillicidio di violenze del tutto analogo a quello che gli ebrei (e le loro proprietà) subirono in Europa.

Se la Cisgiordania è l’unico territorio possibile di uno Stato palestinese allora esso dovrebbe essere de-colonizzato, espellendo le centinaia di migliaia di ebrei, se non milioni, ivi abusivamente alloggiati. Se le parole hanno un senso e non sono un futile perditempo allora questo problema dovrebbe essere sollevato con tutta la forza del caso.

Farsi cioè carico dell’esproprio degli espropriatori e del ri-trasferimento del popolo degli invasori sionisti. Due stati/due popoli è inconcepibile senza una ricollocazione nello spazio delle popolazioni. In qualche modo analogo a quanto accadde in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale con la ridefinizione di molti confini nazionali.

Si pensi al caso dei milioni di tedeschi insediati nella Prussia orientale (restituita alla Polonia) e nell’Est europeo. O all’esodo di turchi e greci dislocati fuori del territorio neo-statale post-ottomano. Ferite ancora aperte e riacutizzatesi nel caso cipriota.

Resta infine da prendere in considerazione un ultimo rompicapo: come risolvere il problema della rappresentanza palestinese, una volta emessa la fatwa contro Hamas e acquisita l’inconsistenza di Al Fatah? Non mancano alcuni (ad esempio Occhetto) che invitano a ‘inventarsi’ un Mandela palestinese prelevato dalle carceri israeliani.

In effetti fra il Sud-Africa dell’apartheid e Israele ci sono molte somiglianze essendo che anche il regime di Pretoria, esattamente come Israele, era una democrazia autoritaria fondata sull’apartheid etnica. Però in Sud-Africa la questione era eminentemente razziale e non aveva nè implicazioni religiose nè territoriali.

Fare di Israele e Palestina un unico stato a base multietnica e multireligiosa, cioè laico e a-confessionale, democratico e con pari cittadinanza, proprio come il Sud Africa uscito dall’apartheid, come proposto ad esempio da Moni Ovadia, sarebbe l’optimum. Per quanto irrealistico come i sogni.

E comunque inventarsi a tavolino un Mandela palestinese da fare entrare in scena a baionette disinnestate, mi sembra quanto di più irenicamente bizzarro si possa immaginare.

Come che sia l’Europa, ancor più che gli Usa, è parte in causa, tanto più avendo opzionato l’appoggio incondizionato a Israele. Con l’obbligo che ne segue di fare/trovare soluzioni, prendendosi in carico tutti i costi che ne derivano.

Fausto Anderlini

3/11/2023 https://www.kulturjam.it/

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