Immigrazione e società. ‘PIAZZA DEL MONDO’ DI TRIESTE

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TRACCE PER UN CAMMINO POLITICO A PARTIRE DALL’ESPERIENZA DELLA ‘PIAZZA DEL MONDO’ DI TRIESTE

di Gian Andrea Franchi

È oggi d’estrema evidenza la NECESSITÀ di aprire cammini verso una dimensione collettiva della vita – e non solo umana.
La dimensione individualistico-concorrenziale della vita sociale, mediante il dominio assoluto del valore di scambio – vulgo: denaro – propria della Cultura europea moderna diffusa ormai ovunque, sta distruggendo la vita in quanto tale, almeno nella forma che“conosciamo. Il genocidio di Gaza ne è la proclamazione di fronte al mondo: può essere pubblicamente eliminato chiunque non serva a un determinato disegno politico-economico, come è il caso“dei gazawi e di tutti i palestinesi.

Si tratta di una frattura nella continuità storica mai avvenuta prima: un genocidio, ovvero l’eliminazione attuale e tendenziale di un intero popolo, viene eseguito di fronte al mondo intero. Primo Levi, nell’introduzione a I sommersi e i salvati, ricorda il “cinico ammonimento” dei militi SS: “E quando anche qualche prova dovesse rimanere [delle“camere a gas], e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate“sono talmente mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda“alleata, e crederà a noi che negheremo tutto” (1).
L’evento storico Gaza proclama, invece, pubblicamente che le popolazioni e le persone non utili a un potere, la cui matrice è l’economia di mercato, ovvero il capitalismo, possono essere eliminate: uccise o spostate come pacchi per essere abbandonate da qualche parte.
Questo era germinale nell’originaria violenza del nascente capitalismo in Europa, con la sottrazione dei beni di uso collettivo e la violenza contro tutti i gruppi sociali considerati improduttivi e, in forme ab origine largamente genocidarie, nella conquista europea del resto del mondo.

Dopo la seconda guerra mondiale, questa consapevolezza si era attenuata e anche“culturalmente rimossa, in quella fase storica che possiamo chiamare ‘socialdemocratica’, legata anche – soprattutto – alla diffusione di dinamiche sociali di contestazione e di lotta.
Oggi, senza più alcun velame culturale, si proclama e si manifesta che chi non è utile al sistema del potere economico può essere tolto di mezzo.
Stiamo entrando in una nuova fase della storia del mondo: una sorta di atroce sintesi di vecchio e di nuovo.

Vecchio: perché ultimo frutto velenoso dell’esasperazione della Cultura dell’individualismo concorrenziale che porta alla lotta di tutti contro tutti. Una società della concorrenza è una società concepita come lotta per vivere e sopravvivere; è una società che porta nelle sue viscere la solitudine e la guerra.
Nuovo: perché è ormai scomparsa ogni copertura ideologica, ad esempio l’ideologia dei ‘diritti umani’, ma soprattutto perché il potere capillare delle dinamiche economiche sta ormai palesemente distruggendo la vita intera, senza più contrasti efficaci, limiti o cautele. Ci sono qua e là resistenze, lotte e anche tentativi d’innovazione, ma non in grado di contrastare veramente il processo distruttivo dell’equilibrio essenziale alla vita, così come la conosciamo, che appare sempre più inesorabile.

L’intera natura – l’ambito del nascere per tutti i viventi – è coinvolta in un illimitato processo di mercificazione, ovvero di distruzione funzionale al capitalismo. Bisogna prendere atto che questa Cultura, nel suo sviluppo incontrollato e ormai incontrollabile, è distruttiva delle basi della vita.
Occorre far risuonare la parola ‘natura’: la vita come nascere e ri-nascere che implica“anche il finire di un ciclo di vita per dar seguito ad un altro. La vita, che, detto con parole parole più astratte, è riproduzione-e-produzione – produzione del necessario alla riproduzione -, è ormai spinta verso la rottura dell’equilibrio fra riproduzione e produzione.
Siamo, infatti, catturati da un processo in cui la produzione si sta mangiando la riproduzione, perché il fine ultimo della riproduzione è diventato la produzione di oggetti che non sono necessari o anche utili alla riproduzione, ma che servono soltanto alla loro trasformazione in valore di scambio, in denaro, evoluto ormai principalmente in strumenti finanziari: potere allo stato puro, sganciato da ogni fine che non sia il proprio smisurato allargamento ad ogni anfratto vitale.
Questa dinamica illimitata di potere ha oggi, nel genocidio di Gaza, la sua proclamazione locale ma con valenza generale: non c’è più alcun limite al potere, un potere che si manifesta come trasformazione della vita in merce, ossia in valore di scambio fine a sé stesso: l’instaurazione di un illimitato dominio antropologico sulla vita – ma più precisamente, di una parte degli umani – che sta mettendo in crisi l’equilibrio della natura.

