LA SALUTE PRIMA DEL MERCATO. CAMBIARE L’EUROPA.

DossierA cura della Rete Europea “La salute non è in vendita”

Il testo che segue, suddiviso in sette capitoli, è la formulazione delle rivendicazioni europee, nella

versione e con le peculiarità italiane, definite nell’ambito della Rete Europea “La salute non è in

vendita”.

Il testo ha costituito la piattaforma di riferimento per la giornata europea contro la

commercializzazione della salute che si tiene ogni 7 aprile (giornata internazionale della salute

stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).

Da questo testo è stato altresì tratto un documento sottoposto ai candidati italiani alle elezioni europee

cui molti hanno esplicitamente condiviso e aderito.

Fanno parte della Rete Europea : Coalition Santè (Belgio), EPSU (European Public Service Union –

raccoglie sindacati nazionali dei servizi pubblici), Le Mouvement Populaire pour la Santè (Francia),

Mareas Blancas (Spagna). Oltre a distinte associazioni come Medicina Democratica e il Forum per il

diritto alla salute opera un Gruppo di lavoro italiano cui fanno parte realtà locali e singole persone

che si riconoscono e operano per gli obiettivi della Rete Europea tra cui il Coordinamento Campano

per il diritto alla salute, il Coordinamento Milanese di Solidarietà dalla parte dei lavoratori.

1. Vogliamo un’Europa che favorisca un finanziamento pubblico della sanità sufficiente a

garantire la qualità delle cure e adeguate condizioni di lavoro per i professionisti della salute.

Per la nostra salute, bisogna garantire un finanziamento adeguato per i servizi sanitari pubblici

e non commerciali garantendo un sistema di protezione sociale solidale e universale che offra servizi

accessibili, di qualità e condizioni di lavoro sostenibili e attrattivi per il personale sanitario.

Il ruolo dell’Europa

La crisi economica del 2008 ha modificato in modo significativo la natura dell’intervento delle

istituzioni europee nei sistemi di assistenza sanitaria a livello nazionale.

Inizialmente si trattava di scambi di buone pratiche, oggi sono raccomandazioni attraverso il semestre

europeo.

La Commissione può anche mettere in mora uno Stato di prendere decisioni, con sanzioni finanziarie

in caso di mancato rispetto. Condiziona gli aiuti europei (ad esempio il piano di ripresa e resilienza

chiamato “Next generation EU”) a misure di controllo del bilancio.

Le raccomandazioni sulla salute sono principalmente incentrate sulla spending review. Ad esempio,

raccomandano una riduzione dei costi delle cure istituzionali, una riduzione dei rimborsi per le cure

e dei finanziamenti per le case di riposo e gli ospedali. L’obiettivo dichiarato è quello di migliorare

l’efficienza dei bilanci pubblici.

Queste pressioni europee spingono anche i governi nazionali a ridurre le spese pubbliche per la

protezione sociale (pensioni, disoccupazione, sanità), ma non solo. Anche le spese per i servizi

pubblici/collettivi (istruzione, assistenza all’infanzia, alle persone disabili, agli anziani, trasporti…)

o addirittura per le infrastrutture sono prese di mira. L’Europa favorisce così l’istituzione di

metodiche mercificanti come i PPP (Partenariati Pubblico-Privato) che a lungo termine sono

un’aberrazione economica e che sottopongono gli imperativi di salute pubblica agli interessi privati.

Allo stesso tempo, gli Stati riducono interventi sociali ad esempio se finanziano la sicurezza sociale

in quanto sono considerate un ostacolo alla concorrenza.

2. Vogliamo un’Europa che protegga la popolazione e il personale dalle derive

commerciali determinate da chiare scelte politiche

Per la nostra salute, proteggere la popolazione e il personale dalle derive commerciali, poiché la

salute e la protezione sociale sono beni comuni e non sono in vendita !

Le derive commerciali

La riduzione o il congelamento delle spese pubbliche per la salute (e il sociale) hanno un impatto sui

salari, i rimborsi, i livelli di investimento (infrastrutture, attrezzature, …)

E quando il settore pubblico si ritira, il settore privato a scopo di lucro si sviluppa, aprendo la porta a

una medicina a due velocità.

▪ Si vedono quindi emergere le derive commerciali.

