Malapolitica sanitaria. Salute e sanità in Italia tra riforme e controriforme di Governi e Ministri

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Edoardo Turi
Medico Direttore di Distretto ASL Roma
Medicina Democratica – Forum per il Diritto alla salute

§ Per capire la sanità italiana negli ultimi anni è utile ripercorrere la storia delle politiche dei Governi e dei Ministri della sanità (dal 2001 della salute) a capo dell’omonimo Ministero.
Tuttavia ciò richiede un approccio di ricostruzione storica che,a dispetto della tradizione politico culturale delle sinistre fondamentalmente “storicista”,pur con tutti limiti e le derive di questa impostazione da Machiavelli a Croce,è un metodo che sembra essere stato ormai da questa abbandonato.
I suoi dirigenti e attivisti paiono vivere in un perenne presente,privo di memoria,sia per rimozione volontaria di un ingombrante passato per non voler riflettere sui propri errori,sia per una consapevole abiura dello stesso.
In entrambi i casi l’approdo è una cultura neo liberale,che fondamentalmente sembra unire tutto il mondo politico istituzionale,come specchio di una società pervasa dal pensiero unico dominante.
In alternativa solo il recupero acritico e nostalgico di un passato come un’età dell’oro,in realtà mai esistita veramente se non nell’immaginario e comunque come il prodotto di situazioni sociali irripetibili.
Eppure da Marx a Gramsci l’attenzione alle vicende storiche è sempre stato importante. Così le vecchie generazioni vivono un “analfabetismo di ritorno” poiché non approfondiscono i temi nuovi che la società e la politica pongono,mentre le giovani generazioni sono vittime di un “analfabetismo relativo” perché mancano le sedi di approfondimento e scambio culturale tra specialismi e generazioni (partiti,sindacati,movimenti,scuola,università,luoghi di lavoro),anche per l’atomizzazione e la frammentazione sociale ampliate dai mutamenti del mondo del lavoro e dalla rivoluzione informatica, ormai una quarta rivoluzione industriale,e dai social network.
Questo fenomeno è presente anche in sanità dove, dopo le elaborazioni dei giganti sulle cui spalle camminiamo: G. Maccacaro, F. Basaglia, L. Conti, G. Berlinguer, G. Bert, e,con la più recente eccezione ma anche la diversa impostazione di I. Cavicchi,le generazioni che si sono succedute non sembrano essere più state in grado di un pensiero alternativo adeguato alla fase storica, limitandosi a scopiazzare pedissequamente novità del mondo anglosassone, spesso rivelatesi mode transitorie (Diagnosis Related Group, Clinical governance, Evidence Based Medicine,ecc. e ora One Health,termine coniato per la prima volta dalla Fondazione Rockefeller,poi ripreso da Lancet e solo infine dall’OMS).

Anche la ricerca storica in questo campo sembra fermarsi sulla porta dell’accademia,con le sue pecche, e sulle pregevoli ricostruzioni di G.Cosmacini (1), S. Luzzi (2), F. Terranova (3) e la sintesi storica per la FP-CGIL di A. Marchini (4),da cui è tratta parte della ricostruzione storica di questo articolo,mentre sarebbe necessario un più ingente lavoro di scavo tra le fonti documentali scritte (archivi di partiti e sindacati,società scientifiche, associazioni,documenti informali dei movimenti,atti parlamentari,ecc.),ma anche quelle orali tra i protagonisti e testimoni ancora viventi.Si cita per memoria più in generale sul welfare anche C. Giorgi e Pavan (5),che però si ferma alla soglia della promulgazione della L. n. 833/1978.
Solo parzialmente però queste ricostruzioni storiche hanno fatto riferimento alle contraddizioni sociali e politiche del movimento operaio e democratico.
Al riguardo si ricorda anche E. Turi (6,7),soprattutto per le valutazioni e connessioni con le più recenti vicende sociali e politiche della sinistra in Italia.

Inoltre,sempre da un punto di vista metodologico, il “punto di vista” non può che essere quello della critica dell’economia politica e della critica sociale,avvalendosi anche degli strumenti della sociologia, dell’ antropologia e dell’economia politica,legando gli eventi politici al contesto socio politico nazionale e internazionale.
Non vi è qui lo spazio, e comunque non sarebbe questa la sede, per una ricostruzione storica e socio politica dettagliata delle scelte governative e ministeriali relative alla sanità italiana, ma ci si augura che questo scritto possa essere utile stimolo per ulteriore conoscenza e approfondimenti al riguardo.

§ Così è necessario fissare alcune periodizzazioni:

⦁ dall’ Unità d’Italia alla caduta del fascismo (1861-1945);
⦁ dalla promulgazione della Costituzione ai primi governi di centro-sinistra (Democrazia Cristiana,Partito Socialista Italiano,ecc. 1945-1966);
⦁ il lungo Sessantotto italiano (1967-1980);
⦁ gli anni della controffensiva conservatrice (1981-2006);
⦁ gli anni dalla crisi economica dei subprime all’epidemia Covid (2007-2022).

Naturalmente si farà solo un cenno alle scelte di alcuni governi e ci si soffermerà maggiormente su altri,più utili per comprendere meglio le successive decisioni con impatto sulla sanità italiana, mentre si tralasciano gli esecutivi e i dicasteri meno significativi.

Quali scelte hanno fatto i governi succedutisi in queste fasi della storia italiana? Quale rapporto con la situazione sociale e politica del nostro paese?

§ “La prima legge “nazionale” fu la legge Rattazzi del 20 novembre 1859, in vigore negli Stati sardi ed estesa alla Lombardia.
La tutela della salute pubblica era demandata all’esecutivo (Ministro dell’interno e in giù ai Prefetti e ai Sindaci).
Vennero creati organismi collettivi, il consiglio superiore di sanità e analoghi provinciali e circondariali che dovevano coadiuvare i vari livelli di responsabilità.
Essi dovevano vigilare sulla “conservazione della sanità pubblica” con particolare riguardo alla vigilanza sulle convivenze (ospedali, carceri, scuole) e sulle professioni e attività attinenti al campo sanitario.
Limite importante: la legge non prevedeva né un medico né un consiglio sanitario comunale che avrebbero potuto affiancare il sindaco, anch’esso dai limitati poteri (vigilanza igienica in materia di alimenti e bevande e di abitazioni e luoghi pubblici).
La legge Rattazzi sull’ordinamento amministrativo non prevedeva inoltre spese obbligatorie per i comuni relativamente al servizio sanitario, in specie il medico condotto.
Ciò penalizzò la Lombardia, dove le condotte erano consolidata esperienza.
Nel Lombardo Veneto, infatti, la legge del 30 aprile 1834 aveva imposto ai comuni (anche attraverso consorzi) di stipendiare con il gettito della sovrimposta fondiaria uno o più medici attraverso il sistema della condotta “di servizio caritativa” che prevedeva, a differenza di quella “piena”, le cure del medico per i soli poveri iscritti nel “ruolo” compilato dai comuni di concerto con i parroci.
Anche tale ordinamento aveva un difetto: la posizione subalterna, e precaria, del medico rispetto al comune.
In pratica, la legge amministrativa Rattazzi, non imponendo spese per il personale sanitario, bloccò la diffusione delle condotte.
Solo con la legge comunale del 20 marzo 1865 si impose ai comuni l’onere finanziario del servizio sanitario. Il regolamento esecutivo dell’8 giugno introdusse le commissioni municipali di sanità: elette dal consiglio e presiedute dal sindaco, avevano funzioni consultive, dovevano avere per segretario un medico condotto,vigilavano sull’attuazione di leggi e regolamenti e in particolare su scuole, ospedali e istituti di carità. L’intervento pubblico rimaneva, quindi, assai limitato. Le commissioni, inoltre, non funzionarono bene, e in 4800 comuni con meno di 1000 abitanti non furono neppure attivate.
Il nuovo regolamento del 1874 affermava essere un dovere dello Stato tutelare la pubblica igiene, in particolare quella dei poveri.
A seguito dell’unificazione d’Italia nel 1861 si ha la Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia del 20 marzo 1865 n. 2248 che porta all’approvazione della prima “Legge sulla Sanità Pubblica” affidata al Ministro dell’interno e subordinatamente ai prefetti, ai sotto-prefetti ed ai sindaci, assistiti dai vecchi consigli, senza giurisdizione sulle armate di terra e di mare.
Nei 29 articoli normativi ricalca la precedente legislazione ma prevede l’abrogazione di tutte le disposizioni adottate dai precedenti governi per servizi sanitari eccettuati il commercio e industria farmaceutica, e prescrive i termini per il regolamento di esecuzione che, approvato con R.D. 8 giugno 1865 n. 2322 in un testo di 138 articoli, che resterà in vigore per oltre vent’anni.
Sono di competenza ministeriale la revisione dei regolamenti comunali d’igiene pubblica, la prescrizione di cautele sanitarie speciali, i provvedimenti di interesse generale.
Prefetti, sotto-prefetti e sindaci, assistiti dal consiglio provinciale o circondariale o dalla commissione municipale di sanità, vegliano sulla salute pubblica, adottano provvedimenti d’urgenza e compilano il rapporto statistico periodico, sorvegliano il servizio medico e farmaceutico, gli stabilimenti sanitari e le quarantene (in modo da migliorare le condizioni sanitarie della classe operaia comunque bisognevole di speciali soccorsi igienici).
La tutela preventiva della sanità pubblica è affidata comunque ai sindaci e si realizza con la disciplina igienica applicata alle case d’abitazione, alle case rurali, alle stalle, ai servizi idro-sanitari, ai presidi sanitari, penitenziari e caritativi, agli alimenti, ai cimiteri.
In esito al voto espresso dalla camera dei deputati per un generale riordino della legislazione sanitaria sulla base dei lavori svolti dalla commissione Rucci, il presidente del consiglio e ministro dell’interno l’on. Lanza presenta al Senato un progetto di legge per l’approvazione del codice sanitario che, non essendo giunto alla votazione, fu riproposto nel 1876 con il titolo di “riforma delle discipline vigenti per la tutela della sanità e della morale pubblica” e nel 1886 dall’on. Depretis.
Lo schema che, con le necessarie varianti richieste dall’urbanizzazione accelerata e dalla rivoluzione industriale si imporrà fino al 1934 , nei suoi più significativi articoli, dei 14 titoli totali, contempla:
⦁ 1) La tutela della sanità pubblica, secondo la tradizionale distribuzione di competenze tra centro e periferia, impostata sulla istituzione dei medici condotti ai quali attribuire anche la qualità di ufficiali governativi;
⦁ 2) la composizione e le attribuzioni dei consigli sanitari;
⦁ 3) l’esercizio dei diversi rami dell’arte salutare;
⦁ 4) la salubrità delle abitazioni e dei luoghi abitati;
⦁ 5) la vigilanza governativa sugli stabilimenti sanitari pubblici (opere pie) e gli istituti privati, esclusa ogni ingerenza sull’amministrazione interna, perché nei luoghi deputati alla cura degli infermi ed alle convivenze collettive non siano trascurate le regole igieniche.” (4)

