La mano invisibile (dello Stato) e i vaccini

I fondi pubblici sono stati fondamentali per la maturazione delle biotecnologie come l’mRNA o l’adenovirus e per garantirne sviluppo e produzione. Ma i profitti che generano sono nelle tasche di poche aziende quotate in borsa

Il contributo pubblico regge i modelli di business dell’industria biotecnologia fin dalle sue origini. Nel caso dei vaccini contro il Covid-19, i fondi pubblici sono stati fondamentali sia per la maturazione delle biotecnologie come l’mRNA o l’adenovirus, sia per la copertura in molti casi integrale dei costi di sviluppo e produzione. Perché, allora, i vaccini, i loro brevetti, e i profitti che generano sono nelle tasche di poche aziende quotate in borsa? Il flusso di denaro pubblico sostiene un sistema che ha interesse a creare innovazioni solo se coerenti con le strategie di generazione del valore dei suoi veri padroni, gli attori finanziari.

Durante la pandemia

Alcune settimane fa è stato pubblicato uno studio elaborato a cura di Massimo Florio e altri economisti, che ha ricostruito il flusso dei finanziamenti pubblici e privati erogati per i vaccini contro il Covid-19.  

Con tutte le difficoltà legate alla scarsa trasparenza che istituzioni pubbliche e aziende continuano a dimostrare su un argomento così rilevante, lo studio riesce a fornire una cifra molto significativa: nel biennio 2020-2021 sono stati erogati da parte di governi e strutture pubblico-private circa 30 miliardi di dollari per sostenere lo sviluppo dei vaccini contro il Covid-19 attualmente autorizzati in Europa. Gli investimenti riconducibili alle aziende sulle stesse voci di spesa sarebbero invece inferiori di meno della metà.

I fondi sono stati stanziati per finanziare lo sviluppo in laboratorio, i test clinici e lo scale-up industriale: praticamente tutte le fasi di produzione dei vaccini. Una parte delle risorse è stata concessa a fondo perduto (circa 9 miliardi), e un’altra (21 miliardi) tramite contratti di pre-acquisto delle dosi (Advanced Purchase Agreements APAs), che hanno previsto condizioni molto favorevoli per i produttori: l’incasso dell’intera cifra al momento della firma del contratto, e in caso di mancata consegna (perché il vaccino sarebbe potuto rivelarsi inefficace) nessun obbligo alla restituzione delle somme.

Il primo sostenitore, definito «de-risk», è stato il governo Trump che ha messo in campo, nel primo semestre 2020, circa 18 miliardi di dollari attraverso una politica di innovazione denominata «Operation Warp Speed». Questi soldi sono stati erogati a favore di sette candidati vaccinali con piattaforme biotecnologiche diverse: tranne quello di Merck, prima o dopo sono arrivati tutti al traguardo, e sono quelli attualmente in uso in Europa. Il governo statunitense ha agito in questo modo per evitare un clamoroso e drammatico caso di market failure: nessuna impresa, infatti, si sarebbe azzardata a investire miliardi di dollari per formulare un vaccino contro un patogeno sconosciuto in un arco di tempo dieci volte inferiore a quello ordinario. L’enorme apparato di tecnologie e conoscenze dell’industria biofinanziarizzata occidentale si è mobilitato solo grazie ai soldi pubblici e al salvagente finanziario in caso di fallimento. 

Prima della pandemia 

I numeri di Florio tornano anche in altre ricerche: un recente studio pubblicato da parte di ricercatori di Harvard, calcola in 32 miliardi di dollari il contributo pubblico erogato  dai soli Stati uniti tra fondo perduto e APAs. Ma c’è di più: questo studio prova a calcolare anche l’ammontare dei finanziamenti pubblici erogati da agenzie statunitensi come il National Institutes of Health (Nih) a favore dell’mRNA prima della pandemia. Lo sviluppo delle nanoparticelle lipidiche, l’ingegnerizzazione del mRNA sintetico, la codifica della proteina Spike dei coronavirus: questi e altri avanzamenti che hanno consentito a Moderna e BioNTech/Pfizer di formulare il proprio vaccino, sono stati realizzati grazie a circa 400 milioni di dollari erogati negli anni da attori pubblici. Si tratta, peraltro, di stime al ribasso: un altro studio, a cura di ricercatori della Bentley University, sostiene che negli ultimi venti anni il solo Nih abbia investito circa un miliardo di dollari sul mRNA, e complessivamente ben 16,2 sulle altre piattaforme vaccinali usate contro il Covid-19 (tra cui quelle a vettore virale, usate da Astrazeneca, Johnson & Johnson).

