L’Autonomia Differenziata, una corsa alla divisione del Paese che va fermata

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Ancora una volta il governo riparte sul terreno dell’Autonomia Differenziata inserendo nel collegato della manovra di bilancio questo progetto che resta uno dei più sconosciuti alla moltitudine delle cittadine e dei cittadini.
E’ un tema del quale non si sente parlare e che non occupa nessuno spazio mediatico.

Nessun dibattito pubblico affronta la questione e pare essere un tema lontano e astratto, ma così non è. Non trova spazio nei telegiornali e negli organi di informazioni di massa e resta relegato ad argomento del quale si occupano soltanto gli addetti ai lavori. Eppure se il progetto fosse realizzato, se l’autonomia differenziata venisse attuata, avrebbe delle ricadute concrete gravi nella vita di ciascuna e ciascuno.
Per questo sarebbe necessario permettere a chiunque di comprendere a fondo le conseguenze di questo pernicioso progetto legislativo.

E’ necessario essere netti e dire con chiarezza che dietro l’Autonomia Differenziata si nasconde la divisione del paese e la liquidazione definitiva di tutto ciò che è pubblico, cioè finalizzato all’interesse generale: istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture, beni culturali.
Ogni regione, se il progetto passasse, farebbe per sé trattenendo la maggior parte delle risorse provenienti dal gettito fiscale.

In questo modo i principi che rappresentano le conquiste democratiche della 1^ parte della Costituzione verrebbero, nei fatti, annullati. determinando un aumento delle diseguaglianze, andando ad aumentare il solco tra ricchi e poveri. Questo progetto determinerebbe una doppia divisione: tra territori e tra cittadini dello stesso territorio
perché tutti sarebbero colpiti attraverso la rimessa in causa dei contratti collettivi nazionali, dei servizi, dell’accesso agli stessi diritti e alla loro esigibilità.
Perchè, se in un primo momento questo progetto farebbe sprofondare le regioni del Sud, allo stesso modo porterebbe un attacco ai cittadini del Nord, andando ad acuire le diseguaglianze.

E’ in gioco l’unità del paese ed evidentemente l’unità della Repubblica che si fonda sulle leggi uguali per tutte le cittadine e i cittadini, sui contratti nazionali, sulle infrastrutture nazionali e sul sistema di tassazione nazionale.
L’Autonomia differenziata è infatti un processo di disgregazione dello Stato e di divisione della Repubblica dalle conseguenze pericolosissime e incalcolabili: accettarne l’avvio, più o meno marcato, vuol dire accettare di far comunque i primi passi verso il disastro, innescando dinamiche che diventerebbero via via ed esponenzialmente più gravi. Un processo che implica – nell’attacco sincronico a 23 materie che corrispondono a elementi fondamentali della nostra vita quotidiana – la frammentazione dal patrimonio immateriale (la scuola, l’università, la ricerca) a quello materiale (le infrastrutture, strade, autostrade, aeroporti).

L’Autonomia Differenziata è un progetto che porta alla frantumazione della forza delle lavoratrici e dei lavoratori perchè rimette in causa proprio ciò che li tiene insieme in un quadro di riferimento e cioè le legislazioni uguali, i contratti uguali e i sindacati nazionali.

Nella sanità sarebbe un disastro perchè, se è vero che è già in parte regionalizzata, è anche vero che esiste ancora un sistema sanitario nazionale, esistono ancora gli ospedali pubblici, in caso di necessità tutti, in maniera indistinta, possiamo ancora accedere al Pronto Soccorso.
Ma questo sistema verrebbe completamente smantellato con l’Autonomia Differenziata . Proprio in Lombardia abbiamo già visto i disastri prodotti dalla regionalizzazione, ma non è nulla di fronte a ciò che si prospetta perchè ciò che si prepara è un sistema similare a quello americano basato sui fondi assicurativi in un sistema privatizzato. Si va nella direzione che l’accesso alle cure diventa una variabile dipendente dal potere d’acquisto di ciascuno. In sostanza per curarsi, sarà necessario stipulare una polizza assicurativa.
Tutto ciò appare molto chiaro nella proposta dell’Emilia Romagna, con la quale Bonaccini chiede maggiore autonomia per istituire e regolamentare i fondi sanitari integrativi

E chi c’è dietro i fondi sanitari integrativi? Enti, Associazioni, Società di mutuo soccorso, compagnie assicurative che svolgono assistenza sanitaria integrativa, attraverso la stipula di polizze.