I Governi Crispi I (1887-1889) e II (1889-1891),dopo l’Unità d’Italia (1861) non vedono ancora un Ministro della sanità e in entrambi i casi la sanità si colloca ancora nel Ministero degli interni,in entrambi i casi incarico ricoperto da Crispi stesso.Questa collocazione conferma l’idea della “sanità” come un problema di “ordine pubblico”:impostazione ancora oggi dura a morire.
Da precedenti citati discende, dunque, “la Legge organica 22 dicembre 1888 n. 5849 (Crispi) sulla “tutela dell’igiene e della sanità pubblica” condensata in 6 titoli e 71 articoli, concepita come insieme delle condizioni geo-fisiche, demografiche ed urbanistiche; assistenza medica, farmaceutica ed ostetrica; profilassi delle malattie sociali.
Al Ministro, ai prefetti ed ai sindaci, quali autorità di governo ai corrispondenti livelli territoriali, si affiancano per le funzioni tecnico consultive il consiglio superiore di sanità e i consigli provinciali, circondariali e municipali sanitari e si prevede la figura del medico provinciale e circondariale, dell’ufficiale sanitario comunale.
Mentre il consiglio superiore predispone direttive di carattere generale, il consiglio provinciale si occupa di tutti i fatti riguardanti l’igiene dei comuni e loro consorzi nel proprio territorio, dei regolamenti, delle prescrizioni per le industrie agricole e manifatturiere e riferisce annualmente sullo stato della popolazione e sui bisogni locali di infrastrutture” (4).

Come si vede gli ospedali e una vera assistenza sanitaria sono completamente assenti dalla visione centralistica e autoritaria che orienta la monarchia sabauda, alla fine egemone nel Risorgimento italiano.Crispi inaugura la stagione ancora vigente del “trasformismo” politico, per cui la “sinistra storica” mazziniana e garibaldina con sentimenti repubblicani, democratici e socialisti,diventa paladina di scelte antipopolari. Così come l’esigenza di assicurare condizioni sanitarie uniformi nel Regno d’Italia, così diverso da un punto di vista socioeconomico e culturale,si trasforma in un processo calato dall’alto che nei suoi esiti,come in alcune norme, perdura ancora oggi.
Tuttavia bisogna rilevare che questa impostazione,seppur funzionale agli interessi delle classi dominanti legate alla monarchia sabauda, trovava origine nella cultura centralista della Rivoluzione francese (che a sua volta la ereditava dalla precedente monarchia) ed aveva influenzato la visione delle classi dirigenti risorgimentali. Infatti “nel maggio del 1796 Napoleone Bonaparte conquistò l’Italia e nello stesso mese venne insediata a Milano l’Amministrazione Generale della Lombardia, entità politico militare di cui facevano parte le più eminenti menti illuministe filo-francesi del capoluogo lombardo tra cui Francesco Melzi d’Eril, successivamente nominato vicepresidente della Repubblica Italiana, creata nel 1802, con a capo lo stesso Napoleone. Proprio il governo repubblicano di Melzi nel 1803 represse gli abusi più flagranti delle clientele locali sottraendo l’amministrazione ospedaliera lombarda al controllo delle municipalità e affidandola a funzionari nominati dal ministro dell’interno su proposta dei prefetti, realizzando in tal modo un’integrale pubblicizzazione del stemma igienico assistenziale mediante la vigilanza del governo nell’ambito degli affari generali dello stato (questo fu fatto in quanto prima del governo Melzi e in generale prima dell’avvento dei francesi , i provvedimenti di igiene pubblica erano lasciati a cura dei municipi , i quali Statuti contenevano disposizioni legislative anche generali , essendo allora più larghi gli ordinamenti municipali, con grandi privilegi differenti da comune a comune).
Questa repressione fu perfezionata nel 1807 in tutte le città e capoluoghi di dipartimento per cui l’amministrazione di tutti gli ospedali, orfanotrofi, luoghi pii, lasciti e fondi di pubblica beneficenza fu riunita in una sola e unica amministrazione che prende il titolo di Congregazione di Carità, presieduta dal prefetto, distinta in tre settori: per gli ospedali, gli ospizi e orfanotrofi, l’assistenza a domicilio.
Lo spirito della legislazione francese si dispiegò ampiamente in tutta Italia ed impose il trasferimento alle attribuzioni del Ministro dell’Interno degli oggetti di beneficenza pubblica, l’obbligo per i comuni di supplire ai bisogni degli ospedali e degli istinti caritativi, la giurisdizione civile per gli enti di assistenza e l’introduzione dell’istituto del domicilio di soccorso.
Quando nel 1814, a Roma prevarrà la politica del ripristino degli antichi metodi non si prescinderà più dallo stabilimento di un sistema, che tutto comprenda nella medesima uniformità e non si vorrà disaggregare l’accorpamento degli ospedali riuniti, che erano stati raggruppati in quattro divisioni: ospedali per malati, ospizi per vecchi, orfani e incurabili, conservatori per giovani indigenti, ricoveri per proietti ed esposti “(4).
Non vi si trovano molte analogie con le successive vicende della sanità italiana? Nel perenne conflitto tra centro e periferia? Tra Stato, Regioni e Comuni? Nelle scorciatoie autoritarie?
§ Il fascismo non fa che accentuare questa impostazione centralistica e autoritaria.I Governi fascisti (1922-1943) vedono sempre il Ministero degli interni competente per la sanità venne ricoperto da Mussolini stesso e da D.Grandi, G. Ciano e L. Federzoni.
“L’assistenza sanitaria venne confinata negli interventi di beneficenza e lasciata all’iniziativa dei privati e all’intervento delle organizzazioni religiose. Infatti, le competenze statali si limitavano a gestire attività di igiene e profilassi delle malattie infettive e gli interventi erogati avevano un carattere lacunoso e gracile nei confronti della collettività, in quanto il concetto salute era caratterizzato da contenuti fortemente privatistici.Nello stato fascista l’assistenza dei lavoratori è impostata al fine di tutelare la salute e la forza fisica della popolazione operaia e dei contadini, con lo scopo di migliorare ed aumentare il rendimento del lavoro, oltre che la protezione igienica delle madri occupate nelle aziende industriali e commerciali.
Il regime fascista sviluppa e articola le mutue in un sistema unico gestito dallo Stato. In linea con quanto avviato dal governo Crispi, interviene strutturando organizzativamente secondo quanto è in embrione e secondo quanto è necessario alle masse popolari in un paese che il regime vuole portare al livello degli altri paesi imperialisti, ma mette a disposizione risorse finanziarie minime: delega il loro reperimento alla beneficenza, a enti locali che le dovrebbero trovare autonomamente, ai lavoratori nel caso delle Casse mutue di malattia che istituisce con la Carta del Lavoro del 21 aprile 1927.
Sono stabilite nei contratti collettivi di lavoro, dice la Carta e “con il contributo delle imprese e dei lavoratori, amministrate da loro rappresentanti sotto la vigilanza degli organismi corporativi”.
Le casse mutue forniscono copertura sanitaria a circa il 35% della popolazione italiana, principalmente lavoratori del settore privato, a cui si aggiungono verso la fine della guerra lavoratori dello Stato, degli enti locali e loro familiari.
Uno degli obiettivi principali è la lotta contro la tubercolosi: l’assicurazione obbligatoria contro questa malattia copre tutti i lavoratori del settore privato tra i 15 e 65 anni (con l’eccezione degli impiegati considerati benestanti) e garantisce ricovero in sanatori e istituti convenzionati, mentre i Dispensari istituiti da Comitati Provinciali Antitubercolari provvedono a profilassi e ricoveri per chi non ha assicurazione.
Nel ventennio fascista nascono diversi enti che ritroveremo nell’Italia repubblicana e che molto lentamente saranno oggetto di prime timide “ristrutturazioni”:
⦁ l’Unione Italiana Ciechi nel 1923l’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e Infanzia (ONMI) nel 1925 (resterà in funzione fino al 1975)i Consorzi Provinciali Antitubercolari nel 1927
⦁ l’Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza ai Sordomuti nel 1932,
⦁ l’Istituto Nazionale Fascista per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INFAIL, divenuto INAIL dopo la caduta del regime) nel 1933
⦁ l’Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale (INFPS, divenuto INPS dopo la caduta del regime) nel 1933
⦁ gli Enti Comunali di Assistenza (ECA) nel 1937, da cui nasceranno le IPAB (sebbene in parte già presenti verso la fine dell’800)
⦁ l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti Statali nel 1942,
⦁ l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie (INAM) nel 1943 (soppresso con l’entrata in vigore della Legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