Il finanziamento pubblico che finanzia la ricerca e sviluppo di attori privati non si limita all’industria vaccinale. Uno studio pubblicato nel 2013 da ricercatori dell’Università di Oslo ha calcolato che sul totale della spesa per ricerca e sviluppo del settore biofarmaceutico nel 2009, la quota coperta da fondi pubblici è di almeno il 30%, e quella di strutture pubblico-private o filantropiche del 10%. Un altro studio, sempre a firma di ricercatori della Bentley, ha ricostruito che tra il 2000 e il 2016, tutte le nuove molecole (NMEs) approvate dalla Fda statunitense hanno ricevuto contributi pubblici, e che le 84 inserite in prima classe (cioè con principi attivi completamente unici) avevano complessivamente ricevuto 64 miliardi di dollari di fondi da parte del Nih.

Come ben descritto da Sampat e Shedlen, il modello di business dell’industria biofarmaceutica si regge sul contributo pubblico fin dalle origini: la fase esplorativa del processo di innovazione, e anche i primi test clinici, sono quasi sempre finanziati dallo Stato, perché il rischio è troppo alto, e a fare questo tipo di ricerche spesso sono laboratori di Università e non di imprese. Con il Covid-19 si è fatto un salto di qualità: i fondi pubblici hanno pagato anche i trials avanzati e lo scale-up industriale. Eppure, i vaccini sono stati brevettati e commercializzati esclusivamente da parte di aziende private, che negli ultimi due anni hanno realizzato profitti immensi: se si considerano solo Moderna e Pfizer/BioNTech, parliamo di oltre 100 miliardi di dollari. Perché hanno potuto farlo?

Vaccini su misura delle biotecnologie proprietarie

Anzitutto, perché gli è stato concesso. La proposta di waiver sui brevetti di India, Sudafrica e altri 100 paesi presso il Wto, è stata osteggiata dai paesi europei e dagli Stati uniti, restando per due anni lettera morta. Dopo 6,8 milioni di morti, è arrivato l’accordo di Giugno 2022, che tuttavia non copre trattamenti diagnostici e terapeutici, e prevede eccezioni e disincentivi per i paesi in via di sviluppo più industrializzati nell’esportare le dosi prodotte con licenza obbligatoria.

Tuttavia, la ragione principale per cui anche se sono stati pagati dal pubblico i vaccini continuano a essere privati è che sono stati realizzati a immagine e somiglianza delle biotecnologie di cui le imprese produttrici possedevano l’esclusiva commerciale da prima del 2020. Moderna e BioNTech non hanno costruito un vaccino a mRNA contro il Sars Cov II perché ci fosse una qualche razionalità intrinseca alle life science tale da fargli pensare che fosse la soluzione migliore possibile. Hanno piuttosto applicato lo strumento per cui sono nate e che conclude interamente la loro mission aziendale a un target nuovo e hanno avuto successo. Idem per Novavax: non c’è alcuna ragione, direttamente collegata alla complessità biologica del Sars Cov II, per cui un vaccino a subunità proteica debba contenere un adiuvante raro e costoso come la Matrix-M, né per cui si debbano montare gli antigeni su una nanoparticella proprietaria come la PS80 Core. Nuvaxovid è fatto con queste due costosissime e complicate biotecnologie, perché Novavax i vaccini sa farli solo così, e del resto non avrebbe interesse alcuno a produrli senza di esse, perchè altrimenti non potrebbe brevettarli, non potrebbe venderli sul mercato in regime di monopolio né, soprattutto, potrebbe ben prima di arrivare a confezionare un prodotto, guadagnarci attraverso operazioni finanziarie. 

