Milano esclude i poveri: il vero volto del “modello Sala”
Dicono che non bisogna giudicare la politica dalle conversazioni private. Ma quando la conversazione è tra il sindaco della capitale economica del Paese e un celebre architetto, nonché ex assessore del centrosinistra, e riguarda “quanti senzatetto ci sono in città”, è lecito fermarsi un attimo. Respirare. E riflettere.
«Se posso permettermi», scrive Stefano Boeri al sindaco Beppe Sala nel 2018, «bisognerebbe dire a Majorino che più trattiamo con i guanti gli homeless più ne arrivano. C’è una costante migrazione verso Milano, perfino Genova si sta svuotando…».
La risposta del primo cittadino? Sobria e rapida: «Capisco. Ne parlo con lui.»
Ora, se c’è una città che dovrebbe riflettere su come costruisce sé stessa — nel senso più letterale possibile — quella città è Milano. E se c’è un modello di “rigenerazione urbana” che ha spostato l’asse dalle periferie sociali al profitto verticale, è proprio il modello Milano: torri, skyline, marketing urbano, cementificazione rampante. Un modello che ha esportato con orgoglio la sua vetrina al mondo, ma ha lasciato in cantina il retrobottega della povertà.
La frase di Boeri è significativa non tanto per il suo tono (educato, perfino), ma per l’assunto ideologico che porta con sé: che l’assistenza ai poveri sia un incentivo alla povertà. Che la solidarietà urbana sia una calamita per l’esclusione. Che se una città diventa troppo umana, diventa troppo sporca.
Ecco l’inversione perfetta del principio costituzionale: non più la città che accoglie chi ha bisogno, ma la città che deve rendersi inospitale per scoraggiare i deboli. In fondo, se vuoi mantenere alto il prezzo al metro quadro, il disagio sociale va messo altrove. Magari fuori dalla cerchia dei Bastioni. Magari fuori dalla vista.
La chat tra Boeri e Sala – oggi agli atti di un’inchiesta pesante sulla gestione urbanistica milanese – non è una gaffe, non è un incidente. È un lapsus sistemico, un disvelamento: mostra cosa pensano davvero alcuni architetti e amministratori quando progettano la città. Una città pensata per i decisori, non per gli esclusi. Per gli investitori, non per i lavoratori poveri. E, soprattutto, per chi ha un domicilio.
Ironia della sorte, si parla qui di rigenerazione urbana, come se i luoghi avessero bisogno di essere guariti. Ma dai luoghi vengono scacciate le persone che hanno bisogno di essere curate. E allora viene da chiedersi: rigenerazione di cosa? E per chi?
Nel frattempo, fuori da quelle chat e dentro le nostre strade, i senzatetto restano. Invisibili quando si tratta di progettare Milano, ipervisibili quando la disturbano. Ingiustamente identificati come “problema”, mentre sono invece la spia visibile di un sistema che ha rinunciato a includere. Un sistema che, come mostra l’inchiesta, sembra aver promosso la speculazione edilizia a regola informale, con buona pace delle promesse progressiste.
Sala e Boeri sono figli di una sinistra che ama definirsi “pragmatica”. Ma c’è un limite oltre cui il pragmatismo si chiama semplicemente classismo. E se non ti prendi cura dei poveri, almeno non parlare di loro come se fossero un rifiuto urbano da spostare con la ruspa della retorica.
A noi, che ogni giorno documentiamo la povertà di chi abita la città senza averne una, resta la responsabilità di ricordare che l’inclusione non è uno slogan da convegno, ma un principio da applicare nelle scelte quotidiane, anche quelle urbanistiche. E che una sinistra che dimentica i poveri non è più sinistra: è solo una destra travestita da progressismo borghese, con tanto di vista panoramica.

Gianluca Cicinelli
22/7/2025 https://diogenenotizie.co










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