Il Polo bellico a Torino

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  • Questa intervista rappresenta la continuazione dell’inserto sul polo bellico a Torino, definito dai promotori e dai grandi media “Polo aereospaziale. che abbiamo pubblicato in allegato al numero di Lavoro e Salute di novembre.
  • In questa pagina, una premessa dell’intervistato e dalla seguente le domande – le stesse fatte agli intervistati nell’inserto – e le risposte di Enzo Ferrara del Centro studi Sereno Regis di Torino. (Redazione)

di Enzo ferrara

Sul sito Internet del Centro Studi Sereno Regis, Elena Camino, in un articolo su Aerospazio e difesa a Torino, ha riassunto la nostra prospettiva sulla Cittadella dell’Aerospazio utilizzando (e ragionandoci su) il binomio ‘prospettive dirompenti’ scelto come slogan dai fautori di quella che sarà una vera e propria fiera delle armi. Il mercato di sistemi d’arma a porte chiuse che si è svolto dal 28 al 30 novembre, presso la sede del Centro fieristico Lingotto Fiere Torino è denominato Aerospace & Defence Meetings (A&DM). Non meeting quindi – come sarebbe un appuntamento collettivo condiviso e partecipato – ma meetings al plurale, perché si tratterà perlopiù di incontri bilaterali di compravendita, non di sessioni di dibattito plenarie come sembrerebbe suggerire l’informazione propagandistica che attornia l’evento. Più di 1.600 partecipanti, provenienti da 30 Paesi, in rappresentanza di 650 Compagnie, Aziende (fra le quali 5 Multinazionali di rilevanza globale: Leonardo, Avio Aero, Collins Aerospace, Thales Alenia Space, e ALTEC) e rappresentanti di istituzioni hanno sfruttato l’opportunità loro offerta da una “associazione senza scopo di lucro” – come si definisce il Distretto Aerospaziale Piemontese (DAP) – al riparo da sguardi indiscreti (non è ammesso l’ingresso al pubblico durante i giorni dei meetings) per sfruttare “un portafoglio completo di competenze e qualifiche; aziende manifatturiere, di processo e di servizi di alto livello; cooperazione con le università e con la rete di ricerca e sviluppo; prodotti unici e know-how ingegneristico; sistemi di istruzione e formazione, e una catena di fornitura organizzata” sui sistemi d’arma, il loro sviluppo tecnologico, l’uso e la compravendita.

Secondo gli organizzatori, l’innovazione “… che gioca un ruolo chiave nel contribuire al benessere delle persone e del Pianeta nel lungo periodo, guida il progresso tecnologico ed è al centro del progetto (per esempio) di sostenibilità di Leonardo per la società, sarà garantita investendo su tecnologie disruptive e indirizzando lo sviluppo tecnologico verso il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030, fra i quali la digitalizzazione è uno degli elementi fondanti del Piano di Sostenibilità, trasversale a tutte le aree”.

Riprendo il ragionamento di Elena Camino per osservare che molte delle parole profuse dai siti delle Compagnie coinvolte vengono usate con disinvoltura in ambiti molto diversi: benessere, progresso, sostenibilità, digitalizzazione fanno parte del lessico corrente, al quale ricorrono istituzioni, aziende, personaggi politici, giornalisti, senza troppo preoccuparsi di chiarirne le diverse sfumature di significato. L’uso disinvolto, e talvolta spregiudicato di queste parole rende difficile farne oggetto di riflessione e utilizzarle per un dibattito serio. Tra le parole di più recente acquisizione compare l’aggettivo ‘disruptive’: usato in origine in ambito militare ed entrato agevolmente nei discorsi, al punto che lo si usa direttamente nella sua versione inglese. La traduzione italiana, ‘dirompente’, associa sia un significato letterale: che scoppia con violenza, sia uno figurato: travolgente, trascinante, irruente, impetuoso. Tra le attività che vedono impegnati molti dei partecipanti che si incontreranno a Torino in occasione degli A&D Meetings avranno a che fare con programmi e iniziative indirizzate a promuovere la progettazione, la costruzione e la compravendita di prodotti e tecnologie potenti, violente, travolgenti: in una parola, ‘dirompenti’. Sia per il settore che riguarda l’ambito militare, sia per le attività che riguardano l’aerospazio, una delle loro caratteristiche è infatti la loro incontenibilità. E infatti iniziative dirompenti e incontenibili sono spesso progettate e realizzate senza tener conto dei limiti naturali e di risorse, oltre che economiche, che sono sistematicamente superati per la loro realizzazione. Limiti delle materie prime, degli spazi a disposizione, delle risorse energetiche, di una equa distribuzione dei beni primari – ricorda Elena Camino – ma anche delle regole e dei diritti collettivi, del lecito e spesso del buon senso.
Anche per questo come Centro Studi sui problemi della pace, della sostenibilità e della partecipazione, partecipiamo volentieri all’inchiesta di Lavoro e Salute, perché siamo consapevoli di essere sempre più privati della possibilità di scelte democratiche, mentre ci restano le vie dell’informazione (anche se sempre più difficile da rintracciare) le manifestazioni di protesta nonviolenta e l’organizzazione di iniziative pubbliche in grado di riportare il dibattito nelle sedi previste dalla nostra Costituzione.