▪ I subappalti che riguardano soprattutto i servizi sanitari (ad es. servizi di pulizia,

sicurezza, informatica, ristorazione, ecc.) ma anche tutto il settore medico-tecnico (laboratorio,

RX, …)

▪ la privatizzazione che può essere formale (modifica della forma sociale) o meno (fusioni,

partecipazioni, privatizzazione di un servizio pubblico o di un’azienda pubblica, partenariato

pubblico-privato…)

▪ l’aumento delle spese correnti con la parte personale del beneficiario che aumenta per le

cure, i farmaci, le ospedalizzazioni… ciò che consente lo sviluppo delle assicurazioni private

▪ la privatizzazione degli edifici, delle strutture, delle attrezzature, …

▪ l’uso di meccanismi di aumento della concorrenza fra i fornitori di servizi e/o rispetto ai

livelli di qualità del servizio. Sono i “buoni servizio” (per cure personali e servizi domiciliari) :

budget personali (in particolare nel settore dell’assistenza alle persone con disabilità o perdita

di autonomia), l’introduzione di premi speciali per avere un servizio di migliore qualità e un

accesso più rapido ad esso.

▪ Il new management cioè l’uso di metodi di gestione del settore privato come la selezione

dell’offerta più economica a scapito della qualità, l’introduzione di indicatori di performance e

di rapporti di qualità, il confronto di mercato (“benchmarking”…)

▪ il dumping sociale si amplifica attraverso la concorrenza tra le istituzioni sanitarie. Il quadro

normativo si sgretola e il personale diventa una variabile di adattamento in termini di numero

e costo, dato la parte che rappresenta nel bilancio.

Chi ci guadagna con la commercializzazione ?

Le spese per la salute sono più elevate in un sistema commerciale come negli Stati Uniti, dove il

16,6% del PIL è dedicato all’assistenza sanitaria, a differenza di un sistema ancora prevalentemente

pubblico e/o non commerciale come in Francia (11,9% del PIL), in Belgio (10,9% del PIL), in Spagna

(10,5% del PIL), in Italia (9% del PIL) o in Irlanda (6,1% del PIL) (Fonte : statistiche OCSE relative

all’anno 2022 pubblicate nel 2023)

Negli Stati Uniti, la spesa sanitaria pro capite è abnorme se comparata alla « performance » (in termini

di aspettativa di vita, morbilità, …) che invece è paragonabile a quella di un paese emergente!

Il controllo del privato su vaste parti dell’offerta sanitaria indebolisce ulteriormente l’integrazione

delle politiche di sanità pubblica. La presa in considerazione dei determinanti della salute diventa

impossibile poiché è necessaria una redditività immediata e un ritorno sull’investimento.

Gli operatori pubblici hanno subito pienamente la crisi del Covid e ne escono indeboliti, mentre gli

operatori privati sono stati in gran parte preservati.

I trattati di libero scambio e investimento dell’Unione Europea con altri Stati nel mondo impongono

la liberalizzazione dei servizi. Questi trattati permettono sia di garantire investimenti commerciali nei

segmenti redditizi dei servizi sanitari sia di proteggere i monopoli.

La finanziarizzazione del sistema sanitario in Europa ha portato alla concentrazione di trust privati

europei operanti in tutto il mondo che a loro volta portano ad un aumento della pressione verso la

privatizzazione della salute nei paesi del Sud.

Le nostre priorità

Rivedere le direttive relative ai servizi e ai mercati pubblici applicando rigorose regole sulla

qualità e sull’accessibilità, escludendo completamente gli operatori commerciali per tutti i

settori essenziali per la salute e il benessere.

Richiedere clausole sociali, condizioni di lavoro e ambientali negli accordi di libero scambio

che rispettino i determinanti sociali della salute.

Preservare la protezione sociale dagli appetiti delle assicurazioni private a scopo di lucro. I

sistemi sanitari devono essere finanziati esclusivamente da una protezione sociale pubblica

Consentire agli operatori pubblici di mantenere nella sfera non commerciale l’insieme dei

servizi logistici, nonché i prodotti, i servizi e le attrezzature essenziali per un servizio sanitario

di qualità (farmaci, ricerca, attrezzature mediche, protesi, ecc.).

3. Noi vogliamo un’Europa cha garantisca una accessibilità economica, nel territorio,

entro tempi definiti, attenta alle diverse culture a tutte e tutti.

Per la nostra salute, garantire una accessibilità economica, nel territorio, entro tempi definiti,

attenta alle diverse culture

Possiamo considerare più livelli di accessibilità alle cure. Il più evidente è l’aspetto economico che

influenza anche gli altri.