Il processo della creazione di istituzioni pubbliche (alcune delle quali tuttora esistenti e tra le maggiori del paese, come l’INPS) fa parte dello sforzo per rafforzare la struttura economica e politica del paese:”burro e cannoni”.
In termini generali il regime fascista tenta di rendersi pienamente politicamente autonomo dalla Chiesa, che non intende perdere terreno in campi quali la sanità, l’assistenza e la previdenza.
Il contrasto con la Chiesa spiega il ritardo nell’istituzione dell’INAM, l’11 gennaio 1943, quindi nel pieno della guerra e come mezzo per cercare di mantenere il consenso delle masse popolari.
Quanto al fattore economico, l’assistenza ai poveri inseriti negli elenchi subirà restrizioni in proporzione alla penuria finanziaria dei Comuni, con norme limitanti l’accesso agli ospedali e pressioni sui medici condotti da parte delle prefetture per limitarlo ulteriormente.
Nel 1938 con la legge Petragnani gli ospedali sono distinti dalle infermerie e sono classificati in tre categorie in base alle dimensioni, misurate come presenza media giornaliera di ricoverati. Infermerie ed ospedali di terza categoria costituiscono l’85 % delle strutture specialmente nelle aree rurali e al Sud. Gli ospedali di prima categoria con più di mille posti letto sono nelle grandi città, al Nord come al Sud. Il finanziamento è affidato a benefattori che sono anche dirigenti degli enti che essi finanziano. Le altre entrate sono quelle delle casse mutue che pagano per i loro iscritti e quelle dei Comuni che pagano per i poveri. Per clienti paganti è previsto un servizio di eccellenza rispetto a quello delle mutue e ancor più rispetto a quello di chi non ha la mutua.