INTERVISTA A ENZO FERRARA Centro Studi Sereno Regis TorinoDirettore della rivista Medicina Democratica

Les – Dopo un apparente abbandono del progetto di Polo bellico a Torino, questo torna in auge in tono minore ma non meno pericoloso di prima. Pur non citando mai nella documentazione ufficiale il termine “Polo bellico” ma solo e sempre “Polo aerospaziale”, in base al principio del dual use, le aziende coinvolte opereranno tanto in ambito civile quanto militare. Avremo a Torino o in Piemonte un fiorire di produzioni belliche?

E. F. – È difficile dire quanto di reale vi sia dietro questo progetto, bisognerebbe sempre tenere d’occhio gli interessi finanziari internazionali che sono i veri tessitori delle tele che arrivano fino a Torino. Il Piemonte purtroppo ha una tradizione di valorizzazione fuori luogo del militarismo e di quello aeronautico in particolare, basti pensare all’ex arsenale militare della FIAT lungo la Dora, ora diventato l’Arsenale della pace del SERMIG. Il Campo volo Mirafiori di Strada delle cacce fu uno dei primissimi aeroporti militari al mondo, vi prese il brevetto da aviatore anche Francesco Baracca, considerato un asso dell’aviazione italiana durante la prima guerra mondiale. Penso che più che allo sviluppo di stabilimenti produttivi industriali si punti maggiormente a finanziamenti ad hoc da intercettare da parte delle multinazionali del settore e dell’accademia, Politecnico soprattutto, ma anche Università ed Enti di Ricerca che sono sollecitati a offrire un dubbio contributo “scientifico e culturale” a progetti che più che da scienza e cultura sono guidati da profitto e superstizione.

Les – L’argomento principe portato dai sostenitori del Polo bellico/Polo aerospaziale a Torino consiste nella creazione di posti di lavoro, oggi quanto di più necessario. L’idea di avere nuovi posti di lavoro ma destinati alla produzione anche bellica quanto è sostenibile per la tua Organizzazione?

Il Centro Studi Sereno Regis si occupa da sempre di sostenibilità. In termini di occupazione, il settore bellico è fra quelli che offrono un minor ritorno rispetto agli investimenti iniziali, molto più redditizi per la creazione di posti di lavoro sono i campi dell’istruzione, della sanità, dei lavori pubblici. Sappiamo anche che questo modello di sviluppo, legato all’industria bellica, è il meno sostenibile in assoluto, sia in termini di consumo di risorse (alcuni aerei militari consumano migliaia di litri di carburante in poche decine di minuti) sia in termini di sostenibilità sociale. Le derive culturali che associano falsi valori come il patriottismo o la perfezione tecnologica in sé a questo sistema produttivo rischiano di degenerare in altre forme di mistificazione legate alla forza e all’uso della violenza come soluzioni di conflitti interni ed esterni.

Les – Torino ha un grande passato produttivo, quasi interamente dedicato al settore auto che negli ultimi decenni attraversa, diciamo, momenti difficili, se non un declino verticale. Nel settore automotive molte conoscenze tecniche e scientifiche -“know-how”- potrebbero essere preziose per le tecnologie dual use, la conversione di personale altamente qualificato sembra una corsia preferenziale per il reperimento. Non avremmo in questo caso un vero incremento dei posti di lavoro ma un semplice trasferimento di lavoratori da un ambito produttivo ad un altro. Di conseguenza le cifre declamante dai sostenitori del Polo bellico/Polo aerospaziale devono essere riviste al ribasso. Concordi su questa affermazione?

