In questa Pasqua ebraica, dobbiamo fare i conti con il massacro di bambini perpetrato da Israele a Gaza
La storia della Pasqua ebraica condanna il governante che infligge atrocità ai bambini. L’esercito israeliano sta facendo lo stesso ora a Gaza.
Fonte: English version
Rabbino Brant Rosen – 11 aprile 2025
Mentre la comunità ebraica si prepara a celebrare la Pasqua quest’anno, rifletto molto sulla centralità dei bambini nella storia dell’Esodo che raccontiamo attorno alla tavola del Seder (piatto pasquale ebraico). In particolare, mi colpisce il fatto che questa narrazione della Torah inizi con una descrizione terrificante delle atrocità commesse contro i bambini. All’inizio dell’Esodo, un nuovo Faraone si erge sull’Egitto, palesemente terrorizzato dalla crescita demografica della minoranza israelita. Dopo averli oppressi con i lavori forzati, ordina alle levatrici ebree di uccidere i neonati maschi. Quando queste si oppongono alla sua richiesta, ordina agli egiziani di gettare tutti i neonati maschi nel Nilo. Poco dopo, Mosè nasce e viene salvato da questo decreto di morte da sua madre, sua sorella e la figlia del Faraone, che lo adotta.
Tra le altre cose, la storia dell’Esodo ribadisce la tragicamente nota verità che i bambini non sono semplici vittime delle atrocità in tempo di guerra, ma sono in realtà presi di mira dalla violenza dello Stato. Secondo un articolo del 2014 pubblicato dal New Yorker: “La specifica presa di mira dei bambini è uno dei più cupi sviluppi nel modo in cui i conflitti sono stati condotti negli ultimi cinquant’anni”.
Chi partecipa al Seder di Pesach (Pasqua) è tenuto non solo a leggere la storia dell’Esodo, ma anche a esaminarne la rilevanza, come ci insegna l’Haggadah (raccolta di interpretazioni rabbiniche dell’uscita dall’Egitto, che si legge prima della cena rituale pasquale): “In ogni generazione”. Pertanto, l’inizio della narrazione ci presenta parallelismi fin troppo inquietanti e una sfida morale cruciale. In questa Pasqua ebraica, la seconda in un contesto di Genocidio in corso perpetrato da Israele contro i palestinesi a Gaza e di esodo forzato di massa in Cisgiordania, saremmo gravemente negligenti se non riconoscessimo le decine di bambini uccisi, mutilati e traumatizzati dal continuo attacco militare israeliano.
Il bilancio ufficiale delle vittime a Gaza ha ormai superato quota 50.000, inclusi oltre 17.000 bambini. (La rivista medica The Lancet ha concluso che il numero totale delle vittime è probabilmente superiore del 40%.) Il 18 marzo, giorno in cui Israele ha violato un cessate il fuoco di due mesi, l’esercito israeliano ha ucciso più di 400 palestinesi, tra cui 183 bambini e 94 donne, in quello che gli osservatori definiscono il giorno più sanguinoso del Genocidio.
Più recentemente, il 3 aprile, Israele ha bombardato la scuola di Dar al-Arqam, trasformata in rifugio, a Gaza, uccidendo 29 persone, di cui 18 bambini. Nel suo resoconto sull’attacco, Al Jazeera ha citato un portavoce dei soccorritori di emergenza di Gaza: “Quello che sta succedendo qui è un campanello d’allarme per il mondo intero. Questa guerra e questi Massacri contro donne e bambini devono cessare immediatamente. I bambini vengono uccisi a sangue freddo qui a Gaza”.
Per coloro che sono solidali con i palestinesi, certe notizie e immagini sono rimaste impresse nei cuori e nelle menti. Per molti, il momento di svolta nell’abisso si è verificato all’inizio del 2024, con la registrazione telefonica di Hind Rajab, 6 anni, che implorava la madre di essere salvata prima che l’esercito israeliano sparasse 335 proiettili contro l’auto della sua famiglia. Un mese dopo, il mondo è rimasto inorridito dall’immagine di Sidra Hassouna, una bambina palestinese di 7 anni del Nord di Gaza, appesa morta sul bordo di una casa distrutta con metà del corpo mancante.