Questa situazione si protrae ben oltre la caduta del fascismo, fino all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel 1978 “ (4).
§ I partiti che avevano costituito il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) costituirono un un governo di “unità nazionale”, presieduto da F. Parri,che con l’interim del Ministero degli interni aveva sotto di sé la sanità.
“Il primo documento non scientifico ma politico fu elaborato l’8 agosto dalla consulta di sanità del comitato di liberazione nazionale del veneto e ratificato il 15 settembre 1945 dai commissari regionali per la sanità del CLN “comitato di liberazione Nazionale dell’alta Italia” ed individuò tre ordini di problemi, programmatico, istituzionale e funzionale, intorno ai quali si svolgerà un intenso dibattito.
Il 12 luglio 1945 fu istituito l’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica dipendente dalla presidenza del Consiglio dei ministri.
La materia sanitaria, così, venne sottratta al Ministero dell’Interno e all’Alto Commissario vennero attribuite le funzioni di tutela della salute pubblica, della vigilanza sulla Croce Rossa, sull’opera nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia” (4),interrompendo momentaneamente la tradizione autoritaria rappresentata dal Ministero degli interni.
Le prime elaborazioni sulla sanità nascono nelle Repubbliche partigiane,in particolare la Val D’Ossola dove Durante i quaranta giorni della Repubblica dell’Ossola (9 settembre-23 ottobre 1944), Gisella Floreanni, seconda rappresentante del Partito Comunista nella Giunta, assunse l’incarico di Commissaria di governo: fu la prima donna a conquistare di fatto la carica di Ministra in Italia, quando alle donne non era neppure riconosciuto il diritto di voto. Non ci furono casi analoghi in altre zone liberate: le donne dell’Ossola furono protagoniste paritarie, dettero vita ai Gruppi di difesa della donna e rivendicarono migliori condizioni sociali. Il 7 ottobre 1944, durante la terzultima seduta della Giunta, Floreanini ottenne la delega di governo “all’Assistenza e ai Rapporti con le organizzazioni popolari”, in particolare, le furono assegnati incarichi nei settori delle mutue, degli istituti contro gli infortuni, delle organizzazioni assistenziali e culturali dei lavoratori. Il suo contributo fu enorme: la competenza maturata a Ginevra negli Uffici Internazionali del Lavoro le permise di acquisire una visione moderna dell’assistenza, su basi nuove e democratiche. Fino a quel momento mancavano programmi di assistenza sociale, per questo motivo divenne indispensabile collaborare con le comunità locali per stabilire gli interventi da mettere in pratica ed in questo, ebbero un ruolo fondamentale i Gruppi di difesa della donna, già attivi nelle valli ossolane. Nella zona liberata, in gran parte montuosa, scarseggiavano generi di prima necessità, mancava un’organizzazione razionale per la distribuzione degli aiuti ed erano in vigore privilegi istituiti dai podestà fascisti. Riuscì ad impostare il coordinamento e la gestione decentrata dell’assistenza da parte delle 32 amministrazioni comunali coinvolte, ad ottenere il supporto della Croce Rossa elvetica e del Governo Svizzero. Coadiuvata dalla Croce Rossa di Domodossola, da donne di diversa matrice ideologica, suore, medici e assistenti, riuscì a mettere in sicurezza, oltre confine, più di cinquecento bambini: questa rete di solidarietà sopravvisse alla caduta della zona libera.
Accanto a G. Floreanni c’è il lavoro del medico igienista dell’Università di Milano A. Giovanardi che nel settembre del 1945, su incarico del Comitato di Liberazione del Veneto, presiede una commissione che presenta un progetto di riforma dell’ordinamento sanitario che prevedeva:l’unificazione dei servizi di Sanità pubblica e di Assistenza sanitaria, creando al vertice del sistema, il Ministero della Sanità e dell’Assistenza;l decentramento delle attività sanitarie ed assistenziali imperniate su due livelli: uno prevalentemente ordinativo, identificabile con le Regioni e l’altro essenzialmente operativo, corrispondente ai Comuni. L’istituzione a livello locale, nell’ambito dei grandi Comuni e mediante aggregazione dei piccoli e medi Comuni, degli uffici comunali e consorziali di sanità e assistenza, come organismi unitari di erogazione delle prestazioni assistenziali con la veste di Unità Sanitarie Locali, quale elemento base di riassetto dell’assistenza. (cfr.: Augusto Giovanardi: La riforma Sanitaria del CLN del Veneto -, edizione delle Autonomie, Roma, 1978), Come per la Costituzione repubblicana, le basi fondamentali della Riforma Sanitaria sono sorte dalla Resistenza, anche se sono passati 33 prima di averla come legge (8).
Le elaborazioni partigiane erano fortemente influenzate da saperi democratici e scientifici d’oltralpe e in esse è forte è la diffidenza verso l’impostazione centralistica e autoritaria dello stato monarchico e fascista,mentre si recupera uno spirito democratico e partecipativo e la tradizione municipalista prefascista.
Questa impostazione municipalista e poi regionalista si rafforzò soprattutto dopo l’estromissione della sinistra PCI-PSI con la caduta del Governo Parri e le elezioni del 1948,con la sconfitta del Fronte popolare (PCI-PSI) e con la “conventio ad excludendum” (per cui al PCI era precluso l’accesso al Governo centrale anche per il suo rapporto con l’URSS) in ossequio agli accordi di Yalta, perchè sarà la tattica usata dal PCI come strumento per governare localmente vista l’impossibilità di accedere al potere statuale del paese,come risulta da documenti dell’epoca della Direzione del PCI .
“In questo periodo vennero attuate riforme riguardanti l’assistenza sociale che modificarono il criterio di beneficenza, fissato nel Regio Decreto 17/07/1890 n. 6.972 cd. «Legge Crispi» e in quelle attuate da Mussolini, si sviluppò l’idea del decentramento, della responsabilità e della solidarietà fra i cittadini, che saranno poi accolti nella Costituzione. Le riforme, oltre a predisporre aiuti per la cittadinanza in stato di bisogno sociale o economico, gettarono le basi per il coordinamento tra i vari enti” (4).
“Il 15 agosto 1945 termina la seconda guerra mondiale e l’Italia ne esce distrutta. infatti dalle sue ceneri nel 1946 dopo il referendum del 2 giugno 1946 nascerà la Repubblica Italiana con la relativa Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, composta dai suoi 139 articoli dei quali è bene ricordare il l’articolo 32 che recita:
“La Repubblica Italiana tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (che sarà il caposaldo delle future leggi, in materia di sanità, fino ai giorni nostri)” (4)
Dell’art. 32 della Costituzione tuttavia è bene rilevare che l’interpretazione “cure gratuite agli indigenti”,che può essere foriera di interpretazioni restrittive (quanti e quali i veri “indigenti”?),va basata più su quel “gratuite”: nel senso che tutti contribuiscono con il prelievo fiscale in proporzione al proprio reddito (art. 53 Costituzione),mentre per chi è” indigente” non è previsto alcun contributo. Inoltre si parla di “individui” e non di cittadini,per cui l’applicazione dell’articolo va estesa a chiunque si trovi sul territorio nazionale (es. migranti),indipendentemente dalla cittadinanza.
Rilevante è anche l’articolo 117:
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. […] Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: […]; tutela della salute; […].
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. […] “
In questo senso la vulgata per cui lo Stato è tutto ciò che è pubblico va correttamente letta in base alla’art.114 della Costituzione:”La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, intendendo lo Stato propriamente detto come lo Stato centrale di Governo e Ministeri.
Nel dopoguerra “le istituzioni sanitarie versavano in una profonda crisi finanziaria e strutturale.Gli Enti ospedalieri, inegualmente distribuiti nel territorio nazionale fra nord e sud e fra città e campagna, duramente provati dalle distruzioni e dalle requisizioni subite durante la guerra, vedevano i loro patrimoni falcidiati dalla svalutazione e dall’inflazione.
L’apparato previdenziale, di cui erano parte integrante anche le casse mutue sanitarie …proliferate durante il regime, alla crisi strutturale si erano aggiunti gli eventi congiunturali della disoccupazione, dell’inflazione dei prezzi e della svalutazione della moneta che avevano determinato una crisi finanziaria all’intero settore previdenziale che si sarebbe protratta.
Nel 1958 fu istituito il Ministero della Sanità, “che assorbì tutte le competenze dell’Alto Commissariato e di tutte le altre amministrazioni in materia di sanità pubblica. 13 Ad esso furono attribuite le funzioni di provvedere ai servizi sanitari delle amministrazioni dello Stato, di vigilare su tutti gli enti erogatori di assistenza sanitaria e sull’esercizio di tutte le professioni sanitarie, di emanare istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che si occupavano di sanità… Il Ministero della Sanità fu la prima vera struttura istituzionale in materia di sanità pubblica. Bisogna considerare che le funzioni e gli istituti assistenziali erano ripartiti tra 13 organismi ministeriali o per compiti di gestione e di vigilanza o per compiti di finanziamento e di controllo, che l’apparato mutualistico per l’assistenza previdenziale e sanitaria si era esteso con un intreccio fittissimo di istituti nazionali ed anche locali, che la rete ospedaliera comprendeva 2444 enti con più di 400.000 posti letto ed un movimento di oltre 4 milioni di degenti per anno. Tale ministero era articolato in sette direzioni generali (per gli affari amministrativi e il personale, per i servizi di igiene pubblica, di medicina sociale, veterinari, per igiene degli alimenti e la nutrizione, gli ospedali ed il servizio farmaceutico) inoltre, gli uffici sanitari speciali o di frontiera fino agli anni ’50”(4). Ma il Ministero fu formato da funzionari e impiegati provenienti dal Ministero degli interni,con la cultura “questurina” che gli era propria.
Tuttavia,per dare seguito al mandato costituzionale, le Regioni furono istituite solo con i primi governi del Centro-Sinistra (DC,PSI,ecc.) e solo nel 1970, e tra il 1972 e il 1977 è stato disposto il primo (parziale) trasferimento di funzioni dall’amministrazione centrale a quelle territoriali con i Governi M. Rumor (DC,1970 ) con ministro della sanità L. Mariotti (PSI),E. Colombo (DC,1972) con ministro della sanità L. Mariotti (PSI) e Andreotti (DC,1972 ma senza il PSI) ministro della sanità R. Gaspari (DC).
§ Sono anche gli anni a cavallo del 1968,con l’autunno caldo nelle fabbriche del 1969 e l’apertura di quella stagione di lotte operaie, studentesche e popolari del biennio Sessanta – Settanta,che si configura come il lungo Sessantotto italiano,ben al di là dell’anno iconico del Maggio francese e degli analoghi e contemporanei avvenimenti in Italia e internazionali.
In questo periodo anche la sanità è al centro delle lotte operaie contro la nocività in fabbrica, studentesche per la trasformazione degli studi nelle facoltà di medicina,popolari nei quartieri con iniziative dal basso che rivendicano nuovi servizi e delle iniziative politiche della sinistra.
Già “la Cgil nel 1958 approvò un documento nel quale, per la prima volta, si chiedeva l’istituzione di un Servizio sanitario nazionale, a fronte della mancanza in Italia di «una politica sociale efficace e, in particolare, di una moderna politica sanitaria. Dinanzi alle sperequazioni nella protezione tra le diverse categorie di lavoratori e tra le diverse zone del paese, alla grave situazione degli enti di previdenza e malattia e ai mezzi inadeguati a loro disposizione, al prevalere di principi privatistici e assicurativi e di misure frammentarie e disorganiche nella tutela sanitaria e, infine, a criteri di direzione fortemente accentrata presenti nell’ordinamento di allora, la predisposizione di un nuovo ordinamento diventava centrale per l’iniziativa sindacale.
Nel giugno del 1959, in occasione del convegno nazionale della Cgil dedicato al tema della sicurezza sociale, la questione della riforma sanitaria tornava a essere discussa nel quadro più ampio della riflessione sul passaggio ad un sistema moderno «che superi le tradizionali forme di previdenza e assistenza per configurarsi secondo i criteri della “sicurezza sociale” per tutti i cittadini» L’obiettivo era quello di garantire l’unità di indirizzo quale condizione per realizzare una politica sanitaria fondata sull’organico impiego di ogni servizio e mezzo tecnicamente e scientificamente specializzato. Coordinamento a livello statale e competenza a livello decentrato/locale avrebbero consentito la difesa e il miglioramento della salute dei lavoratori come di tutta la popolazione, garantendo al contempo quanto ritenuto irrinunciabile dal sindacato: l’«effettivo controllo democratico sugli organi gestori, reale qualificazione della responsabilità dei medici esercenti la professione». Infine, contro le tradizionali divisioni istituzionali, prevenzione, cura e recupero dovevano costituire gli assi di un intervento sanitario coordinato, interdipendente, unitario. Di lí a poco si susseguirono numerose iniziative sui temi della salute negli ambienti di lavoro (la fabbrica in primis) e a livello territoriale, secondo un percorso che nel corso degli anni si sarebbe articolato lungo la traiettoria «salute-fabbrica-territorio». Nel 1961 la prima inchiesta sulla nocività sul luogo di lavoro, condotta presso l’impianto chimico Farmitalia di Settimo Torinese, fu patrocinata dalla Camera del lavoro di Torino, dove si era costituiva una commissione medica che per la prima volta riuniva insieme sindacalisti, lavoratori, medici, assistenti sociali. Nel 1966 nacque presso l’Inca-Cgil il Centro ricerche e documentazione rischi e danni da lavoro (Crd)” (4).
Inoltre “un ruolo decisivo, già dagli inizi degli anni Sessanta, ebbero le riflessioni maturate in seno ai due principali partiti della sinistra, PCI e PSI, e ai sindacati, la Cgil in particolare, alle quali si affiancarono elaborazioni e pratiche portate avanti dai … movimenti”,come il Collettivo di Medicina dell’Università statale la Sapienza di Roma (9), “che ai temi della salute, della medicina e dell’ambiente diedero un contributo di altissimo rilievo, connettendolo alle più complessive istanze di trasformazione sociale e strutturale del Paese. Maturò progressivamente la convinzione che il diritto alla salute, costituzionalmente sancito dall’art. 32, comportasse scelte politiche nelle quali tutta la popolazione doveva essere attivamente coinvolta, scelte culturali e istituzionali volte a modificare nel profondo gli assetti del Paese, a qualificare la natura stessa della democrazia, dei suoi strumenti e presidi. Di qui la critica all’impianto assicurativo tradizionale e prevalente, allora dominato dal sistema delle mutue, a uno Stato assistenziale paternalistico, categoriale e frammentato, alle logiche contributive vigenti nel sistema sanitario (e previdenziale) di quegli anni, e a quelle del profitto (largamente vigenti nel settore farmaceutico). Di qui la necessità di una tutela della salute da realizzarsi in modo capillare tramite la predisposizione di un servizio sanitario pubblico e universale, finanziato tramite il sistema della fiscalità generale, garantito a tutta la collettività nell’accesso e nel suo uso.
Dal 1974 il Crd diventò struttura della Federazione Cgil-Cisl-Uil. Il Crd svolse un ruolo fondamentale di raccolta di informazioni e di elaborazione sul tema della salute dell’ambiente di lavoro, fu a lungo punto di riferimento per tutto il movimento sindacale e per quanti al di fuori del sindacato si impegnarono nelle lotte per la salute e la realizzazione della riforma sanitaria. L’intento di molte iniziative sindacali, come di numerosi interventi pubblicati in varie testate facenti riferimento alla Cgil, fu dunque quello di mettere insieme salute ambientale e organizzazione del lavoro, superando la scissione; di estendere l’obiettivo della tutela della salute dalla fabbrica alla società intera; di saldare prevenzione e partecipazione; di promuovere conoscenza e informazione (oltre all’impegno nelle vertenze aziendali e locali. Le condizioni di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro costituirono lo speciale oggetto di inchiesta portata avanti, nel 1968/1969, dal Gruppo di lavoro per la Sicurezza sociale, sotto la guida di G. Berlinguer. L’inchiesta faceva luce sulla scarsa efficacia di enti e istituzioni (dal medico di fabbrica, all’Ispettorato del lavoro, all’Ente nazionale prevenzione infortuni, ai Comuni) volti a proteggere la salute della popolazione italiana e dei lavoratori in particolare; così come sulla frequente debolezza degli organismi sindacali all’interno delle fabbriche. In termini generali si registrava un peggioramento netto delle condizioni di lavoro in fabbrica e un conseguente, specificamente, si registravano cattivo ambiente di lavoro, ossia difficili condizioni climatiche delle fabbriche, uso di sostanze inquinanti, fattori di affaticamento fisico, mancanza di adeguata prevenzione e protezione antinfortunistica, alti ritmi di lavoro, impreparazione professionale. Le stesse trasformazioni tecniche subentrate nel corso degli anni del «miracolo economico» non avevano inciso rispetto alla realtà dello sfruttamento psicofisico delle classi lavoratrici, creando «squilibri gravissimi tra ritmi e rendimento, tra spazio e lavoro», aumentando «notevolmente lo stress produttivo», ritmi e orari di lavoro e accentuando il logorio della forza lavoro soprattutto a livello nervoso. Una delle figure più rappresentative della sinergia tra impegno medico, ambientalista e politico caratterizzante gli anni Sessanta e Settanta, fu L. Conti che metteva in discussione le definizioni consuete della salute: «la salute come rispondenza a un determinato modello ideale, o “normalità”» (e quindi «la malattia come diversità» e «la medicina come restituzione della normalità»), e la salute come «diminuzione della probabilità di sopravvivenza di un determinato individuo». Di risalto sarà il dibattito ospitato nell’inverno del 1971 sui «Quaderni di Rassegna sindacale» dal titolo Dall’ambiente di lavoro al Servizio sanitario nazionale. In modo significativo si metteva in relazione la necessità di una mobilitazione e di una risposta sindacale su questo tema con la «violenta offensiva padronale sulle questioni delle condizioni di salute in fabbrica», allora scatenatasi in seguito alla conquista dello Statuto dei lavoratori (in specie relativamente alle norme sugli accertamenti sanitari e sulla tutela della salute dei lavoratori). Nel 1976, a Bologna, nasceva su impulso e con il contributo militante e intellettuale di G. Maccacaro Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute, nel corso del congresso costitutivo si tracciavano le linee fondamentali di un nuovo approccio alla salute, confermando l’impegno in direzione di una medicina aperta alle problematiche sociali.” (4)
In questo quadro la sanità italiana basata sul Ministero della sani,il Medico provinciale, all’Ufficiale sanitario con la sua doppia afferenza al Medico provinciale (Stato e Governo) e al Sindaco (Comune), il medico condotto e il medico della mutua,nei piccoli centri coincidente con l’Ufficiale sanitario, nonché la stessa accademia universitaria risultarono inadeguate a far fronte ai processi sociali e politici in atto nel paese: l’industrializzazione del centro nord come tardiva rivoluzione industriale, la migrazione dal sud al nord , il problema delle abitazioni,dell’inquinamento atmosferico,delle acque e nei luoghi di lavoro,le malattie infettive al sud (epidemia di colera nel 1973 a Napoli e Bari),mortalità infantile,ma il contemporaneo affermarsi del quadro epidemiologico delle malattie cronico-degenerative.
Il primo segnale di trasformazione nell’ambito di un Governo di Centro-sinistra (DC,PSI,ecc.) M. Rumor (1968-1969) con Ministro della sanità C. Ripamonti (DC), incalzato dall’opposizione parlamentare e dagli eventi sociali,fu la Riforma ospedaliera che tentava in maniera lungimirante di definire requisiti unici per gli ospedali in tutta Italia,cosa che tutt’oggi è da rimpiangere.
“Abbandonato il concetto degli enti di assistenza e beneficenza e il criterio caritativo – assistenziale; gli ospedali vennero scorporati dagli enti pubblici (IPAB, Mutue, Ospedali civili ed altri enti pubblici) per essere costituiti in enti autonomi, tutti con la stessa organizzazione e tutti con il solo scopo del ricovero e della cura. La riforma sarà attuale nel 1968 con la Legge delega n.132/1968 (Legge Mariotti,PSI, nel Governo Ministro dei trasporti n.d.r.), attraverso successivi decreti attuativi. DPR n. 129/1969 che riguardava l’ordinamento dei servizi negli ospedali e il DPR n. 129/1969 sull’ordinamento interno dei servizi e il DPR 130/1969 sullo stato giuridico del personale. Nasce con la legge l’Ente ospedaliero dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, e si realizza il passaggio da un’assistenza volontaristica all’assistenza ospedaliera quale servizio pubblico dello Stato, quindi per tutti i cittadini. Erano previste due tipologie di ospedali: gli ospedali generali gli ospedali specializzati con queste distinzioni: ospedali per acuti ospedali per lungodegenti ospedali per convalescenti.La L. n. 132/1968 intendeva realizzare un primo momento di decentramento istituzionale del settore, delegando l’individuazione degli enti ospedalieri alle Regioni, le quali diventavano titolari della funzione di vigilanza in materia, lasciando al Ministero della sanità la tutela degli interessi generali dello Stato. Nonostante questa riforma avesse degli obiettivi ben precisi e delle conseguenze rilevanti, non fu in grado di risollevare dal dissesto finanziario le mutue, che furono commissariate e poi liquidate. Questo primo cambiamento radicale ha dato il via al successivo e definitivo cambiamento, cioè l’istituzione dell’attuale Servizio Sanitario Nazionale (SSN)(4).
“Inserito nei documenti della programmazione economica del quinquennio 1971-1975, un primo schema di riforma venne elaborato nell’autunno del 1970 dal socialista Luigi Mariotti, alla guida del dicastero della Sanità. I conflitti e le tensioni con il ministro del Lavoro e della previdenza Carlo Donat Cattin furono tuttavia decisivi nel determinare dapprima uno stallo e poi un definitivo inabissamento del progetto, ma giocò un ruolo anche lo studio voluto nel 1970 dal direttore generale dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie – INAM –, volto a sottolineare i costi «agghiaccianti» della riforma. Durante il successivo Governo Andreotti un nuovo testo firmato da Dionigi Coppo e Remo Gaspari (rispettivamente ministri del Lavoro e della Sanità) fu interpretato da piú parti come un palese tentativo di controriforma, nella misura in cui prevedeva l’ipotesi di una centralizzazione delle mutue esistenti – di fatto una loro sopravvivenza –, nella permanenza, in regime di libera concorrenza con le strutture pubbliche, di case di cura religiose e laiche. Le opposizioni parlamentari di PCI e PSI tornarono quindi ad agire da pungolo nei confronti dell’azione del governo con la presentazione di un disegno di legge firmato da Luigi Longo a nome del PCI nel giugno del 1970. Con i due esecutivi guidati da M. Rumor il tema della riforma tornò al centro dell’agenda politica. Il 17 agosto 1974 fu approvata la L. n. 386/1974, fondamentale antecedente del nuovo Servizio sanitario “Norme per l’estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento delle spese ospedaliere e l’avvio della riforma sanitaria”. Il Tesoro veniva autorizzato a effettuare operazioni di ricorso al mercato finanziario (fino a un ricavo di 2.700 miliardi di lire) per estinguere i pesanti debiti nei confronti degli ospedali degli enti mutualistici, di cui si stabiliva il passaggio alla gestione commissariale dal 1° luglio 1975 e lo scioglimento definitivo entro il 30 giugno 1977. La discussione sul progetto di legge della riforma sanitaria iniziò nel febbraio del 1975, ma senza giungere alla conclusione dell’iter per il sopraggiungere della fine anticipata della legislatura”(4).