E. F. – L’industria piemontese, orfana degli Agnelli e della loro rete di potere vigente fin dai tempi della Società Navale Italo Americana, la SNIA (anch’essa interessata in passato al polo bellico di Colleferro nel Lazio) fondata a inizio Novecento con la famiglia Gualino, continua da troppo tempo a cercare soluzioni che la riportino alle dimensioni e alle rendite del passato. Ma quelle dimensioni sono oggi riproponibili solo riportandoci alla stessa logica di sfruttamento di maestranze e territori che causarono lo scontro sociale e la sconfitta del sindacato e che diedero avvio al declino a cui fa cenno la domanda. Io non credo che possa esservi nemmeno il semplice trasferimento (se non in termini puramente numerici) dei lavoratori, perché sono diverse le competenze e le generazioni potenzialmente interessate.

La questione di valorizzazione del civile nel dual use inoltre dovrebbe essere definita al livello nazionale: le risorse e le potenze necessarie per gli sviluppi delle tecnologie belliche possono trovare sbocchi anche nel settore civile solo se accompagnate da un grande piano nazionale di produzione industriale associata, come per l’Airbus europeo nel settore aerospaziale, che ha prodotto benefici per esempio in Spagna e in Francia. Ma in Italia non abbiamo nemmeno più una compagnia aerea di bandiera. Sulla credibilità dell’incremento di occupati, è un’ipotesi remota che non vale nemmeno per il Distretto Aerospaziale Piemonte – DAP. In modo piuttosto spudorato il DAP si propone e si dichiara nel suo sito non come un progetto industriale con tutti i canoni ma addirittura come associazione senza scopo di lucro – al pari di una onlus insomma, che non è una gran premessa per un progetto di ricaduta occupazionale su larga scala – quando è a tutti gli effetti una lobby a tutela degli interessi dell’industria militare.

LeS – Il progetto nasce sotto l’auspicio NATO del progetto D.I.A.N.A. (Defense Innovation Accelerator for the North Atlantic) con tanto di dotazione di un fondo (Nato Innovation) Fund con corredo di 1 miliardo di Euro. Diviene difficile sostenere che il dual use non finisca per avere una netta prevalenza bellica sul civile. Questi ambiti non sono molto conosciuti, hai notizie fresche in merito?

E. F. – Ma sono questioni militari, quindi strategiche: non sarà mai possibile avere contezza e chiarezza su queste dinamiche. Oltretutto spero sia chiaro che il polo torinese non sarà mail il centro del progetto D.I.A.N.A. ma sempre e solo un vassallo, un corollario. La mente organizzativa e le conoscenze di base resteranno saldamente in mano anglosassoni, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, sempre per questioni strategiche.

LeS – Produrre auto e camion oppure aerei militari o svariate e innovative tecnologie belliche è davvero la stessa cosa da un punto etico? Secondo te, quanto deve o può pesare l’etica nell’ambito del lavoro?

E. F. – È chiaro che non è la stessa cosa sviluppare un motore per un camion o per un carro armato, anche solo dal punto di vista delle potenze energetiche e della resistenza dei materiali da mettere in gioco. Tuttavia, la scelta etica – purché nell’ambito di quanto afferma la Costituzione – è personale. Non si intende forzare nessuno a fare scelte etiche, perché ci sono da considerare anche i bisogni di chi magari non ha altre occasioni di impiego.

Inoltre, occorre garantire le condizioni affinché sia disponibile ogni informazione sui committenti e sull’uso di quelle produzioni e sia anche possibile per i lavoratori evitare ogni forma di ricatto che li costringa a rimanere in produzione anche se ciò è contrario ai loro principi etici.

LeS – Il Politecnico di Torino è uno dei partner principali del progetto. Il movimento degli studenti del Poli ha in più occasioni affermato che l’Istituto deve rimanere estraneo alle tecnologie dual use, anche con manifestazioni molto partecipate. Esiste, secondo te, il rischio che l’istruzione (in questo caso nelle sue massime espressioni) divenga funzionale alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie innovative che possano anche essere utilizzate in ambito bellico; insomma: si vuole militarizzare l’istruzione?