Solo per citare alcuni esempi …

L’Autonomia Differenziata, una corsa alla divisione.

Una vera e propria strada imboccata verso la privatizzazione del sistema sanitario.
E l’Istruzione? Quali esiti avrebbe la regionalizzazione del sistema di Istruzione? Quali sono i pericoli?

Vediamo di approfondire perchè tra le materie indicate come quelle che dovrebbero diventare di competenza regionale troviamo l’istruzione che si vedrebbe “spacchettata” in 20 sistemi di istruzione regionale con caratteristiche e funzionamenti diversi tra loro.
Abbiamo già potuto, purtroppo, sperimentare durante le fasi di picco pandemico, la gestione “regionalizzata” del sistema scolastico. Abbiamo assistito ad un vero e proprio caos in termini di aperture – chiusure, della didattica a distanza, della gestione del trasporto locale …
Scuole aperte, scuole chiuse, scuole à la carte, come il caso della Regione Puglia.
Tutto ciò è nulla a confronto di ciò che potrebbe accadere se il sistema scolastico venisse regionalizzato. Procedere con l’AD significherebbe andare verso una privatizzazione del sistema di istruzione con la rimessa in causa della Scuola della Repubblica che poggia il suo fondamento in istituzioni, leggi, contratti e condizioni sociali uguali in tutto il territorio nazionale.
Per questo colpire la Scuola significa portare un colpo terribile, attraverso la parcellizzazione, la frantumazione del sistema, all’unità della Repubblica.
Vediamo nel dettaglio che cosa rimetterebbe in causa l’Autonomia Differenziata

L’esempio di ciò che potrà accadere nella scuola con la regionalizzazione è ben rappresentato dal sistema scolastico delle province di Trento e di Bolzano che stato provincializzato nel 1996 da un governo di centro sinistra.
Per anni la scuola di Trento e di Bolzano è stata considerata un esempio di efficienza e di qualità; oggi, a distanza di più di vent’anni, il sistema mostra e tutte le sue contraddizioni e molti insegnanti trentini vorrebbero tornare ad avere un contratto collettivo nazionale.

Per esempio i Dirigenti Scolastici sono nominati direttamente dalle giunte provinciali e regionali che sono le stesse amministrazioni che li valutano. E da questa valutazione dipende in modo diretto la retribuzione.
Andiamo a vedere nel dettaglio: all’atto della provincializzazione gli stipendi dei Dirigenti Scolastici sono aumentanti di circa 1000 euro al mese. Nel 2016, tali figure hanno ricevuto stipendi tra i 60 e i 100 mila euro lordi, contro i 45 mila di media nazionale.
E se pensiamo che la retribuzione dei Dirigenti è composta da più voci, tra le quali il trattamento di risultato

appare evidente la presumibile pressione esercitata direttamente dal potere politico locale.
E per quanto concerne le retribuzioni dei docenti? Anche gli insegnanti delle province autonome di Trento e Bolzano hanno visto aumentare il loro stipendio, all’indomani della
provincializzazione del sistema.
Ma si tratta davvero di un aumento?
Se guardiamo i dati scopriamo che gli insegnanti di queste province guadagnano mediamente circa 300 euro in più dei colleghi delle altre regioni italiane.