Tuttavia il processo di radicale contestazione ,partecipazione dal basso e democratica,le richiesta di profonda trasformazione sociale,per la ridistribuzione della ricchezza e del potere, in senso egualitario e anticapitalista non trovarono la sinistra istituzionale (PSI e PCI) all’altezza del compito storico assegnato. Questo per molte ragioni: la già citata “conventio ad excludendum” che impediva l’accesso del PCI al Governo centrale dello Stato, ma anche le divisioni strategiche all’interno dei due partiti principali PCI e PSI (con la lodevole eccezione del PSIUP),tra chi pensava ad una trasformazione radicale della società,dell’economia e dello Stato e chi riteneva che quella trasformazione, anche con mezzi pacifici e riformisti, non fosse non solo necessaria o possibile ma neanche auspicabile in una prospettiva socialdemocratica se non ancora esplicitamente liberaldemocratica o addirittura compiutamente neoliberale.
Anche per questa ragione, nonché per le ingenue velleità rivoluzionarie dei movimenti e dei partitini nati dal Sessantotto, e nonostante l’avanzata elettorale delle sinistre nelle elezioni regionali del 1975, cui contribuì largamente il voto ai 18enni,generazione largamente coinvolta dai movimenti a cavallo del 1968,nelle elezioni politiche del 1976 il risultato non fu soddisfacente.
A ciò contribuì non poco la politica del “Compromesso storico” di E. Berlinguer,che prevedeva un incontro tra il mondo comunista e quello cattolico,ma nei fatti tra PCI e DC. Il “compromesso storico” venne proposto con il saggio “Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile” pubblicato in tre articoli sulla rivista Rinascita a commento del golpe in Cile del 1973 (10), che aveva portato le forze reazionarie interne, in collaborazione con gli Stati Uniti, a rovesciare il governo del socialista Salvador Allende (11 settembre 1973).
Era in realtà iniziata la grande controrivoluzione,capeggiata dalle Fondazioni statunitensi, che vedeva nei fermenti rivoluzionali internazionali del biennio Sessanta-Settanta, nelle lotte anticoloniali,nel Sessantotto, ultimo grande movimento internazionale antifascista, internazionalista,anticapitalista, anticonsumista e antiautoritario,un pericolo per la società basata sul profitto (11).
Uno dei primi atti di questa controrivoluzione fu proprio il Golpe in Cile (1973).Allende era stato eletto nel 1970 vincendo di misura, e il suo governo dovette subire per tre anni violenti attacchi dalle opposizioni, prima di essere rovesciato dal sanguinoso colpo di stato. Berlinguer scriveva quindi che in Italia “sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare […], questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento”, da qui la necessità di una maggioranza che comprendesse PCI e DC, i cui voti alle elezioni del 1972 sommavano circa il 65 per cento.
Quella prospettiva strategica si tradusse in realtà nella politica delle “larghe intese”, dell’ “unità nazionale” e delle “giunte anomale” PCI-DC. La proposta del compromesso storico fu vista negativamente dal PSI e in particolare da diversi suoi esponenti, che vedevano in questo disegno un chiaro tentativo di marginalizzare il PSI e di allontanare definitivamente l’idea di un’alternativa di sinistra di governo, che includesse anche il PCI, ma con la guida dei socialisti come in Francia. Anche la sinistra “rivoluzionaria” o “Nuova sinistra” avversò il “compromesso storico”,vedendo così tradite le speranze politiche generazionali del lungo Sessantotto italiano. L’appoggio al compromesso trovò invece una sponda nell’area di sinistra della DC di A. Moro ma non ebbe l’avallo dall’ala destra della DC, rappresentata da G. Andreotti che lo definì l’incontro tra “clericalismo e collettivismo comunista”.
Un compromesso minimo si raggiunse tuttavia proprio mediante l’appoggio esterno assicurato dal PCI al Governo monocolore DC di Solidarietà Nazionale, guidato da G. Andreotti nel 1976. Nel 1978 questo governo si dimise per consentire un ingresso più organico del PCI nella maggioranza, pur senza avere ministri nel Governo di G. Andreotti,accelerato dal rapimento e dall’uccisione di A.Moro.
Come ci ricordano R.Rossanda e P. Ingrao (12), il “compromesso storico” portò alla reazione del PSI di B.Craxi,che condusse poi al berlusconismo,e dalla delusione delle “speranze rivoluzionarie” trasse forza la lotta armata con il degenerare del Movimento del 1977 e il contributo che la repressione dello stesso diede alle formazioni armate.
In questo contesto vide la luce il citato Governo G. Andreotti (1978-1979),con il PSI e il PCI in maggioranza,con Ministro della sanità T. Anselmi, e la promulgazione come concessione alla sinistra istituzionale di governo della L. n. 180/1978 (Chiusura ospedali psichiatrici), L. n. 194/1978 (interruzione volontaria di gravidanza) e la L. n. 833/1978 (Istituzione del SSN). T. Anselmi,persona rispettabilissima,antifascista e partigiana, esponente di quella sinistra DC cui il PCI del ”compromesso storico” si rivolgeva, fu il Ministro della Riforma.
Che tuttavia, come le altre normative citate, risentì del clima del “compromesso storico” con la DC che rappresenta,coerentemente, gli interessi di quella parte di società che corrispondeva al suo elettorato (medici, sanità privata,enti religiosi,ecc.).
Questa era anche l’ossessione di Basaglia in parte fortemente critico con il testo approvato con L.n. 180/1978 (redatta dal democristiano Orsini e approvata dal suddetto governo Andreotti), proprio perché lo psichiatra veneziano non voleva per esempio reparti psichiatrici negli ospedali generali: lui avrebbe preferito un “network di appartamenti anticrisi”, strutture non medicalizzate.
Così nella L.n. 194/1978 si accettò la presenza di medici obiettori nell’interruzione volontaria di gravidanza.