E. F. – È esattamente quanto sta accadendo, si stanno militarizzando l’istruzione, la ricerca scientifica e anche la cultura, penso al Comitato per la Cultura della difesa voluto dal Ministro Guido Crosetto – sarebbe interessante recuperare la bibliografia di riferimento di tanta dotta sapienza. Purtroppo non si tratta di novità, accade in questa dimensione dai tempi del progetto Manhattan; il settore dell’energia nucleare è quello in cui più di tutti, dal secondo dopoguerra, si assiste a questo fenomeno di militarizzazione di conoscenze e al bluff del dual use quando è noto il fallimento economico delle centrali nucleari per la produzione elettrica e l’inconsistenza epocale della ricerca sulla fusione nucleare, sempre per presunte applicazioni civili. Vorrei ricordare che se non vi fosse stato l’incidente di San Giovanni al Campo, con l’uccisione di una bimba di 5 anni e il ferimento della sua famiglia lo scorso 16 settembre, ci sarebbe stata in quel fine settimana una “esibizione” delle frecce tricolore assieme alla premiazione di un concorso scolastico a premi dedicato al “fascino del volo”, un chiaro esempio di invasività del pensiero militare nell’istruzione.

Fra le lavoratrici e i lavoratori di Politecnico e altri Centri di Ricerca come l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Strada delle Cacce, coinvolti nel DAP, in molti stanno hanno manifestato la loro contrarietà mentre erano in corso la posa della prima pietra della Città dell’Aerospazio di Torino il 29.11.2023 e la nona edizione dell’Aerospace & Defense Meetings che si è svolta all’8 Gallery del Lingotto dal 28 al 30 novembre 2023, chiedendo chiarimenti sulla destinazione di tale struttura e sul ruolo che in essa avrà il Distretto Aerospaziale Piemontese, costituito come “associazione senza scopo di lucro”.

Questi lavoratori e lavoratrici ritengono discutibile e improprio che Enti Pubblici di Ricerca e l’Accademia collaborino direttamente con i principali produttori mondiali ed europei di sistemi d’armi. E facendo proprio il bisogno di mantenere vive e trasmettere la responsabilità e la consapevolezza che devono accompagnare la ricerca scientifica, hanno sentito l’obbligo di esprimere la loro contrarietà alle politiche che Università, Politecnico e INRIM stanno sostenendo, anche solo indirettamente, per la produzione e il commercio di armi.
Si sono detti anche preoccupati dal velo di censura e propaganda che attorniano l’impegno nel settore aerospaziale dei principali atenei torinesi e dell’INRIM, considerati di importanza strategica sul territorio locale, nazionale e internazionale, credendo che la comunità scientifica e la cittadinanza abbiano il diritto di essere informati su questo e su tutti i progetti di ricerca e sviluppo tecnologico di
armamenti legati al Distretto Aerospaziale Piemontese.

LeS – Penso che nessuno possa chiedere la chiusura della Beretta Armi poiché sarebbe un disastro occupazionale ma molti ne auspicano la riconversione in produzioni non belliche. Proprio l’alto contenuto di know how di queste produzioni faciliterebbe convertire in produzioni ad alto contenuto tecnologico per uso pacifico in campi estremamente diversi fra loro (ingegneria civile, sanità, ecc.), estraneo alle armi. Non pensi che questa sia la via idonea anche per le industrie coinvolte nel progetto D.I.A.N.A.?

E. F. – La conversione tecnologica è la strada principale da percorrere, ma è complessa e deve rientrare – come abbiamo già accennato a proposito della valorizzazione della produzione civile nel dual use – in piani a lungo termine condivisi da industria, accademia e società civile a livello almeno nazionale. Va anche sottolineato che comunque lo strapotere e la pervasività dell’industria bellica mettono a rischio altri tipi di economia, penso al turismo o alla produzione agroalimentare di qualità, difficili da coniugare con stabilimenti, per esempio, di esplosivi, bombe, proiettili sia per problemi di sicurezza che ostacolerebbero il libero spostamento nei pressi degli stabilimenti, sia per possibili impatti ambientali degli stessi.

LeS – Mentre scriviamo viene annunciata la posa della prima pietra del Polo aerospaziale per il 28 Novembre prossimo. Sarà anche l’occasione per una riflessione critica e, magari, fare sentire la voce di quanti non concordano con l’entusiasmo del Governatore Cirio e dell’Assessore regionale Tronzano?

Le nostre opinioni scettiche verso questo progetto sono note, abbiamo organizzato e partecipiamo a seminari, incontri informativi e manifestazioni di protesta. Sicuramente novembre sarà un mese caldo, anche per il meeting internazionale AEROSPACE & DEFENSE – un vero e proprio mercato internazionale di compravendita delle armi – che si terrà a porte chiuse nella sede dell’OVAL di Torino in quegli stessi giorni.

.Intervista a cura di Elio Limberti

https://www.lavoroesalute.org/

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