Ma a fronte di questa cifra maggiorata, andando a fondo, ci si accorge che si tratta soltanto di una retribuzione relativa all’aumento dei carichi di lavoro. In sostanza guadagnano di più perchè hanno orari e carichi di lavoro maggiore. Il loro contratto prevede 40 ore aggiuntive e da 70 a 99 ore di recupero

Inoltre le cifre aggiuntive percepite sono da intendersi lorde, sono percepite per 10 mensilità e non sono computabili ai fini pensionistici.
In più tutte le eccedenze di ore vengono utilizzate per l’assistenza mensa, per il recupero e le supplenze fino a 5 giorni. Anche in questo caso si tratta di condizioni peggiorative rispetto al contratto collettivo nazionale.

Anche il personale ATA (assistenti di segreteria e collaboratori scolastici) non è passato indenne attraverso il viatico della provincializzazione, poiché è stato immediatamente esternalizzato e può essere chiamato direttamente dai Dirigenti Scolastici.
Una vera e propria privatizzazione di questo ramo del sistema.

Allo stesso modo i Dirigenti scolastici possono reclutare i docenti attraverso la chiamata diretta e così alcuni insegnanti lamentano che, all’atto dell’assunzione, vengano poste loro domande che non hanno nulla a che vedere con la professionalità insegnante

Inoltre l’aggiornamento del personale viene definito da un ente provinciale che è nominato direttamente dalla giunta politica la quale indica le materie di aggiornamento e dà l’autorizzazione per il suo riconoscimento.

Anche i programmi di studio sono di diretta emanazione del potere politico locale. A differenza di ciò che succede nel resto del paese, dove sono in vigore le Indicazioni Nazionali per il Curricolo, in Trentino i programmi vengono definiti dalla giunta provinciale.

Ma quali sono le conseguenze?

Vediamo qualche esempio: in una disciplina come la Storia, può accadere che il raggio di analisi e di studio si restringa a tal punto da farle assumere una connotazione localistica e
che il quadro di insieme si disperda determinando delle gravi carenze nel bagaglio di conoscenze degli studenti.
Come si vede bene nell’esempio della Tav. 7.

A conti fatti, la provincializzazione del Sistema di Istruzione delle province autonome di Trento e Bolzano ha innescato un vero e proprio processo di privatizzazione e ha peggiorato le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola

E’ evidente che proseguire su questa strada, porterebbe alla fine dei contratti collettivi nazionali, determinando condizioni di lavoro diverse tra le regioni con la difficoltà evidente, da parte dei lavoratori, di resistere uniti agli attacchi che rimettono in causa il sistema.

Perchè se è vero che nelle bozze delle Intese che le Regioni hanno presentato si legge che “le assunzioni restano allo Stato” è altresì vero che sarà anche istituito un organico regionale parallelo, un vero e proprio sistema duale di reclutamento e di retribuzioni che, nei fatti, svuoterà a poco a poco i contratti nazionali.
Se guardiamo la proposta di Autonomia Differenziata dell’Emilia Romagna, tutto ciò è molto chiaro

Ma i pericoli non sono finiti perchè, sul piano nazionale, il governo prepara il terreno all’applicazione dell’Autonomia Differenziata attraverso la penetrazione dei privati nella Scuola.

Leggendo il rapporto che il ministro Bianchi ha presentato il 13 luglio, quando era a capo della task force voluta dall’ex ministra Azzolina, si comprende che quello che si prepara per la scuola è un vero e proprio piano di disarticolazione del sistema scolastico che ricalca in molti punti il progetto della Buona Scuola di Renzi. Si tratta di un documento che, letto con attenzione, svela i pericoli con cui si dovrà confrontare la scuola nei prossimi mesi.

Proprio in quel documento Bianchi ha indicato nella valorizzazione dell’autonomia scolastica la via maestra per la scuola e nei patti territoriali lo strumento chiave per per correre questa strada. Ma questo rappresenta un’ulteriore pericolo per la scuola perchè Bianchi individua un sistema pubblico e privato paritario che procedono insieme e si completano. Ma attenzione, perchè si tratta però di un privato, a dire del governo, sociale, con prevalenti finalità educative, più vicino alla nostra tradizione storica e culturale. Quindi si tratterebbe di un privato “buono” e “solidale” perchè motivato da finalità educative. E lo definisce con la formula esplicita di una combinazione tra assetto autonomo e solidaristico.
Quindi ecco la penetrazione dei privati che entrano nella scuola. Si chiama combinazione tra assetto autonomo e solidaristico, ma è l’ingresso dei privati.