Mentre nella L. n. 833/1978 si collocarono le “bombe a orologeria” degli artt. 25 e 26 con le convenzioni con i medici di famiglia e i privati, che con le successive normative avrebbero poi,come vedremo, aperto il varco ad estesi processi di privatizzazioni ed esternalizzazioni.
C’è da chiedersi oggi se, dentro il compromesso parlamentare del Governo Andreotti di “unità nazionale” con l’appoggio esterno del PCI, non solo la DC ma anche parti della sinistra parlamentare non fossero consapevoli di questi articoli come possibili futuri strumenti di “riattualizzazione” del sistema mutualistico,ma dentro l’involucro formale del SSN,mentre ingenuamente altri non pensarono al loro potenziale pericolo o avendo l’illusione di poterlo governare.
La stessa Medicina Democratica si trovò a criticare la Riforma sanitaria,soprattutto per quanto riguardava la partecipazione.

§ I Governi successivi iniziarono a risentire profondamente del processo controrivoluzionario messo in atto già dalla metà degli anni Settanta (9),con l’elezione della Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan in USA sino al pontificato di Papa Giovanni Paolo II.
Ormai tardivamente il PCI dopo il terremoto in Irpinia del 1980, rendendo palesi gli effetti dei governi DC nell’area campana, ripensò la politica del “compromesso storico” nel Congresso di Salerno,rivolgendosi verso l’ ”alternativa democratica” con le altre forze di opposizione ma con un PSI ormai craxiano anche a causa del “compromesso storico”. Inoltre la destra interna al PCI aveva portato molto avanti i processi di consolidamento di una prospettiva neo liberale in quel partito, nel sindacato e nella società, il terrorismo mieteva le sue vittime e il PSI imboccava la strada craxiana. Il simbolo di questo processo, i cui esiti perdurano ancora, furono la sconfitta della vertenza FIAT (nonostante E. Berlinguer ai cancelli) e la sconfitta del referendum sull’abolizione della scala mobile del Governo Craxi (1984), referendum osteggiato dallo stesso L. Lama in CGIL.
Nel Governi Cossiga (DC,1979-1980)fu Ministro della sanità R. Altissimo, esponente di quel Partito Liberale Italiano (PLI) che aveva votato contro al L.n. 833/1978 e questo certo contribuì ad ostacolare l’avvio del processo di attuazione Riforma sanitaria, se si pensa che l’attuazione della Riforma sanitaria era confinata in un ufficio di poche stanze al Ministero ed era guidato da un dirigente R. D’Ari, politicamente non lontano da aree conservatrici.
Lo ricordiamo a chi pensa che accentrare la sanità al Ministero sia la soluzione a tutti i problemi creati dalla regionalizzazione.
Inoltre questo ruolo negativo del Ministro R. Altissimo è stato spesso enfatizzato,anche per la sua breve durata, considerato che il successivo Governo Cossiga (1980) vide come Ministro della sanità A. Aniasi (PSI,ex partigiano,Sindaco di Milano e che di quel partito era più vicino alla sinistra),così come nel successivo Governo A. Forlani (1980-1981). Analogamente il ruolo dei due brevi Governi G. Spadolini (PRI,1982) che riconferma R. Altissimo non può essere considerato determinante come il successivo Governo A. Fanfani (DC,1982-1983).
Più grave invece il ruolo dei due più duraturi Governi B. Craxi (PSI,1983-1986-1987 ) con Ministro della sanità C. Degan (DC) ma in cui compare per la prima volta come sottosegretario alla sanità F. De Lorenzo e successivamente Ministro della sanità C. D. Cattin (DC,peraltro della sinistra DC) teoricamente favorevole alla Riforma sanitaria, anche se negli anni Sessanta l’aveva avversata. Dunque due partiti DC e PSI,i rispettivi Governi e Ministri della sanità che avevano votato la Riforma sanitaria ed avrebbero dovuto attuarla.
Ugualmente il successivo Governo Goria (DC,1987-1988) con Ministro della sanità di nuovo C. Donat Cattin (DC),Ministro anche nel successivo Governo C. De Mita (DC,1987-1988)e G. Andreotti (DC, 1989-1991).
Dunque è una leggenda metropolitana la responsabilità della mancata attuazione della Riforma sanitaria da parte dei Ministri del PLI,per coprire le mancanze e gli errori della sinistra di governo e parlamentare.

In realtà in quegli anni si consumano i limiti della L.n. 833/1978 non previsti dal legislatore e alcuni errori nella sua applicazione:

⦁ l’aumento della speranza di vita dovuta alle migliori condizioni di vita e di lavoro come portato del “boom economico” degli anni Sessanta e Settanta (i “trenta gloriosi” 1945-1975 di accumulazione capitalistica e la relativa stagione di riforme conseguenti alle lotte del movimento operaio e democratico);
⦁ il maggiore consumo di servizi sanitari da parte della popolazione anziana con l’incremento dell’introduzione di farmaci e tecnologie sanitarie e aumento della spesa sanitaria;
⦁ la gestione democratica tramite i “comitati di gestione” nominati dai Consigli comunali che diventano i trampolini di lancio di carriere politiche o la “zona retrocessione” delle stesse,con un profondo immiserimento della classe dirigente della Riforma sanitaria,tranne lodevoli eccezioni;
⦁ il malaffare nella gestione di alcune USL e soprattutto in alcune Regioni, che culminerà in scandali e corruzione,dentro un quadro complessivamente analogo della Pubblica Amministrazione;
⦁ mancata approvazione del Piano Sanitario Nazionale;
⦁ mancata Riforma del Ministero della sanità;
⦁ divario Nord-Sud.

In realtà il PCI prima e il PDS poi avevano ignorato il monito di G. Berlinguer,nel 1984 segretario regionale del Lazio del PCI, sul rischio insito nei Comitati di gestione delle USL e le necessità di abbandonare gli stessi,indirizzo fortemente avversato dagli Amministratori del partito.

Stupisce invece che il Governo del socialista G. Amato (PSI,1992-1993) veda Ministri della sanità F. De Lorenzo (PLI) e dopo R. Costa (PLI) che,anche sfruttando i limiti ed errori applicativi sopracitati ,cavalcando il malcontento di parte dell’opinione pubblica verso le USL del SSN, varano la Legge delega che consentirà al Ministro F. De Lorenzo di far approvare dopo solo tredici anni, la prima controriforma del SSN con il D. Lgs. n. 502/1992: tredici anni,un periodo molto breve per una riforma delle proporzioni della L. n. 833/1978.
Se la L. n. 833/1978 fu una legge parlamentare con un ampio dibattito, il D. Lgs. n. 502/1992 fu frutto di una legge delega,provvedimento con cui il Parlamento delega il Ministro ad adottare un proprio provvedimento con poca discussione e controllo.

I cardini più significativi del D.Lgs. n.502/1992 sono noti:

⦁ regionalizzazione e superamento del ruolo dei Comuni nella gestione della sanità;
⦁ il raggiungimento dei livelli uniformi ed essenziali di assistenza tramite le sole risorse disponibili;
⦁ aziendalizzazione con introduzione di meccanismi di gestione privatistica della sanità;
⦁ gigantismo delle Aziende sanitarie;
⦁ separazione degli ospedali maggiori;
⦁ l’obbligo di pareggio di bilancio da parte delle Aziende sanitarie;
⦁ istituzione della figura monocratica del Direttore Generale di nomina regionale in sostituzione dei Comitati di gestione privo di reali contrappesi democratici;
⦁ sperimentazioni gestionali pubblico-privato;
⦁ assicurazioni private di malattia.

Meno noto invece che il PCI ormai PDS propose la raccolta di firme per un referendum abrogativo la cui raccolta iniziale rimase nel cassetto.