Di quale accessibilità parliamo ?

Accessibilità economica

In un sistema sociale o statale, finanziato dalla tassazione generale, è possibile applicare la

regola dove « ognuno contribuisce secondo i suoi mezzi e riceve secondo i suoi bisogni ».

I sistemi finanziarizzati tendono, invece, a valutare il contributo in funzione del rischio e propongono

un insieme di prestazioni limitato a « un elenco di pacchetti di cura ».

Constatiamo, nella maggior parte dei paesi europei, che la parte sociale regredisce, e che quella delle

assicurazioni private (e commerciali) aumenta.

Le prestazioni sanitarie pagate direttamente, «out of the pocket», da chi ne ha bisogno è in costante

aumento.

Le persone che in diversi stati europei beneficia di una assicurazione malattia di base non può

usufruire della stessa qualità delle cure prevista per chi ha un’assicurazione complementare.

È la sanità a due velocità (vedi sotto) legata alla commercializzazione della protezione sociale. I

cittadini più abbienti possono permettersi cure rapide, regolari e migliori garantite dalle strutture

private. Gli altri devono accontentarsi di ciò che i servizi pubblici, sottofinanziati, possono offrire

loro. E la conseguenza immediata è il rinvio delle cure che può arrivare fino alla rinuncia. Gli esempi

più evidenti si trovano nell’ottica, nelle cure dentali, nelle protesi e nei device. Per le popolazioni più

vulnerabili, le rinunce riguardano spesso cure necessarie dal punto di vista clinico: diagnosi non

effettuate o tardive, malattie croniche non prese in carico che possono evolvere verso complicazioni

(diabete, ipertensione arteriosa, malformazione cardiaca, ecc.).

Accessibilità nel territorio

La prevalenza della redditività e le esigenze di riduzione del debito pubblico, il dogma della

concorrenza “libera e non falsata” sono alla base delle riforme dell’organizzazione delle cure

(ristrutturazioni ospedaliere, ad esempio) e della rarefazione dell’offerta nelle zone non urbane.

Un’inversione rispetto all’organizzazione basata sull’accessibilità in funzione delle curve isocrone,

cioè le linee guida che tendono ad organizzare le cure in modo che nessuno viva a più di un’ora da

una piattaforma tecnica di qualità in grado di garantire alcune cure urgenti ed indispensabili, a più di

mezz’ora da una maternità.

La concentrazione delle attività per specializzazione allontana l’offerta di assistenza ai beneficiari.

In Grecia sono stati chiusi cinque ospedali psichiatrici su otto, in Francia quasi mille maternità,…

diminuendo l’accessibilità e creando ciò che si chiama desertificazione medica. L’allontanamento è

anche fonte di spostamenti costosi.

Accessibilità entro tempi definiti

I tempi d’attesa nel settore pubblico stanno aumentando mentre si sviluppa una pratica “VIP” che

bypassa le code d’attesa tramite le visite private più costose.

A seconda delle specializzazioni, i tempi di attesa per un appuntamento di una visita specialistica

possono raggiungere i 9 mesi in un ospedale pubblico, mentre lo stesso medico può riceverti entro 15

giorni in una visita privata intramoenia, con sovrapprezzo ovviamente.

Per le operazioni chirurgiche i tempi di attesa sono ancora molto più lunghi.

Accessibilità attenta alle diverse culture

La conoscenza dell’offerta esistente e delle procedure per accedervi, la lingua, le abitudini in termini

di igiene e salute… sono elementi che limitano l’accessibilità alle cure.

La complessità dei sistemi di cura e di rimborso, la mancanza di conoscenza dei diritti sociali, la

restrizione dei rimborsi per le prestazioni e i farmaci, i supplementi di onorari non annunciati… sono

tutti fattori che amplificano il rinvio delle cure.

Una presa in carico standardizzata, attraverso le pratiche di normalizzazione comparativa, non

consente più un adattamento alle specificità delle diverse persone.

Le nostre priorità

L’Unione Europea deve esigere dagli Stati membri di garantire un finanziamento adeguato

per i servizi sanitari pubblici e non commerciali, garantendo un sistema di protezione sociale

solidale e universale che offra servizi accessibili e di qualità.