Oggi noi non possiamo più avere un immaginario sul futuro e quindi neanche delle rappresentazioni, un desiderio e un pensiero del futuro.
Questo significa che è avvenuta, per la prima volta nella storia, una rottura a livello mondiale della trasmissione fra le generazioni, della narrazione storica, cioè del senso stesso della vita, sociale e singolare: un genitore non può prefigurare al figlio il mondo in cui vivrà da adulto.
Oggi mettere al mondo un figlio è qualcosa di diverso da ieri: un bambino è gettato in un mondo (2) , le cui dinamiche future ci sono ignote.
In tal modo la vita storica perde il suo senso: si chiude in un pulviscolo di individuali prigioni di sopravvivenza.

È necessario allora, per ridare senso alla nostra vita e a quella dei nostri figli e delle generazioni future, scavare a fondo.
Il compito antropologico, storico, politico di ridare senso alla vita deve partire dalla consapevolezza che la vita e la morte non sono contrapposte ma sono complementari.
Ciò significa fondare un orizzonte narrativo, quindi comunitario, in cui accogliere il transito generazionale: la morte.
È questo il fondamento di una vita comunitaria
.
Accogliere la finitezza di ogni singola vita come intrinseca portatrice di un messaggio del proprio transito vitale da lasciare agli altri, a chi resta e a chi nasce, vuol dire anche creare le condizioni di questa trasmissibilità che è il fondamento della storia. Questo è il tratto, che si può chiamare ‘ontologico’, alla base della dimensione comunitaria della vita, che l’umano potrebbe e dovrebbe esaltare, mentre ha finito con l’esaltare un’altra dimensione, che pure nella vita esiste: la predazione.

Il capitalismo, accentuando al massimo il fenomeno predatorio contenuto in natura entro limiti ben precisi, ha finito con l’estrarre la morte dal contesto della vita e della storia. Ha annullato la funzione culturale della morte: il passaggio del testimone nel tempo dalla narrazione storica, rendendola soverchiante e distruttiva per il tramite di una smisurata espansione dell’umana capacità di agire, divenuta predazione della vita stessa. Ha modificato, in tal modo, le basi stesse della vita, riducendola a materiale di consumo.

Questo è accaduto nel contesto di una complessa dinamica storica di rimozione di ciò che è alla base di quell’angoscia che è propria della condizione umana: l’angoscia per la morte che abita ogni vivente umano e la cui elaborazione è stata il fondamento di tutte le Culture: dalle prime mitologie alle religioni più complesse.
Rimozione’ non è ‘elaborazione’, ma il suo contrario
Per chiarire un poco ciò che voglio dire sarà forse opportuno un rapidissimo cenno storico.
Questo percorso di occultamento è sorto in Europa, principalmente, nei meandri della corrente calvinista della Riforma del cristianesimo agli inizi di ciò che chiamiamo ‘epoca moderna’ (XVI-XVII secolo).
Sommariamente: il calvinismo poneva lo scopo della vita – il suo senso – in un’affermazione sociale individuale, che si veniva rapidamente identificando con il successo economico, sotto la spinta iniziale del bisogno di capire il misterioso disegno divino sulla condizione umana, sciolto infine da ogni connotazione religiosa.

La vita e l’opera di Benjamin Franklin, il cui volto appare esemplarmente sulla banconota da cento dollari, offre una narrazione perfettamente adeguata di questo fondamentale passaggio storico nell’affermazione di una vita operosa tutta dedita, con incrollabile serenità, all’onesto guadagno: “il tempo è denaro”, “il denaro è di sua natura fecondo e produttivo”. Nel 1787 dichiara: “Più vivo, più colgo prove convincenti di questa verità, ovvero che è Dio a governare le umane faccende”, di fatto per il tramite del denaro quale controllo e misura del tempo (3).
In Franklin, infatti, si può leggere con chiarezza il capillare lavoro di rimozione dell’angoscia nell’operatività quotidiana: il denaro usurpando e sterilizzando la misteriosa e drammatica fecondità della vita, riducendola alla misura quantitativa, produce un ordine astratto ma rassicurante e una garanzia di futuro che trova nella ‘Rivoluzione’ americana l’esempio più caratteristico (4).
Lo ribadisce molto bene un’ulteriore riflessione di Silvia Federici che riguarda i nostri giorni: “La Banca Mondiale ha fatto sua la teoria dell’economista peruviano Hernan de Soto secondo cui solo il denaro è produttivo, mentre la terra in sé è sterile e se utilizzata per la sussistenza è causa di povertà” (5).
Il denaro viene visto come garanzia di vita e, almeno, sopravvivenza. Ma è un paradosso ontologico. Oggi sappiamo che è vero esattamente il contrario.
L’atteggiamento di sereno distacco di Franklin non è alternativo alla violenza di un Cromwell, un secolo prima nell’invasione dell’Irlanda: la violenza estrema, giunta fino al genocidio e la serena operosità di ogni giorno sono perfettamente complementari, come la socialdemocrazia e il fascismo, dinamiche diverse che perseguono lo stesso scopo (6).