Pochi ricordano anche le successive vicende del Ministro F. De Lorenzo:coinvolto nello scandalo di Tangentopoli, ha avuto una condanna definitiva (5 anni) per associazione a delinquere finalizzata al finanziamento illecito ai partiti e corruzione in relazione a tangenti per un valore complessivo di circa nove miliardi di lire, solo in parte ottenute da industriali farmaceutici dal 1989 al 1992, durante il suo ministero.
Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con sentenza n. 14 del 20 luglio 1994 hanno chiarito che “La stessa accusa ha prospettato che tutte le somme corrisposte finivano nelle casse del partito al quale De Lorenzo apparteneva”.
Nel giugno 2010, la Terza Sezione Giurisdizionale d’Appello della Corte dei Conti ha escluso il danno erariale conseguente al presunto illecito aumento dei prezzi dei farmaci, ma ha comunque condannato il De Lorenzo ad un risarcimento di 5 milioni di euro per danno all’immagine dello Stato.
La Corte di Cassazione con sentenza del 12 aprile 2012 ha rigettato il ricorso con la conferma della condanna per danno d’immagine a 5 milioni di euro a carico di De Lorenzo e dell’ex Direttore del Servizio farmaceutico Duilio Poggiolini.
Il 9 luglio 2015 gli è stato revocato il vitalizio, insieme ad altri nove ex deputati e otto ex senatori.

Ma il capolavoro contro il riformatore trova compimento con il successivo Governo C.A. Ciampi (indipendente,1993 -1994 ma con una maggioranza DC,PDS,PSI, PSDI, PLI,Verdi,lista Pannella e Rifondazione comunista all’opposizione),Ministro della sanità M. Garavaglia (DC) che attua il compromesso con il PDS e soprattutto con le Regioni “rosse” (Emilia Romagna, Toscana,Umbria)che non volevano comunque perdere il potere acquisito in sanità anche con il buon governo, facilitato,tuttavia,da anni di continuità amministrativa nelle suddette regioni e da un consolidato sistema di potere.
Con gli anni Novanta inizia comunque il processo di definanziamento del SSN cui concorrono tutti i governi successivi: in particolare il Governo S. Berlusconi (Forza Italia,1994-1995) con Ministro della sanità R. Costa (ex PLI,il partito di F. De Lorenzo che aveva votato contro la Riforma sanitaria del 1978, poi UDC).
Il successivo Governo “tecnico“ L. Dini (indipendente, 1995-1996) ,che fa cadere il Governo S. Berlusconi, con una maggioranza inedita, con per la prima volta il PDS (erede dal PCI per prima volta al governo del paese dopo il Governo F. Parri del 1945), vede Ministro della sanità il tecnico E. Guzzanti (indipendente).
Ma la vera novità politica è con elezioni del 1996 e la sconfitta di S. Berlusconi, il Governo R. Prodi (ex area DC ma indipendente, 1996-1998) con Ministra della sanità R. Bindi (ex DC,sinistra DC, PPI) con PDS e Rifondazione comunista in maggioranza di governo nel governo ma senza propri ministri. Di nuovo formazioni eredi del PCI, al governo per la prima volta dopo il 1945 con il Governo F. Parri:un evento storico.
E’ quella che potrebbe essere definita una grande occasione mancata. Su proposta della Ministra stessa il Parlamento,dopo la discussione nelle rispettiva Commissioni dei due rami del Parlamento , approva una Legge n. 419/1998 di delega al governo. Lo stesso iter che aveva seguito il Ministro F. De Lorenzo: un dibattito parlamentare avrebbe reso più trasparente e controllabile il contenuto della legge delega che tuttavia,per colpevole disattenzione oppure consapevole condivisione dei contenuti, conteneva tutti i presupposti del successivo D.Lgs. n. 229/1999.
Vediamo sommariamente le voci maggiormente critiche:
⦁ conferma di regionalizzazione e aziendalizzazione;
⦁ collaborazione tra soggetti pubblici e privati,soprattutto equiparate del privato sociale non aventi scopo di lucro;
⦁ sussidiarietà istituzionale;
⦁ rapporto di lavoro di diritto privato per la dirigenza sanitaria;
⦁ contratti di lavoro a tempo determinato;
⦁ riordino delle forme integrative di assistenza sanitaria solo per prestazioni aggiuntive eccedenti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza con gestione delle stesse da parte di enti locali e regioni.
Accanto a queste voci anche altre più riformatrici,ma certo se l’intento era quello di “smontare” il D. Lgs. n. 502/1992 (De Lorenzo) come modificato dal D. Lgs. n. 517/1993 (Garavaglia),non ci si era neanche provato. Possibile che Rifondazione comunista (PRC, Comunisti Unitari, Verdi ) non se ne fossero accorti? E la Cgil? E se PRC ne fosse accorto poteva essere l’allora responsabile del settore welfare di PRC a fermare questa deriva? O non dovevano essere coinvolti i vertici di quel partito? Il PDS era tutto a favore? E il sindacato e i movimenti sociali,quanto furono informati,consapevoli e partecipi del dibattito parlamentare?
Da qui deriva il controverso D.Lgs. n. 229/1999 che però venne adottato da un governo diverso: il Governo D’Alema (PDS, 1998-2000) con Ministra della sanità sempre R. Bindi, il Partito dei Comunisti Italiani al Governo con due ministri e PRC all’ opposizione. Anche qui nessuno si è accorto?
Nel contempo la Ministra della solidarietà sociale L. Turco propone e fa adottare dal Parlamento al L. n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che delega gran parte degli interventi al terzo settore,coerente con l’analoga tendenza presente nel D.Lgs. n. 229/1999.
La Ministra R. Bindi istituì vari gruppi di lavoro,che lavorarono separati tra loro, e produssero il D.Lgs. che però poi contiene tutte le parti critiche sopra citate. In particolare la collaborazione tra pubblico e privato (che collaborano facendo appunto “sistema”,da cui l’espressione “Sistema sanitario nazionale” al posto di “Servizio Sanitario Nazionale” come la legge prevede),soprattutto non a scopo di lucro,il che però non stupisce.
Nella cultura cattolica, compreso il cattolicesimo democratico, la sussidiarietà orizzontale è parte integrante almeno dal 1931 (Enciclica per il Quadragesimo anno Rerum Novarum di Papa Leone XIII, 1931; Enciclica Mater et Magistra, 1961).
Il principio trova poi ulteriore conferma nella successiva L. n. 3/2001 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”. inizialmente recepita dalla L.n. 59/1997 (cosiddetta legge Bassanini,indipendente, Ministro della Funzione Pubblica del citato Governo M. D’Alema) e dalla L. n. 265/1999 (confluita nella L.n. 267/2000 , testo unico di ordinamento degli enti locali, t.u.e.l.), per poi divenire principio costituzionale in seguito alla riforma del titolo V, parte II, Cost. attraverso la L. cost. n. 3/2001. La sussidiarietà orizzontale così ha trovato, inizialmente, riconoscimento nell’art. 2 della L. n. 265/1999, confluito poi nella L. n. 267/2000 e, infine, nell’art. 118, co. 4, della Costituzione, secondo il quale Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base appunto del principio di sussidiarietà. La sussidiarietà orizzontale esprime il criterio di ripartizione delle competenze tra enti locali e soggetti privati, individuali e collettivi, operando come limite all’esercizio delle competenze locali da parte dei poteri pubblici: l’esercizio delle attività di interesse generale spetta ai privati o alle formazioni sociali e l’ente locale ha un ruolo sussidiario di coordinamento, controllo e promozione; solo qualora le funzioni assunte e gli obiettivi prefissati possano essere svolti in modo più efficiente ed efficace ha anche il potere di sostituzione.
E’ difficile dare la colpa alla sola Ministra R. Bindi,benché abbia avuto un ruolo determinante.
La citata L. n. 3/2001 di riforma del titolo V della Costituzione che dà la potestà legislativa sulla sanità alle sole Regioni aprendo la strada a ventuno Servizi sanitari regionali diversi,viene effettivamente adottata dal successivo Governo S. Berlusconi(Forza Italia, 2008-2011), Ministro della sanità F. Fazio (indipendente,tecnico) e poi G. Sirchia (indipendente,tecnico),ma il grosso del lavoro era stato svolto dai precedenti Governi M. D’Alema e G. Amato (indipendente,ex PSI,2001) Ministro della sanità U. Veronesi (indipendente,tecnico).