Il 26 maggio 2024, un neonato di un anno, Ahmad Al-Najjar, il cui corpo senza testa è stato tenuto in alto da un uomo terrorizzato e addolorato dopo quello che è diventato noto come il Massacro delle Tende di Rafah, una notte in cui 45 palestinesi, per lo più donne e bambini, sono stati uccisi, bruciati vivi e fatti a pezzi. Un medico che ha assistito alla carneficina ha commentato: “In tutti i miei anni di lavoro umanitario, non ho mai assistito a qualcosa di così Barbaro, così Atroce, così Disumano. Queste immagini mi perseguiteranno per sempre. E macchieranno la nostra coscienza per l’eternità”.
La negazione può assumere molte forme. Per alcuni, affonda le sue radici nella Disumanizzazione Razzista dell’altro; altri potrebbero essere semplicemente troppo sopraffatti per permettersi di comprendere il Massacro di Bambini in modo così atroce; altri ancora razionalizzano la verità, liquidando l’Omicidio di Massa come “danni collaterali” o come l’uso di “scudi umani” da parte di Hamas (un’affermazione cinica che è stata costantemente smentita dagli osservatori dei diritti umani).
Per i sostenitori di Israele, è ancora più impensabile affrontare le crescenti prove che l’esercito israeliano potrebbe benissimo prendere di mira intenzionalmente i bambini per un Omicidio di Massa. Un recente documentario di Al Jazeera: “Bambini Sotto il Fuoco”, sostiene in modo convincente questa affermazione, con ampie interviste a testimoni oculari, operatori sanitari volontari americani ed esperti di diritti umani. I loro resoconti, corroborati da referti ospedalieri e accertamenti, suggeriscono uno schema sistematico: un numero crescente di bambini vittime non è rimasto ferito a causa dei bombardamenti, ma a causa di ferite da arma da fuoco dirette, spesso alla testa. Uno dei medici intervistati nel documentario, Tammy Abughnaim, medico d’urgenza americano di Chicago, ha commentato:
“Ho iniziato a vedere sempre più bambini con ferite penetranti, come quelle da arma da fuoco. Dopo cinque, sei, sette, otto, mi sono resa conto che qualcuno stava sparando ai bambini. Non volevo credere che i bambini venissero colpiti. Nessuno vuole crederci. Nessuno vuole pensare che altri esseri umani siano capaci di annientare i bambini in quel modo”.
La testimonianza di Abughnaim è corroborata nel documentario da Mark Perlmutter, chirurgo ortopedico della Carolina del Nord: “Il bersaglio in un mirino è inconfondibile. Si tratta di un giovane essere umano, e quando il grilletto viene premuto contro quel bersaglio, non è per caso. Assolutamente. Mai”.
A un certo punto, l’intervistatore ha chiesto a Miranda Cleland di DCIP (Difesa Internazionale per l’Infanzia – Palestina): “Hai mai riflettuto su quale possa essere la ragione strategica per sparare a un bambino? Quale messaggio dovremmo recepire da un esercito che prende di mira i bambini?” La risposta di Cleland: “Ci ho pensato a lungo e l’unica conclusione a cui posso giungere è che i soldati israeliani sparano ai bambini palestinesi perché vogliono. E penso che lo facciano perché gli è permesso e nessuno li ferma”.
Nabeel Rana, chirurgo vascolare di Peoria, Illinois, ha chiarito la questione: “Si eliminano un certo numero di persone, si mutila un altro numero e si invalidano permanentemente, mentalmente ed emotivamente, gli altri. E questo verrà trasmesso alla generazione successiva. Ecco come si paralizza una società”.