L’Unione Europea deve mirare a ridurre le disuguaglianze sociali, in particolare in materia di

salute. Dovrebbero essere istituiti meccanismi di sanzioni per i paesi che escludono i gruppi

vulnerabili dalla protezione sociale e non rispettano il principio di non discriminazione per un

accesso alle cure di qualità.

Attivare fondi europei per la promozione di una sanità pubblica locale e non commerciale.

4. Vogliamo un’Europa che stimoli la democrazia sanitaria coinvolgendo le persone e il

personale sanitario

Per la nostra salute, stimolare la democrazia sanitaria

Coinvolgendo la società civile, i lavoratori, le lavoratrici e le persone, nella definizione degli obiettivi

e dei mezzi nelle politiche sanitarie.

La partecipazione delle persone è cruciale in sanità.

La gestione manageriale delle cure sanitarie tende a creare un divario tra l’alta burocrazia e la

popolazione, che dovrebbe invece essere il punto finale delle scelte organizzative. Anche il personale

deve partecipare alle scelte poiché sempre più manager impongono le loro idee in modo imperativo.

La democrazia sanitaria mira a coinvolgere i cittadini nelle decisioni relative alla salute, a migliorare

la qualità delle cure attraverso la partecipazione dei pazienti ed eliminare i legami finanziari tra il

comportamento dei pazienti e l’accesso alle cure. Come cittadini, dobbiamo essere attivi nella

progettazione delle politiche sanitarie, tenendo conto delle esigenze della popolazione.

Ciò implica la partecipazione all’organizzazione dei sistemi sanitari e di protezione sociale. Questa

partecipazione deve essere inclusiva, senza discriminazioni basate sull’età, il sesso, la disabilità o

l’origine etnica.

La partecipazione migliora

la qualità delle cure,

l’autonomia dei pazienti

e la loro adesione alla terapia.

La responsabilità non deve essere legata al concetto di controllo del consumo, ma creare una modalità

nell’ambito della democrazia partecipativa anziché suscitare dei sentimenti di colpa.

La prevenzione e l’epidemiologia partecipative svolgono un ruolo fondamentale dando alle persone

la possibilità di essere al centro della verifica e del controllo delle politiche, non solo sanitarie, nei

territori, in particolare dopo il periodo Covid.

Le nostre priorità

Considerare la democrazia sanitaria come un determinante della salute

Garantire una collaborazione orizzontale tra gli attori della salute

Considerare i pazienti come partner nei percorsi di prevenzione e cura

Rafforzare il riconoscimento delle associazioni di pazienti.

La partecipazione dei pazienti dovrebbe estendersi

alle relazioni con i fornitori di cure,

alle istituzioni sanitarie

a livelli politici, evitando così l’influenza delle lobby.

5. I determinanti della salute

Molti fattori interconnessi influenzano la salute: l’età, il sesso, ma anche la classe socioeconomica,

l’istruzione, l’alloggio, la situazione professionale, le condizioni di lavoro, l’alimentazione.

Questi sono i “determinanti sociali della salute” (vedi l’illustrazione). La loro influenza è molto più

importante dei servizi sanitari stessi sulla salute di una popolazione.

Le diseguaglianze accentuano i rischi.

DI fatto, le persone che hanno meno mezzi finanziari per pagare i servizi sanitari sono le più

suscettibili ad averne bisogno in un certo momento della loro vita.

Il sistema economico e politico in atto modella le condizioni di miglioramento di questi determinanti

sociali della salute, ad esempio attraverso le sue politiche ambientali e abitative, i prezzi degli alimenti

e dei farmaci e l’accesso all’acqua.

Per arrivare a una soluzione strutturale, bisognerebbe concentrarsi non solo sui fattori che hanno un

impatto sulla salute, ma anche sui processi che ne determinano la distribuzione disuguale nella

società.

Ciò significa avere il diritto al lavoro e a un reddito dignitoso, il diritto all’alloggio, l’accesso

all’acqua potabile e all’energia, l’uguaglianza tra uomini e donne (con particolare attenzione alla

prevenzione e alla difesa della salute delle donne), il diritto all’istruzione, alla cultura, all’aria pulita,

alla nutrizione, a un ambiente naturale preservato, una regolamentazione delle condizioni di lavoro

che protegga i dipendenti e obblighi i datori di lavoro…

Negli ultimi anni, le nostre società hanno dovuto affrontare diverse crisi che hanno messo in luce e

accentuato la fragilità delle persone più vulnerabili e dei sistemi attuali:

La crisi COVID

ha rivelato la vulnerabilità dei sistemi di sanità pubblica messi in difficoltà da anni di austerità.

ha accentuato le disuguaglianze sociali in termini di prevenzione e trattamento

ha aggravato le condizioni di lavoro dei professionisti e le condizioni di accoglienza delle popolazioni

▪ La crisi economica, attraverso un aumento dell’inflazione, ha portato a una relativa

diminuzione dei salari che non hanno seguito questa progressione, rendendo più difficile l’accesso

Alle cure

Alla casa

A una alimentazione equilibrata

All’acqua

Una crisi sociale attraverso

La messa in discussione del diritto all’aborto in certi paesi

L’aggravamento delle condizioni per la pensione

Il rinforzo delle condizionalità per le indennità in caso di disoccupazione

La rivelazione di scandali sanitari ed assistenziali in particolare concernenti la cura degli anziani

Le nostre priorità

È urgente riconoscere le interconnessioni tra la protezione dell’ambiente, il sistema

economico e la giustizia sociale nelle nostre società.

L’UE ha un ruolo centrale da svolgere nel miglioramento della salute attaccando le cause

profonde come i determinanti sociali, ambientali, ecologici e di genere della salute.

Gli Stati membri e l’Europa devono adottare un approccio intersettoriale alle politiche

valutando le conseguenze di ogni decisione in tutti i settori sulla salute, conformemente alle

raccomandazioni dell’OMS “salute in tutte le politiche»1.

Dobbiamo ribadire la nostra opposizione alla finanziarizzazione e alla mercificazione della

salute. L’essere umano non è una merce.

6. Vogliamo un’Europa che metta in opera una politica dei farmaci al servizio delle

popolazioni europee e del Sud

Per la nostra salute, orientare una politica dei farmaci al servizio della popolazione e non delle

multinazionali farmaceutiche.

Oggi, i farmaci sono sviluppati, prodotti e commercializzati da società commerciali il cui profitto

viene prima della salute pubblica. Purtroppo, la pandemia di Covid 19 ne è stata una drammatica

illustrazione a livello europeo. In piena opacità, l’Unione Europea ha versato decine di miliardi di

euro di denaro pubblico per acquistare vaccini anti-covid. Tuttavia, questi vaccini non avrebbero

potuto vedere la luce senza un massiccio apporto di denaro pubblico e i progressi della ricerca

pubblica (brevetto del 2005 dell’Università di Pennsylvanie, che riduce il carattere infiammatorio dei

vaccini a RNA, e brevetto 070 del governo americano, che consente di stabilizzare il frammento di

RNA grazie a microsfere lipidiche). Da un lato, l’industria farmaceutica ven deva i suoi vaccini a

prezzi esorbitanti ai paesi più ricchi, dall’altro, opponendosi alla revoca dei brevetti, privava i popoli

dei paesi più poveri dei vaccini. L’associazione Global Justice Now, sulla base dei dati di Our World

in Data, ha stimato le conseguenze in oltre 10.000 morti evitabili al giorno.

La posizione monopolistica delle industrie farmaceutiche sui farmaci che i brevetti e i diritti di

proprietà intellettuale conferiscono loro, e permettono anche il loro rifiuto di produrre nuovi farmaci

per patologie rare perchè poco remunerativi, spingono gli Stati ad accettare condizioni finanziarie

infondate. Il costo dei farmaci ha fatto aumentare del 76% le spese pubbliche in farmaci degli Stati

membri europei tra il 2000 e il 2009. Ciò mette sotto pressione i bilanci dei sistemi di salute sociale

di tutti i paesi europei. Allo stesso tempo, i margini di profitto dei gruppi farmaceutici continuano ad

aumentare, raggiungendo quasi il 25%. E Vincent Kiezebrink, un ricercatore di Somo, ha potuto

stimare che il tasso di profitto di Moderna sul suo vaccino anti-Covid si aggirava intorno al 44%,

quello di Pfizer intorno al 50%. Questi gruppi farmaceutici sono diventati uno dei poteri più

importanti del settore economico. La lobby farmaceutica spende almeno 40 milioni di euro all’anno

a livello europeo. Questo valore è quindici volte superiore alle spese di lobbying della società civile

in materia di salute pubblica.

