Inchiesta sulla solitudine di massa, la malattia del secolo
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La malattia silenziosa del secolo ha un nome: solitudine di massa. Si diffonde come una selezione al contrario: là dove la vita è movimento, la solitudine porta all’isolamento. L’assenza di relazioni imprigiona in bolle di morte sociale, e non a caso la bolla digitale è la metafora più usata nel nostro tempo. Sotto la superficie di un’apparente normalità avanzano consumismo emotivo, povertà affettiva, sradicamento spirituale.
Il più grande studio realizzato finora, uscito sulla rivista scientifica Nature nell’ottobre 2024 definisce la solitudine “una seria minaccia sia per il cervello che per il corpo”, perché “provoca ansia e depressione ma anche patologie pericolose per la vita, come le malattie cardiovascolari, l’ictus, l’alzheimer e il Parkinson”.
In Italia, secondo l’Istat il 2022 è stato l’anno spartiacque. Le pause forzate dei lockdown hanno, da un lato, fatto certamente riscoprire il gusto di ritmi più lenti, influendo sulle massicce dimissioni dai posti di lavoro e sul rifiuto di accettare occupazioni con orari penalizzanti per la vita privata. Ma hanno anche accelerato la colonizzazione del tempo libero da parte dei social network e, più in generale, dell’iperconnessione in Rete. Navigando, chattando, videochiamando, guardando streaming e acquistando online, si ammazza il tempo. Ma si ammazza anche la vita di relazione, faccia a faccia. A farne le spese sono soprattutto gli adolescenti.
Senza contare i danni alla salute derivanti dalla sedentarietà, che spesso si accompagna all’auto-recludersi in casa (fino ai casi estremi degli hikkikomori, i neo-stiliti dell’auto-segregazione). L’aumento dell’obesità, altro killer occulto in un Occidente ingozzato a zuccheri, viene anche da qui.
Come sempre, le nevrosi fanno la felicità delle case farmaceutiche: nel 2019, secondo l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), il 10% della popolazione faceva largo uso di ansiolitici a base di benzodiazepina. Una “droga legale” che ha conosciuto un vero boom negli ultimi anni. Ma attenzione: stando a un recente rapporto3, l’aumento degli antidepressivi non è giustificato da un parallelo aumento della depressione. Delle 36,5 milioni di confezioni di psicofarmaci vendute in Italia nel 2020 (Eurispes 2021), solo 565 mila sono state prescritte da strutture ospedaliere o dai Centri di Salute Mentale (CSM). Significa che, al netto dei pazienti in cura da terapeuti privati, c’è una massa enorme di infelici che ricorrendo al medico di base tentano di rattoppare con gocce o pillole i propri buchi interiori.
La cura starebbe nel coltivare legami, nella partecipazione, nella gratuità. In una parola: nella comunità. Non solo familiare o d’interessi, ma anche politica.
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