Come hanno dimostrato secoli di violenza statale contro le comunità oppresse, il modo più diretto per indebolire e persino sradicare una società è prenderne di mira i bambini. Nel dicembre 2024, il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) ha pubblicato un rapporto: “Generazione Annientata: I Bambini di Gaza Nel Mirino del Genocidio”, che esamina il Crimine di Genocidio perpetrato da Israele contro i cittadini di Gaza, incluso il Genocidio dei Bambini. Il rapporto del PCHR concludeva:
“L’Uccisione di bambini, l’inflizione di gravi danni fisici e mentali e la sottomissione a dure condizioni di vita che ne distruggono la vita non possono essere liquidati comeb meri danni collaterali di attacchi militari. Queste azioni fanno invece parte di una strategia sistematica volta a cancellare l’identità palestinese e ad annientare le generazioni future”.
Ci sono segnali inquietanti che questo annientamento sia in atto. Un’analisi di Reuters dei dati del Ministero della Sanità di Gaza ha rivelato che almeno 1.238 famiglie, definite come coppie sposate e gli eventuali figli, sono state completamente cancellate, senza alcun sopravvissuto. In un articolo dell’Associated Press su questo tema dello scorso anno, Omar Shabaan, ricercatore ed economista di Gaza, ha osservato che delle 400.000 famiglie di Gaza, nessuna è stata risparmiata, causando danni permanenti alla società, alla storia e al futuro di Gaza. “Sta diventando chiaro”, ha affermato, “che questo è un attacco alla struttura sociale”.
Questa drammatica impennata nell’uccisione di bambini palestinesi non si limita solo a Gaza. Secondo un recente rapporto sulla “Gazaficazione” della Cisgiordania, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha scoperto che Israele sta ora utilizzando le tattiche militari del suo assalto a Gaza in tutti i Territori Occupati, “dove i palestinesi affrontano un esodo forzato di massa, un’ondata di attacchi aerei e un forte aumento degli attacchi contro bambini e altri civili”. B’Tselem ha riferito che 180 bambini sono stati uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania dall’inizio del Genocidio a Gaza, rendendolo il periodo più mortale dei quasi 60 anni di Occupazione Israeliana, sia per gli adulti che per i bambini.
Le notizie di violenza contro i bambini ricordano in effetti quelle provenienti da Gaza. In un articolo intitolato: “Aumento Delle Morti Infantili Durante la “Gazaficazione” Della Cisgiordania”, il Guardian ha intervistato Rigd Gasser, padre del quattordicenne Ahmad Rashid Jazar, colpito al petto da un soldato israeliano nel villaggio di Sebastia mentre andava a prendere il pane a gennaio. Gasser si trovava in un bar quando ha sentito gli spari ed è corso fuori quando ha sentito le richieste di aiuto. “Mi sono avvicinato e ho riconosciuto mio figlio. L’ho riconosciuto dai vestiti, il suo corpo era tutto coperto di sangue”, ha detto.
L’articolo riporta anche l’uccisione dei cugini Reda Basharat di 8 anni e Hamza Basharat di 10, uccisi vicino a casa da un attacco di un drone israeliano l’8 gennaio. I bambini erano seduti fuori con il cugino ventitreenne Adam quando la madre di Hamza, Eman, ha sentito l’esplosione. Quando è corsa fuori, ha trovato Hamza ferito e che faceva fatica a respirare. “È morto tra le mie braccia”, ha detto. Eman ha aggiunto: “Quando penso a quello che è successo a mio figlio e ricordo le immagini dei loro corpi, e vedo cosa sta succedendo a Gaza in TV, ho improvvisamente capito che stanno facendo la stessa cosa”.
Sebbene questi resoconti individuali descrivano una crudeltà indicibile, è importante tenere presente che in ultima analisi servono a uno scopo più ampio. Proprio come la violenza inflitta dal Faraone nella storia dell’Esodo, la violenza di Israele nei confronti dei bambini deriva dalla visione di un intero popolo come una “minaccia demografica”. Questa visione a sua volta deriva dal Sionismo: un’ideologia e un movimento che mira a creare e mantenere uno Stato-Nazione a maggioranza ebraica nella Palestina storica. In quanto tale, la presa di mira dei bambini fa parte di un più ampio sforzo di Pulizia Etnica di Gaza attraverso una varietà di mezzi, tra cui la demolizione di case, il trasferimento di popolazione e, come afferma il rapporto del PCHR, “la cancellazione dell’identità palestinese e l’annientamento delle generazioni future”.