Diversi meccanismi su scala europea portano all’aumento della spesa pubblica per i farmaci :

I trattati di libero scambio e di investimento

I trattati di libero scambio e di investimento proteggono gli interessi economici dell’industria

farmaceutica. Durante i negoziati di questi trattati (TTIP, CETA…), sono stati redatti diversi testi

secondo i desideri dell’industria farmaceutica che prevedono l’esclusività dei dati degli studi clinici

o la riservatezza delle informazioni sulle imprese, con la minaccia di severe sanzioni. Il tribunale

arbitrale proposto in questi trattati illustra il fatto che il beneficio degli interessi economici delle

multinazionali supera l’interesse pubblico.

La concessione dei sussidi europei tramite i partenariati pubblico -privati

Le istituzioni europee hanno finanziato un progetto pubblico-privato da 5,3 miliardi di euro adattato

alla richiesta dell’industria farmaceutica (Innovative Medicines Initiative). Le società commerciali si

appropriano di tutti i benefici dei nuovi farmaci che sviluppano utilizzando i risultati della ricerca

finanziata dall’Europa, dagli stati, dalle istituzioni pubbliche di ricerca o dalle organizzazioni

caritative. Pertanto, le società farmaceutiche impongono i prezzi dei farmaci sviluppati con il sostegno

delle istituzioni europee, senza dover tenere conto del costo effettivo di sviluppo e produzione di un

farmaco.

Il sistema dei brevetti

È l’Agenzia europea dei medicinali che ha il compito di valutare e monitorare i medicinali

nell’Unione europea, nell’interesse della salute pubblica. In diverse occasioni è stata accusata di

essere subordinata agli interessi dell’industria e di mancare di trasparenza, contrariamente alla

missione che le è stata affidata. Le indagini condotte negli ultimi anni mostrano che poco più del 10%

dei nuovi medicinali messi sul mercato europeo offrono vantaggi reali rispetto ai medicinali esistenti.

Ciò significa che il 90% dei nuovi medicinali non apporta quasi alcun valore aggiunto… ma consente

all’industria di ottenere nuovi brevetti e dunque di evitare di diventare farmaci generici, meno onerosi

nel mercato europeo. Una volta che l’autorizzazione è stata concessa dall’agenzia europea dei

medicinali, il prezzo e le modalità di rimborso sono fissati dalle autorità nazionali degli Stati membri.

Oggi il prezzo di un farmaco viene fissato, dopo lo sviluppo, da convenzioni ultra segrete concluse

tra un paese e una società farmaceutica. Questo sistema opaco consente all’industria di non ridurre il

prezzo pubblico di un prodotto nel paese in cui la convenzione è firmata e quindi di non mettere in

pericolo le negoziazioni sui prezzi in altri paesi. In questo sistema, i cittadini non hanno alcun

controllo né informazione sulla qualità e sul costo dei farmaci che vengono loro prescritti. Ma questi

prezzi elevati influenzano i rimborsi complessivi dei sistemi sanitari. Centodieci oncologi hanno

denunciato, in Francia, il fatto che in quindici anni il prezzo medio dei trattamenti antitumorali è

aumentato da 10.000 a oltre 120.000 euro per paziente all’anno. Regolarmente, per limitare la crescita

inesorabile delle spese sanitarie e sotto il pretesto di responsabilizzare i pazienti, il tasso di copertura

delle spese sanitarie da parte dell’assicurazione malattia è ridotto (budget ospedalieri, rimborso dei

farmaci e degli atti medici, ecc.). Queste disposizioni favoriscono la privatizzazione dei sistemi

sanitari attraverso un aumento del finanziamento privato del rischio malattia: il trasferimento del

carico del finanziamento dei farmaci e dei presidi sanitari alle assicurazioni malattia complementari

è aumentato in tutti i paesi europei. In Francia, il finanziamento da parte delle assicurazioni

complementari è passato dal 5,3% nel 1980 al 13,3% nel 2015. I laboratori non necessariamente ci

perdono. Oggi decidono se produrre o meno in quantità sufficiente alcuni farmaci, generando carenze

sempre maggiori negli ultimi anni. In Francia, il numero di segnalazioni all’agenzia di sicurezza del

farmaco è passato da 405 nel 2016 a 1504 nel 2019 e 2446 nel 2021. Riguardano cure per le quali una

interruzione è rischia di mettere in gioco la prognosi di vita dei pazienti. Le aziende farmaceutiche

negoziano i prezzi al rialzo. Così nel 2023 in Francia, il costo dell’amoxicillina in situazione di

penuria da diversi mesi, è stato aumentato del 10%. Oppure impongono la sostituzione di specialità

più costose.

