Libertarismo, una nuova leva per l’estrema destra?

Le conseguenze della vittoria di Javier Milei alle elezioni presidenziali argentine potrebbero essere più ampie di quanto suggerirebbero le particolarità di questo Paese sudamericano. Potrebbe infatti aprire un nuovo campo per l’estrema destra nell’attuale contesto economico e sociale. Naturalmente il caso argentino è unico. L’altissima inflazione endemica, la passione degli argentini per il dollaro americano, l’onnipresenza dell’eredità peronista, il sentimento di declino sono tutti elementi che rendono difficile vedere questo paese come un “modello”. Tuttavia, la clamorosa vittoria di un economista di ispirazione libertarista non può che suscitare l’interesse dell’estrema destra in tutto il mondo. Per diversi decenni l’estrema destra si era progressivamente distaccata dal pensiero libertario. Negli Stati Uniti, il Partito Libertarista è rimasto microscopico e la sua influenza nel Partito Repubblicano è stata debole. Con Trump si tratta di un discorso protezionistico, che richiede un’azione attiva da parte dello Stato e il controllo della Banca Centrale che ha preso il sopravvento nell’estrema destra americana. In Francia, il Fronte Nazionale (FN) di Jean-Marie Le Pen, che negli anni ’80 dichiarava di sostenere Ronald Reagan e Margaret Thatcher, ha riformulato il suo discorso economico attorno alla difesa nazionalista della ridistribuzione e di uno Stato forte anche sul piano economico. Nella stessa Germania, il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), fondato nel 2013 da economisti liberali, si è gradualmente trasformato in un partito incentrato sulla critica all’immigrazione in quanto mina la protezione sociale dei tedeschi. D’ora in poi il partito è nazionalista e pretende di difendere le piccole pensioni e il finanziamento del sistema sanitario. Il fenomeno ha assunto forme particolari in ogni paese, ma il discorso che ha alimentato economicamente l’estrema destra è stato quello della protezione all’ombra di uno stato sociale riorientato sulle priorità nazionali ed etniche. Questa logica era comprensibile. La crisi del neoliberismo e le sue conseguenze negli anni 2000-2010 hanno infatti lasciato indietro intere fasce della popolazione. L’estrema destra potrebbe quindi cercare di centrare queste vittime del “capitale globalizzato”, della distruzione dello stato sociale e della concorrenza con la manodopera immigrata. La visione libertarista difficilmente è entrata in questa strategia ed è stata rapidamente emarginata, anche se l’estrema destra difende spesso tagli fiscali focalizzati sui redditi medi. Lo Stato, sede della sovranità e agente della protezione dei cittadini “veri”, era allora il cuore della visione di estrema destra contro gli attacchi neoliberisti.

La rinascita della critica libertarista al neoliberismo

Ma la crisi del neoliberismo ha subito un’accelerazione, in particolare con la crisi sanitaria. La relazione tra accumulazione capitalistica e sostegno pubblico diretto divenne evidente e assunse proporzioni considerevoli. Allo stesso tempo, l’emergere dell’inflazione e la conseguente crisi del tenore di vita quasi ovunque in Occidente hanno dato peso alla critica libertaria alle banche centrali e ai monopoli. Sarebbero le manipolazioni dello Stato che, d’ora in poi, impedirebbero l’instaurazione di un capitalismo “giusto”. Questa visione è stata ulteriormente alimentata dagli effetti delle misure restrittive e coercitive della crisi sanitaria, che hanno contribuito a presentare lo Stato come un potere coercitivo giunto a limitare la libertà in generale e quella economica in particolare. Una visione molto presente tra i giovani, prime vittime del confinamento. Questa rinascita del libertarismo come componente dell’estrema destra è avvenuta gradualmente e ha preso forma concreta in alcune comunità, in particolare quella delle criptovalute. Questo è ciò che ha mostrato l’autrice Nastasia Hadjadji nel suo libro No Crypto (Divergences, 2022): la convergenza tra “techno-geek” e pensiero libertarista all’origine delle criptovalute alimenta ambienti di estrema destra negli Stati Uniti e in Europa, ma anche in alcuni paesi emergenti, come El Salvador. Di fronte a un mainstream neoliberista che richiede sempre più l’azione dello Stato sull’economia, ma anche termini di sovranità e protezionismo, il consenso neoliberista che ha portato al trionfo di queste politiche tra gli anni ’80 e gli anni 2000 si sta frammentando. Questo consenso si formò tra gli ambienti neo-keynesiani che accettavano ormai il primato dei mercati, i neoclassici centrati sull’efficienza e la razionalità dei mercati, e una parte dei libertaristi (gli storici “neoliberali” con Friedrich Hayek e Ludwig von Mises) che non potevano che accettare le politiche di mercatizzazione e globalizzazione. Ma con la crisi del 2008, poi quella del 2009, quest’ultima componente tende a rendersi autonoma attorno alla crisi del quantitative easing delle banche centrali e delle politiche di sussidio. Questo empowerment diventa quindi una critica al “centro” neoliberista che avrebbe rovinato gli effetti positivi del mercato attraverso il suo statalismo e il suo ricorso alla creazione monetaria. Assume allora un carattere profondamente “antisistema”.