§ Con la successiva vittoria elettorale della coalizione dell’Ulivo R. Prodi (indipendente/PD) forma un nuovo Governo (2006-2008) con Ministro della salute L. Turco (DS) ma questa volta anche ministri del Partito dei Comunisti italiani e del Partito di Rifondazione Comunista. Come Ministra della salute L. Turco nel 2007 si è occupata di varare il progetto de “Le case della salute”, i cui esiti sono tuttora controversi (13).
Segue il governo tecnico M. Monti (indipendente, 2011-2013), Ministro della salute R. Balduzzi (tecnico,già capo ufficio legislativo della Ministra R. Bindi), da cui prende il nome il D.L. n. 158/2012 la cui parte più grave è l’art. 4 bis : “nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, nelle quali sia scattato per l’anno 2012 il blocco automatico del turn over ai sensi dell’articolo 1, comma 174, della medesima legge n. 311 del 2004, e successive modificazioni, ovvero sia comunque previsto per il medesimo anno il blocco del turn over in attuazione del piano di rientro o dei programmi operativi di prosecuzione del piano, tale blocco puo’ essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessita’ di garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell’attuazione dei piani accertino, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi. La predetta disapplicazione e’ disposta con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (MEF) , di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport”.
Una norma che ancora pagano gli operatori della sanità e i cittadini e che ha posto le sanità regionali sotto il MEF, aprendo la strada a più estese esternalizzazioni e accreditamenti con il privato,per aggirare il blocco delle assunzioni spostando le risorse dalla voce di spesa “personale” alla voce “acquisizione di beni e servizi”.
Particolarmente critiche sono anche le disposizioni del D.L. a favore della libera professione intramoenia.
Il successivo Governo di “larghe intese” G. Letta (PD,2013-2014) ha come Ministra della salute B. Lorenzin (Forza Italia/PdL, oggi PD) che espresso la sua contrarietà alla legalizzazione delle droghe leggere che, a suo avviso, porterebbe danni estremi per la salute dei cittadini Di corrente cattolica, si è più volte detta contraria all’estensione del diritto al matrimonio in favore delle coppie dello stesso sesso, alla possibilità di adottare dei figli o avere accesso alle pratiche di fecondazione assistita e favorevole a rendere la gestazione per altri reato universale. Si è opposta a bandi specifici per medici non obiettori di coscienza circa l’aborto e alla presenza della pillola abortiva presso i consultori.In quanto Ministro della Salute ha reso possibile l’obiezione di coscienza da parte dei medici per la legge sul testamento biologico.
Firma il provvedimento di aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).
A seguito del calo della copertura vaccinale in Italia, ha promosso un decreto legge poi convertito con modifiche dal Parlamento per aumentare la diffusione dei vaccini nella fascia di età 0-16 anni. Tale decreto, per la sua impostazione, ha suscitato forti reazioni tra coloro che si oppongono alla pratica vaccinale obbligatoria introducendo penalizzazioni per minori (non ammissione a scuola) e genitori (sanzioni amministrativa) che la Ministra R. Bindi aveva abolito.
Nel 2016 lancia in Italia una campagna di sensibilizzazione alla fertilità promossa dal Ministero della Salute, il cosiddetto “Fertility Day” con messaggi di comunicazione del Ministero ritenuti da molti lesivi della dignità della donna e razziste.Nel marzo 2023 il nome di Beatrice Lorenzin viene inserito tra gli indagati da parte della Procura di Bergamo insieme ad altri due ex ministri della Salute: Roberto Speranza e Giulia Grillo per il mancato aggiornamento del piano pandemico nell’ambito dell’indagine sulla gestione del Covid-19.
B. Lorenzin è Ministro della salute anche con il successivo Governo P. Gentiloni (PD,2016-2018, con un passato nel Movimento Studentesco di Mario Capanna, poi Movimento Lavoratori per il socialismo-MLS,poi PdUP, Margherita e infine PD).
Il Governo G. Conte (M5Stelle 2018-219) con la Lega Salvini vede la ministra della salute G. Grillo (M5Stelle) che non si distingue particolarmente dalle politiche di definanziamento della sanità.
Il successivo Governo G. Conte (2019-2021, con una diversa maggioranza PD, M5Stelle, Liberi e uguali e Italia Viva) ha come Ministro della salute R. Speranza (PD, già PDS-DS, poi Art1-MDP /Liberi e Uguali oggi nuovamente PD),incarico che ricopre con il successivo Governo M. Draghi (tecnico,indipendente,2021-2022). Come ministro ha nominato Walter Ricciardi, Proveniente dalla Università Cattolica, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ed ex presidente dell’Istituto superiore di sanità (ISS), come consigliere speciale per le relazioni tra l’Italia e le organizzazioni sanitarie internazionali e per la gestione della crisi,così come ha nominato Mons. Paglia (presidente della Pontificia accademia per la vita e consigliere spirituale Comunità di S.Egidio )Presidente della commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana.
Conferma A. Urbani come Direttore Generale della Programmazione del Ministero della salute lì collocato dalla Ministra B. Lorenzin,oggi Direttore della Direzione regionale dell’Assessorato alla salute della Regione Lazio con il Presidente F. Rocca.
Le misure del Ministro durante l’epidemia Covid,hanno palesato il conflitto di ordinanze,competenze e provvedimenti tra Stato ,Regioni e Comuni,le scelte sui vaccini,la confusione tra obbligo vaccinale generalizzato e “green pass”, materia ancora controversa. Nessuna posizione del Ministro contro l“ “autonomia regionale differenziata” e le pre intese del Governo Gentiloni con le Regioni Lombardia,Veneto ed Emilia -Romagna.Più rilevante l’adesione acritica al PNRR,con il DM n. 77/2022 e le fantomatiche Case di Comunità (14) che dovrebbero,con il precedente DM. n. 70/2015, riformare sanità territoriale e ospedali.A ciò si aggiunge il progressivo definanziamento previsto in prospettiva con il DEF 2021 con le Previsioni per il triennio 2023-2025.
Nel triennio 2023-2025, la spesa sanitaria è prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento; nel medesimo arco temporale il PIL nominale crescerebbe in media del 3,8 per cento.
Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,2 per cento.

Il DEF del Ministro R. Speranza ha spianato la strada al successivo Governo G. Meloni (FdI, 2022) con Ministro della salute O. Schillaci (indipendente,tecnico).
Nel DEF 2023 il Governo Meloni ha previsto pochi spiccioli (3 miliardi) per ridurre i contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, ignorando i drammi di cui proprio i bassi redditi sono vittima a cominciare dalla salute. A parte qualche briciola al fondo sanitario previsto dal DEF per il prossimo anno, il governo Meloni conferma i tagli lineari alla sanità, già programmati. Così come conferma i tetti alle assunzioni e gli sgravi fiscali alla sanità privata sappiamo che la spesa sanitaria è destinata a scendere: dal 7.1% del Pil al 6,7%.

§ Conclusioni.

C’è un filo che lega la sanità italiana nei decenni,a cavallo di tre secoli e due millenni:una continuità raramente interrotta da discontinuità.
La tendenza paternalistico autoritaria centralista di volta in volta è passata dal Ministero degli interni, Prefetto,Medico provinciale al Ministero della salute a Regioni (con un nuovo centralismo) al Direttore generale delle aziende sanitarie.
La mancanza di partecipazione di lavoratori,cittadini, operatori sociosanitari fino ai Comuni e Municipi delle realtà urbane maggiori.
Lo spostamento sul SSN delle contraddizioni e dei costi che la società non vuole o non sa risolvere attraverso la prevenzione in tutte le politiche (determinanti di salute).
Il costante sotto-definanziamento del SSN,non comprendendo che il SSN è una forma di redistribuzione della ricchezza e salario differito .
Lo spostamento del finanziamento dalla fiscalità generale ai cittadini tramite la spesa diretta e/o meccanismi assicurativi con la creazione di un enorme mercato sanitario parallelo (“white economy”) finanziato dal SSN.
Il blocco delle assunzioni di personale del SSN,con chiusura di strutture e posti letto, per spostare le voci di spesa su “acquisizione di beni e servizi” tramite l’accreditamento,le esternalizzazioni e l’intramoenia.
L’appiattimento culturale dei servizi del SSN privi di una pratica della trasformazione e della cura adeguate alle contraddizioni determinate dallo sviluppo capitalistico e dalla corsa ai profitti in medicina,al di là della buona volontà di molti operatori.
La mancanza di volontà da parte delle sinistre di varia osservanza di riflettere auto criticamente sui propri errori nelle politiche sanitarie sia al governo che all’opposizione, rimuovendo le cause delle sconfitte elettorali nazionali e locali che rende tra loro indistinguibili destra e sinistra.
La sostanziale prassi consociativa delle culture “cattolica “ e “comunista” nella gestione della sanità come base del compromesso sociale “storico” interclassista tra capitale e lavoro,socialdemocrazia all’italiana,capace di unirsi per aumentare i finanziamenti alla sanità che per il 50% su base nazionale vanno al privato accreditato,alle esternalizzazioni e ai convenzionamenti.
Lo scollamento del welfare dalle prospettive di radicale trasformazione sociale con la medicalizzazione dei bisogni sociali.

1) Giorgio Cosmacini. Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste nera ai giorni nostri.Laterza, 2016
2) Saverio Luzzi. Salute e sanità nell’Italia repubblicana. Donzelli editore,2004
3) Ferdinando Terranova.Sanità e insanità pubblica nell’Italia neoliberista. Dalla conquista del diritto alla salute all’ideologia della sua negazione. Altralinea, 2016
4 ) WWW.FPCGIL.IT ,La sanità in Italia dalle sue origini ad oggi. A.Marchini
5) C. Giorgi, I. Pavan.Storia dello Stato sociale in Italia. Il Mulino,2021
6) E. Turi. Il mensile Aprile.Ritardi e inadempienze.Luglio/Agosto 2007. Contro la privatizzazione,la salute non è una merce. Settembre 2007
7) E. Turi Per una critica dell’economia politica in sanità. Medicina e potere ai tempi della crisi. Materiali di riflessione per un aggiornamento politico culturale sul Servizio Sanitario Nazionale. Quaderni di inchiesta sociale,2016
8) Medicina Democratica,aprile 2020.
9) Documenti del movimento operaio 1,a cura della FLM di Roma.In lotta per la salute.Esperienze e proposte di intervento sull’ambiente di lavoro nelle fabbriche della capitale.Sapere edizioni, 1974
10) Rinascita n° 38 del 28 settembre 1973: “Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni – Necessaria una riflessione attenta sul quadro mondiale”;Rinascita n° 39 del 5 ottobre 1973: “Via democratica e violenza reazionaria – Riflessione sull’Italia dopo i fatti del Cile”;Rinascita n° 40 del 12 ottobre 1973: “Alleanze sociali e schieramenti politici – Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile”
11) Marco D’Eramo.Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi. Feltrinelli, 2020
12) P. Ingrao,R. Rossanda. Appuntamenti di fine secolo. Manifesto,2015.
13) Camera dei deputati XVIII LEGISLATURA Documentazione e ricerche Case della salute ed Ospedali di comunità: i presidi delle cure intermedie. Mappatura sul territorio e normativa nazionale e regionale. Dossier 1 marzo 2021.
14) E.Turi. Ma cosa sono queste case di comunità? Lavoro e salute,n. 7 luglio 2022.

Versione Interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2023/

Archivio http://www.lavoroesalute.org/

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