I farmaci innovativi

C’è una mancanza di collaborazione a livello europeo sulla negoziazione dei prezzi di questi farmaci.

La multinazionale Gilead detiene il brevetto del Sofosbuvir. Il costo di produzione per una cura con

Sofosbuvir è di 100€. Il prezzo di vendita era di 30.000£ nel Regno Unito, 84.000$ negli Stati Uniti,

40.000€ in Belgio e 41.000€ in Italia e in Francia. In Francia, è sceso a 24.900 euro per una cura di 3

mesi. La ricerca per questa cura è stata fatta da un’università pubblica, i risultati sono stati poi

acquistati da Gilead. Dopo meno di un anno dalla commercializzazione, tutti i costi di investimento

sono stati rimborsati.

Le nostre priorità

I farmaci essenziali devono essere “accessibili, disponibili, economicamente disponibili, di

buona qualità e ben utilizzati”, al fine di soddisfare le esigenze di miliardi di esseri umani in

Europa e altrove nel mondo.

Nel caso in cui sia disponibile un farmaco generico, dobbiamo dargli la priorità attraverso i

mercati pubblici. Quando un farmaco viene venduto a un prezzo elevato, la produzione di

farmaci equivalenti prima della scadenza del brevetto dovrebbe essere resa possibile attraverso

le licenze obbligatorie. Di conseguenza, l’uso delle licenze obbligatorie dovrebbe essere

facilitato. In caso di crisi sanitaria come la pandemia COVID, la revoca dei brevetti su tutte le

terapie deve essere imposta.

Le istituzioni europee, come l’EMA e la Commissione europea, devono sostenere lo sviluppo

di nuovi modelli di ricerca e sviluppo, produzione e distribuzione di prodotti di qualità, come i

principi basati sulla “scienza aperta” e le licenze socialmente responsabili, in base alle esigenze

mediche e sociali. Le collaborazioni internazionali devono essere incoraggiate e i finanziamenti

pubblici forniti nella misura necessaria.

È necessario istituire una migliore collaborazione tra gli Stati membri e le istituzioni europee

per valutare il valore di un nuovo farmaco, il costo del suo sviluppo e accedere a tutte le

informazioni utili.

Migliorare la determinazione dell’innovatività e del bisogno sociale e terapeutico rispetto alle

alternative già disponibili sul mercato dei farmaci (ad esempio farmaci generici e biosimilari)

7. Vogliamo un’Europa che risolva la carenza di personale sanitario proteggendo i paesi

più deboli dalla fuga dei professionisti verso i paesi più ricchi.

Per la salute di tutte le popolazioni, assicurare condizioni salariali e di qualità del lavoro al

personale sanitario locale per garantire una buona assistenza, rendere queste professioni

sostenibili e ridare loro un’immagine di prospettiva per i giovani.

Il ruolo dell’Europa

La pandemia da Covid-19 ha evidenziato che l’Europa detiene competenze determinanti nel settore

della sanità pubblica, al di là di quanto previsto dall’articolo 152 del Trattato CE, che stabilisce che

“è garantito un elevato livello di protezione della salute umana nella definizione e nell’attuazione di

tutte le politiche e azioni della Comunità”.

Il principio fondamentale di libera circolazione dei professionisti e delle imprese dell’UE comporta

gravi rischi per la salute pubblica. Alcune direttive cercano, ad esempio, di armonizzare i requisiti di

formazione, ma il controllo in materia rimane principalmente di competenza nazionale. In un rapporto

del Senato francese, si legge: “Nel quadro del Semestre europeo 2020, la relazione per la Francia

pubblicata dalla Commissione europea il 26 febbraio scorso precisa infatti che le condizioni di

accesso a determinate professioni regolamentate e diverse normative e tariffe non favoriscono gli

investimenti. La Commissione aggiunge che queste restrizioni hanno un impatto negativo sulla

dinamicità delle imprese, sulla competitività e sull’offerta di servizi prof essionali, a scapito del

consumatore finale. Queste raccomandazioni vanno nella direzione delle osservazioni formulate

dall’OCSE: liberalizzare di più le professioni regolamentate e continuare a semplificare le normative

a loro applicabili potrebbe stimolare la crescita della produttività e aumentare il PIL pro capite. Questa

assimilazione delle professioni sanitarie a qualsiasi altra attività economica e commerciale preoccupa

i professionisti della salute che la ritengono incompatibile con l’esercizio della loro attività a

vantaggio dei pazienti.”