Quali privati? Il terzo settore: cooperative, società sportive, enti religiosi …
E il pericolo maggiore di questa penetrazione è illustrato proprio da Bianchi quando dice che si tratta di un meccanismo che conferisce una consistente base di autonomia nella definizione dei programmi e dei contenuti e che, di conseguenza, finisce per valorizzare il ruolo e le responsabilità del dirigente scolastico.
Ne consegue che questi privati che penetrano nella scuola mettono mano, avranno voce in capitolo, anche sulla definizione dei programmi e dei contenuti.

Ecco la disarticolazione della Scuola della Repubblica.
Le scuole procedono in autonomia, ognuna per sé, nel legame con il loro territorio di riferimento e nel farlo aprono ai privati.
E, come abbiamo già precisato, i “Patti territoriali” diventano lo strumento chiave.
Addirittura Bianchi propone una “flessibilizzazione” dei curricula, che permetta, attraverso la formulazione di “Patti educativi di comunità”, di coinvolgere il territorio in cui la scuola è inserita, dando spazio ad attività informali come la musica d’insieme, l’arte e la creatività, lo sport, l’educazione alla cittadinanza, alla vita collettiva e all’ambiente, l’utilizzo delle tecniche digitali e conoscenze computazionali, che divengono sempre più driver della nuova socialità, attività che nel loro insieme definiamo Attività C.A.M.PU.S.: Computing, Arte, Musica, vita Pubblica, Sport.

Ma che cosa significa in concreto?

Che non saranno soltanto più gli insegnanti a fare didattica, ma che ci saranno altri soggetti che si occuperanno di attività informali e per fare questo occorre flessibilizzare i curricoli e cioè sganciare il sapere disciplinare.

Possiamo ragionevolmente immaginare che saranno diminuite delle ore di insegnamento curricolare per consentire “l’altro”; promosso dai privati.
E infatti Bianchi dice che agli insegnanti resta la responsabilità di una adeguata rilevazione delle esperienze e dei saperi acquisiti.

E’ un vero e proprio processo di de-istituzionalizzazione della Scuola che ha la finalità di trasformare la scuola da istituzione a fetta di mercato.
Ed è proprio il ministro Bianchi ad indicare la connessione esistente tra Patti territoriali e Autonomia Differenziata laddove fa riferimento alla necessità di definire i Lep nella scuola : “Resta infine necessaria la funzione di guida nazionale dell’intero sistema formativo nazionale, statale e non statale, con la definizione di standard (a partire dai LEP) che colgano le componenti unitarie del disegno educativo dell’intero Paese, le componenti specifiche di ogni indirizzo ed infine le componenti caratterizzanti l’offerta di ogni scuola, nell’ambito di una visione unitaria e integrata. Proprio per questo il Comitato ritiene necessario che tali azioni siano sostenute da un confronto continuo con le Regioni, a cui sono attribuite funzioni di programmazione nel territorio e con gli enti locali a cui sono demandate le competenze sulle strutture scolastiche”.

Insomma, una vera e propria dichiarazione di intenti che sembra aprire la strada dell’Autonomia Differenziata.
Una vera e propria corsa allo smantellamento della scuola della Repubblica, una corsa alla divisione del paese e ad una frantumazione del movimento dei lavoratori che va fermata!

Monica Grilli

Esecutivo Nazionale Comitato per il ritiro di ogni autonomia Differenziata, l’Unita della Repubblica e l’Uguaglianza dei Diritti

Pubblicato sul numero di novembre del mensile Lavoro e Salute

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