Un vantaggio per l’estrema destra?

È questo fenomeno che ha portato Javier Milei al potere in Argentina. Ancora una volta, la situazione in questo paese lo rende ovviamente un caso estremo, dove tale discorso è molto più “udibile”. Ma una dinamica dello stesso tipo non è impensabile altrove, dove l’inflazione ha fatto strage e la collusione tra Stato e capitale diventa evidente. Ciò è tanto meno improbabile in quanto il libertarismo dispone di tutte le risorse di cui ha bisogno l’estrema destra. È un modo di pensare radicalmente ineguale che si affretta a giustificare tutte le dominazioni interpersonali, geopolitiche ed economiche, in nome del “merito” individuale. Il razzismo, la xenofobia, il sessismo, l’odio verso i “perdenti” e i “poveri”, discorsi abituali e costanti dell’estrema destra, trovano lì giustificazioni teoriche. Ma la destra radicale trova nel libertarismo anche i mezzi per fare marketing politico e sviluppare la propria base elettorale. La critica “sociale” del neoliberismo lo ha posto in competizione con ciò che resta della sinistra, ma ne ha bloccato l’accesso a una parte delle classi medie e alte che disdegnavano lo statalismo dell’estrema destra. Tuttavia, il pensiero libertarista è interessante in quanto apre una prospettiva alle classi medie difendendo la cosiddetta meritocrazia, offrendo allo stesso tempo alle persone più povere prospettive di fuga dall’inflazione. Il tutto può anche essere avvolto in una doppia unità. Il primo è il rifiuto di una “casta” che dirige lo Stato a proprio vantaggio, non solo a scapito del “popolo”, come nella critica “sociale” del neoliberismo, ma anche a scapito degli “individui meritevoli”, ciò che permette di mobilitare una parte della borghesia che si sentiva presa di mira dal classico “populismo” dell’estrema destra e di giustificare una riduzione delle tasse, anche per i più fortunati. La seconda unità è il rifiuto del “wokismo” e dell’ecologia come “dittature statali”, capaci di sedurre tutti coloro che lo vogliono. “cambiare” senza cambiare né il loro modo di vivere né il loro modo di dominare, in altre parole un elettorato profondamente conservatore.

Un’estrema destra competitiva e pericolosa

Questa è anche la grande lezione della vittoria di Javier Milei: la sua capacità di radunare in massa gli elettori della destra tradizionale e di attrarre gran parte dei giovani senza distinzione di classe. Ciò è sufficiente per far riflettere più di un movimento di estrema destra. Sembra quindi difficile che l’estrema destra ignori la lezione della vittoria di Javier Milei. Non solo il libertarismo è capace di rinnovare la capacità di critica apparente del sistema economico, ma poiché è una critica interna di questo sistema (una critica del grado di mercificazione e non della natura del sistema), è capace di mobilitare ambienti molto diversi. Già prima dell’ascesa di Javier Milei, diversi movimenti di estrema destra avevano tentato di sintetizzare una forma di radicalismo di mercato e nazionalismo etnico. È stato il caso in Francia di Éric Zemmour durante la campagna elettorale del 2022, con alterne fortune, ma anche, ad esempio, del Partito giapponese dell’innovazione (Ishin), creato nel 2015 e che ha ottenuto il 14% alle ultime elezioni generali giapponesi del 2021, che lo ha proiettato in terza posizione. C’è stato anche un po’ di questo sviluppo, a un livello più moderato, nel trionfo di Fratelli d’Italia lo scorso anno in Italia, in particolare nella sua netta distinzione dalle posizioni della Lega sull’atlantismo, sulla politica di bilancio o sulla redistribuzione sociale. Il ritorno del pensiero libertario all’estrema destra dipenderà, ovviamente, da diversi fattori, in particolare dalla storia dei partiti, e sarà sempre “modificato” per integrarsi nella cultura nazionale. Lo si potrebbe fare solo in modo parziale e “opportunistico”. Ma non va trascurata la sua capacità di fare appello al diritto dei diritti. E la vittoria di Javier Milei potrebbe annunciare l’emergere più generale di una nuova forma di estrema destra, tanto competitiva sul piano elettorale quanto pericolosa sul piano ideologico.

Romaric Godin

29/11/2023 https://effimera.org/

L’articolo è stato pubblicato in francese su Mediapart. Traduzione di Salvatore Palidda

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