Il personale sanitario, già sotto pressione a causa dei tagli ai sistemi sanitari imposti, in parte, dalle

normative europee, ha pagato un ampio tributo alla pandemia, ovunque in Europa e nel mondo. Anche

se la Commissione ha dovuto allentare i vincoli di bilancio sugli Stati e ha stanziato fondi significativi

nell’ambito del piano di ripresa e resilienza, bisogna evidenziare che tali misure non sono riuscite a

invertire davvero la restrittiva sui bilanci nazionali, e che una parte significativa di questi b udget è di

fatto indirizzata verso una dinamica di privatizzazione e commercializzazione della sanità.

Con l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la pressione sulle economie nazionali ed europee è

aumentata: In poco tempo i budget originariamente destinati a migliorare le condizioni di lavoro del

personale sanitario sono stati dirottati verso aumenti delle spese energetiche e budget militari.

Le conseguenze non si sono fatte attendere

Le difficoltà per le professioni sanitarie si sono diffuse ampiamente, nonostante gli applausi della

prima ora. L’ uscita dalla crisi è stata catastrofica. Invece di mettere in atto misure per rivalutare come

intervenire sul lavoro, di consentire al personale di prendersi una pausa e di offrire una vera

prospettiva per migliorare le professioni stesse, la pressione della domanda di cura (patologie non

trattate durante la pandemia) ed economica (redditi bloccati per i medici e molte altre discipline),

hanno portato a un aumento dell’intensità lavorativa per tutte le attività sanitarie. Cosi, il personale –

insufficiente- ha visto peggiorare ulteriormente le sue condizioni di lavoro, alimentando un circolo

vizioso che ha portato a una quasi generale ulteriore d iminuzione di personale, aggravata dalla

percezione negativa tra i giovani che avrebbero potuto intraprendere queste professioni.

Le conseguenze includono anche un elevato tasso di assenteismo, spesso di lunga durata (burn -out,

…) ma anche la fuga verso il lavoro a tempo parziale o verso altri settori professionali. La realtà del

lavoro sul campo non è più compatibile con gli elementi che motivano più spesso il personale sanitario

(aspetto umano, visione olistica, …). L’immagine negativa che ne deriva allontana ancora di più i

giovani, che non riconoscono più queste professioni come professioni con una prospettiva. La carenza

di personale, inoltre, crea un circolo vizioso di deterioramento delle condizioni di lavoro e delle cure.

A questo punto, non si tratta solo di trovare soluzioni per migliorare le condizioni di lavoro, ma di

gestire effettivamente la carenza di professionisti, che sta influenzando sempre più la qualità delle

cure e la loro accessibilità (liste d’attesa, desertificazione medica e infermieristica, concentrazione

degli operatori in poche sedi, selezione delle patologie, …).

La tentazione per gli stati e le multinazionali diventa forte: andare a reclutare professionisti sanitari

in paesi con un tenore di vita inferiore, sia in altri paesi europei (Romania, Polonia, Estonia,

Portogallo, …) che del Sud (Filippine, Maghreb, …). In Romania, un quarto dei posti di medico è

vacante. In alcune regioni della Bulgaria, rimane solo la metà del personale sanitario…

Le nostre priorità

I bilanci degli Stati membri devono essere in grado di affrontare le sfide sanitarie di oggi e di

domani (invecchiamento della popolazione, impoverimento, malattie croniche, mentali e

professionali, ecc.), senza aumentare la pressione sul lavoro del person ale sanitario.

I meccanismi di solidarietà devono offrire un maggiore sostegno ai paesi meno ricchi,

consentendo di garantire al loro personale sanitario condizioni di lavoro e salariali paragonabili

a quelle dei paesi più ricchi.

L’Europa deve imporre normative sul personale che garantiscano la qualità delle cure e

condizioni di lavoro adeguate.

Si tratta di armonizzare a livello europeo i salari e le condizioni di lavoro per consentire una

vera libertà di circolazione dei professionisti.

L’Europa deve limitare la possibilità ai professionisti sanitari di essere assunti in un paese

dell’unione se ciò mette a rischio i sistemi sanitari nei paesi più fragili.

L’Europa deve vietare l’intervento di imprese private a scopo di lucro nel “traffico dei camici bianchi”, sia nei paesi di partenza che in quelli di destinazione.   

25/2/2025

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