Oggi, nella fase di violento neoliberismo che sta imperversando senz’alcun limite, possiamo ben dire che, abbandonato ogni tipo di giustificazione, il mero potere del denaro indica pienamente il valore, ovvero il grado di potere, di un individuo.
Importante, però, è cercar di comprendere le origini di un fenomeno storico che oggi sembra ormai privo di ogni capacità di autocontrollo.
In tale contesto, di cui ho sommariamente cercato di indicare la matrice storica, l’impegno con il nuovo fenomeno migratorio, nato e sviluppato da circa un ventennio, è un punto fondamentale d’azione e d’osservazione.
Dato che chi scrive è un cittadino europeo, mi riferisco soprattutto al comportamento degli Stati europei e ‘occidentali’ in cui, – sotto l’affaticata egemonia degli USA -, appaiono senza veli l’indifferenza per la vita e la supremazia indiscutibile del valore di scambio (7) :
la fine di tutto ciò che si raccoglieva storicamente sotto l’etichetta ‘diritto’.
Le morti in mare e nei Balcani sono un esercizio della libertà di uccidere il cui culmine ‘osceno’ – di un fuori scena sbattuto brutalmente in scena – si manifesta quotidianamente a Gaza: Israele è l’avanguardia sperimentatrice di un capitalismo ormai pienamente epidemico.
L’indifferenza per le decine di migliaia morti migranti in mare, e anche nei Balcani, il cinico ma tradizionale uso politico del razzismo – e, in particolare per quel che riguarda il governo italiano, la complicità con le bande criminali libiche, esemplificato dal ‘caso Almasri’ – sono stati un passaggio fondamentale verso il salto nell’abisso di un futuro che si preannuncia catastrofico.
Dire ‘catastrofico’ non implica aggiungere anche l’aggettivo ‘inevitabile’: l’impegno di coloro che si riconoscono intorno a ciò che cerca di indicare l’attività di Linea d’Ombra dalla piazza della stazione di Trieste – la piazza del Mondo – vuol proprio essere un tentativo di iniziare una pratica meditativa di costruzione politica di relazioni comunitarie, nel rifiuto di ogni forma di delega a qualsivoglia pretesa di rappresentanza.
Si tratta di costruire una forma di resistenza sociale a partire dal rapporto con l’altro basato su forme comunitarie unite dalla reciprocità della cura, prevedendo in futuro anche possibili forme di lotta: è necessario essere consapevoli che siamo ormai in una nuova diffusa forma di Terza guerra mondiale, ma che non è esagerato chiamare guerra contro la vita.
Il nostro compito concreto e quotidiano è raccogliere il messaggio inciso dalla violenza delle frontiere sui corpi umiliati e offesi dei migranti, corpi memori delle violenze genocide di secoli di colonialismo, ma che ci indicano anche un futuro di devastazione della vita.
Ciò implica il coinvolgimento in un impegno che è politico nella precisa misura in cui è diventato ormai, sic et simpliciter, un impegno per la vita.

NOTE

1- Primo Levi, I sommersi e i salvati, in Opere Complete, vol. II, Einaudi 2016, p. 1147.
2- Ricordando il concetto heideggeriano di Geworfenheit: esser-gettato-nel mondo.
3- D. Sassoon, Rivoluzioni. Quando i popoli cambiano la storia, Garzanti, Milano 2024, p. 110.
4- Un interessante articolo di Francesco Raparelli, sul “Manifesto” del 13 marzo 2025, p. 15, intitolato “Musk innovatore nel solco della storia Usa”, tenta un collegamento storico fra una figura come quella di Elon Musk e la storia americana di cui Franklin è figura esemplare, proprio in riferimento al testo di Sassoon.
5- Silvia Federici, Reincantare il mondo. Femminismo e politica dei commons, Ombre corte, Verona 2018, p.28.
6- È comunque doveroso ricordare che all’epoca del New Modern Army di Cromwell sorsero anche i Levellers e altri movimenti di contestazione radicale.
7- Da notare il breve conciso articolo di Chiara Mattei ‘Austerità, militarismo, censura: Trump ci mostra il loro legame’ sul “Fatto quotidiano” del 18 agosto, p. 12

Immagini: PH: Luca Greco (Trieste, agosto 2023)

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