A questo proposito, la politica di fuoco aperto di Israele nei confronti dei bambini palestinesi è inseparabile da altre azioni drastiche che mirano chiaramente allo spopolamento di Gaza e della Cisgiordania. Al momento in cui scrivo, l’Associated Press ha riportato che Israele ora controlla il 50% di Gaza, ampliando la sua zona cuscinetto, radendo al suolo case, terreni agricoli e infrastrutture palestinesi “fino al punto di renderli inabitabili”. L’esercito ha inoltre distrutto il 90% della città meridionale di Rafah, dopo aver impartito ordini di evacuazione ai suoi residenti.
Se ci potesse essere qualche dubbio sulle intenzioni di Israele, il vicepresidente della Knesset (Parlamento) Nissim Vaturi, del Partito Likud, come tanti altri politici e leader militari israeliani prima di lui, ha recentemente esposto fin troppo chiaramente la strategia finale di Israele. In un’intervista radiofonica ha affermato con decisione che Israele dovrebbe “cancellare Gaza dalla faccia della terra”, aggiungendo: “Non ci sono innocenti lì. Non ho pietà per coloro che sono ancora lì. Dobbiamo eliminarli”. Più di recente ha commentato in un’intervista televisiva: “Non possiamo vivere con questi esseri accanto a noi. Non c’è pace con nessuno qui. Ogni bambino nato ora, in questo istante, è già un terrorista alla sua nascita”.
In particolare, Vaturi ha fatto commenti simili anche sulla Regione di Jenin, in Cisgiordania, dove 40.000 palestinesi sono stati sfollati da Israele solo nel mese di febbraio. “Cancellate Jenin. Non iniziate a cercare i terroristi: se c’è un terrorista in casa, abbattetelo, dite alle donne e ai bambini di andarsene”. Mentre i sostenitori di Israele liquidano commenti come questi come esagerazioni, è fondamentale notare che queste chiare dichiarazioni d’intenti sono supportate da azioni altrettanto chiare.
Come Rabbino congregazionale, mi sono state poste domande ricorrenti durante le ultime due Pasque. Come posso celebrare questa festa mentre un Genocidio viene commesso in mio nome? Come posso celebrare una festa di liberazione ebraica mentre uno Stato-Nazione Ebraico si comporta come un Faraone su un intero popolo? Pur comprendendo l’angoscia che si cela dietro queste domande, credo che il rituale della Pasqua ci offra in realtà un’importante opportunità: affrontare con onestà il modo in cui la narrazione dell’Esodo si sta svolgendo in modo molto concreto ai nostri giorni, porre domande difficili ed evitare le risposte semplici e scontate.
Nel suo libro scottante sul Genocidio di Israele: “Un Giorno, Tutti Saranno Sempre Stati Contrari a Questo”, lo scrittore Omar El Akkad scrive:
“Una gamba di donna amputata, senza anestesia, l’operazione è stata eseguita su un tavolo da cucina. Un bambino che stringe la scarpa del padre, urlando. Una bambina con la mascella amputata. Un bambino, ancora in pannolino, tirato fuori dalle tende dopo il bombardamento incendiario, con la testa staccata dal corpo”.
C’è una distanza abbastanza grande per essere liberi da tutto questo? Per essere purificati?
In questa Pasqua, il periodo in cui ci si pone delle domande, la sfida di El Akkad risuona con insistenza sulla coscienza collettiva del mondo.
Brant Rosen è il Rabbino della congregazione Tzedek di Chicago e co-fondatore del Consiglio Rabbinico di Voce Ebraica per la Pace (JPV).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
15/4/2025 https://www.invictapalestina.org
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