La conoscenza diventa un asset

I vaccini anti-Covid hanno generato profitti straordinari, ma sono l’eccezione. La regola è che nel biotech si guadagna prevalentemente comprando e vendendo intangibili e stock di imprese che li detengono. Kean Birch ha definito «assettizzazione» questa logica che trasforma la conoscenza tecnoscientifica in un bene capace di produrre utili senza essere incorporato in una commodity. Può bastare una notizia a generare fortune (o sfortune). È quanto accaduto durante i primi mesi del 2020: quando è uscita la notizia che Moderna, BioNTech e Novavax erano state selezionate da Operation Warp Speed le loro azioni sono schizzate in alto, arrivando a quadruplicare il valore degli stock dei loro shareholders. È evidente che questa dinamica pervade interamente il contenuto e la direzione che assumono le ricerche nel settore: dai laboratori delle università a quelli delle grandi corporation, la sfida è dimostrare il valore dell’intangibile che caratterizza la propria offerta, o trovare una soluzione inedita che possa attivare questo tipo di circuito del capitale. A dispetto di quanto sostenuto dai lobbisti delle case farmaceutiche, questo sistema sta impoverendo la capacità innovativa: in tanti parlano, ormai apertamente, di declino della R&D biofarmaceutica. In sostanza, non vengono fuori prodotti che siano utili, oltre che nuovi.

L’alternativa è la biotecnologia pubblica

Era possibile fare un vaccino efficace, sicuro, trasferibile, facilmente scalabile contro il Covid-19, senza usare biotecnologie proprietarie? Sì. Lo hanno dimostrato le aziende pubbliche cubane che hanno prodotto Abdala e Soberana, le cui formulazioni sono state costruite sulla falsariga di quelli contro l’epatite B e l’emofilo, e lo ha dimostrato  anche un piccolo laboratorio di un ente di ricerca no profit come il Texas Children’s Hospital Center for Vaccine Development, il cui vaccino è di fatto la fotocopia di Abdala. Questi vaccini sono proteici come lo è quello di Novavax e funzionano bene allo stesso modo. Con alcune differenze, e non da poco: sono costati cento volte meno, sono utilizzabili anche per i bambini, sono disegnati su biotecnologie di cui si conoscono alla perfezione gli eventi avversi. È per queste ragioni che sono stati utilizzati per vaccinare decine di milioni di persone, mentre il vaccino di Novavax, tra ritardi e complicazioni, non ne ha vaccinato neanche mezzo.

Florio conclude il suo studio dando alcune indicazioni di policy. Una, a breve termine, invita le istituzioni pubbliche a evitare frammentazione e duplicazione dei finanziamenti pubblici per la ricerca e sviluppo in ambito privato. I soldi a disposizione, in condizioni ordinarie, non sono molti, e se l’obiettivo è quello di usarli per indirizzare le aziende a ricercare e produrre ciò che serve alla popolazione, la soluzione è governali in maniera congiunta adottando un approccio transnazionale e forse intercontinentale. Una seconda, più a lungo termine, riguarda invece la costruzione di un’infrastruttura di ricerca e sviluppo pubblica, focalizzata prevalentemente sulle patologie infettive, che non si limiti a finanziare progetti di start up, università e corporation, ma ne crei di propri, anche con la possibilità di internalizzare lo scale-up industriale.

Questa seconda opzione è chiaramente quella più avvincente, e anche quella in grado di determinare una svolta nei modi di produrre innovazione e conoscenza tecnoscientifica in uno dei settori con più elevate potenzialità trasformative nei prossimi decenni. Purtroppo all’idea sembra mancare un supporto politico adeguato, anche nelle sinistre: è come se, passato (apparentemente) il peggio con il Covid-19, e dopo due anni dove non si è parlato d’altro, ma purtroppo se ne è parlato male, nessuno volesse più parlare di vaccini e industria biofarmaceutica. Eppure, scongiuri a parte, la prossima pandemia potrebbe essere dietro l’angolo, e già oggi enormi urgenze sanitarie, a partire dall’antibiotico-resistenza, rendono irrimandabile un dibattito serrato su quale padrone debbano servire scienza e tecnologia.

Claudio Marciano è assegnista di ricerca in sociologia dell’innovazione presso l’Università di Torino. È autore, assieme al giornalista Report Rai Manuele Bonaccorsi, del libro I Padroni del vaccino. Chi vince e chi perde nella lotta contro il Covid-19 (Piemme, 2022).

19/4/2023 https://jacobinitalia.it/

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