Militarizzare la scuola: il ritorno della leva nelle coscienze dei ragazzi e l’ingannevole proposta dei valori delle Forze Armate
di Laura Tussi
Negli ultimi mesi, mentre in Europa si discute apertamente di riarmo e nuove strategie belliche, in Italia si moltiplicano le iniziative che legano sempre più strettamente il mondo della scuola a quello militare. Da Palermo a Pisa, caserme e istituti superiori siglano protocolli d’intesa che prevedono visite guidate, giornate di “educazione civico-militare”, simulazioni di emergenza con personale in divisa, fino alla presenza stabile di ufficiali in aula.
Si tratta di un fenomeno che sta passando sotto traccia ma che, osservato con attenzione, rivela un chiaro tentativo di “normalizzare” la cultura della guerra tra i giovani, attraverso un linguaggio apparentemente neutro: quello della sicurezza, della difesa civile, della disciplina.
A Palermo, per esempio, il Comando Militare Esercito “Sicilia” ha firmato un accordo con l’Ufficio scolastico regionale per la realizzazione di percorsi di “educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva”, in cui però la divisa militare assume un ruolo di protagonista. A Pisa, il progetto “Caserme aperte” consente alle scuole di visitare le strutture militari e assistere a dimostrazioni operative dell’esercito.
Dietro la facciata educativa, tuttavia, emergono segnali preoccupanti: la trasformazione della scuola in un luogo di propaganda “patriottica” che ripropone un immaginario bellico in netto contrasto con i principi della Costituzione. E mentre le armi tornano a occupare gli schermi e i libri di testo, lo Stato sembra voler rimettere in circolo anche simbolicamente il fantasma della leva obbligatoria.
Non è un caso che, proprio in queste settimane, dopo anni di silenzio, siano state pubblicate le liste di leva del 2008, rimaste finora inaccessibili. Una mossa burocraticamente inspiegabile ma dal forte valore simbolico, che molti osservatori leggono come un segnale politico: la riattivazione, almeno ideale, di un meccanismo di arruolamento collettivo, in un contesto in cui la guerra torna a essere narrata come dovere, e non come tragedia.
Il messaggio che passa ai giovani è ambiguo: si parla di “formazione al servizio della comunità”, ma il modello resta quello militare. Si enfatizza la “prontezza”, la “resilienza”, la “difesa del territorio”, termini che nel linguaggio di oggi — dominato dalle retoriche della sicurezza e del nemico esterno — suonano sempre più come una chiamata alle armi culturale e psicologica.
Eppure, in un Paese che ha conosciuto l’obiezione di coscienza e che ha fatto della pace un principio costituzionale, l’educazione dovrebbe seguire un’altra direzione: quella del disarmo interiore e del dialogo tra i popoli. Ma finché la guerra verrà raccontata come mestiere, e la divisa come ideale di cittadinanza, sarà difficile pensare che la scuola resti davvero un luogo di libertà e di pensiero critico.
La ingannevole solidarietà delle caserme
Per anni il Comune di Pisa ha organizzato per le scuole pisane una “Giornata della Solidarietà” che in realtà era una “Giornata in Caserma”, dato che le attività si svolgevano all’interno del Capar, centro di addestramento paracadutisti e sede della Brigata Paracadutisti Folgore.
Il rapporto direttamente proporzionale tra incremento delle spese militari e impoverimento della scuola e dell’istruzione è evidente e netto.
Sarebbe davvero necessario, promuovendo e favorendo un contesto di disarmo generalizzato, convertire le caserme in luoghi di cultura, in ambiti di dialogo interculturale, interreligioso e di educazione alla pace e alla gestione dei conflitti.
Il militarismo e la propensione alla guerra sono un aspetto del maschilismo più truce. Gli uomini, muovendosi guerra, violentano Madre Terra, l’umanità e l’ambiente.Il militarismo sconsacra l’ideale di donna e ripudia il rispetto del femminile, ossia il lato femmineo di ogni individuo e persona, che è implicito in tutto il genere umano e nel regno animale e vegetale.
La valorizzazione di genere, la considerazione della donna e del femminile, il dialogo tra generi e generazioni, come punto di riferimento per la trasmissione della memoria storica e dei valori della Pace, a partire dall’istituzione scolastica, sono strumenti ed istanze imprescindibili dei veri processi di Pace, contro l’obbedienza agli ordini, all’uniformità, al culto della forza tipici delle organizzazioni militari.
La caserma viene propinata agli studenti con la seduzione di una giornata di festa, di avventura, di gioco, di evasione e i militari vengono presentati come eroi e promotori di alti ideali di pace e solidarietà. Invece, in realtà, la guerra è mercenaria.
La giornata di solidarietà con gli eroi militari morti nelle cosiddette “missioni di pace” è una retorica militarista molto pericolosa, per cui la guerra viene presentata e trasmessa in maniera fittizia ed edulcorata. Questo pretesto ha un effetto pericoloso anche sulla psicologia infantile.
La guerra ingenera sempre violenza, lutti, morte, dolore, miseria materiale, etica e morale. Per questo motivo, le nuove generazioni devono essere educate a valori veri di democrazia, di rispetto dell’altro, di dialogo tra culture e fedi, aborrendo ogni forma di prevaricazione, di violenza, di sopraffazione e odio tra genti, popoli, minoranze, persone.
La pace non è un’utopia: possiamo vivere in un mondo dove non esistano patrie e nazioni, frontiere e burocrazie, limiti e confini, ma comunità educanti aperte al dialogo, alla gestione nonviolenta dei conflitti, al cambiamento, al progresso costruttivo, nel rispetto delle culture altre e delle differenze di genere e intergenerazionali.
Afferma Federico Giusti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università: “La militarizzazione delle scuole e dell’università ha ormai origini lontane da quando, una quindicina di anni fa registravamo le prime presenze, in varie vesti, di militari nelle scuole.
Abbiamo avuto percezione del problema con qualche anno di ritardo eppure il fenomeno militarizzazione interessa tutta la scuola, da quella dell’infanzia a quella secondaria di secondo grado, fino ormai all’università dove il settore della ricerca, anche su indicazioni Ue, si sta muovendo nella ricerca di tecnologie duali o equiparando ad antisemitismo le iniziative di boicottaggio di Israele e di contrasto al genocidio del popolo palestinese. Sono stati firmati protocolli a livello nazionale, il primo è del 2014 e locale, accordi quadro tra i ministeri dell’Istruzione e della Difesa. In taluni casi hanno coinvolto anche il ministero del Lavoro attraverso i percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO, con la presenza degli studenti in basi e infrastrutture militari o all’interno delle principali aziende del comparto militare-industriale”.
La strategia è ben chiara: affermare la cultura della difesa e della sicurezza, un concetto presente da tempo in tutti i documenti strategici delle forze armate o dei Governi nella Ue. Si cerca inoltre di conquistare il consenso delle nuove generazioni su un modello di forze armate che intervengono a 360 gradi: sia all’estero, nelle varie missioni internazionali, sia all’interno, in sfere una volta non di loro competenza, oppure, sulle ceneri dello stato sociale, si presentano all’occorrenza come artefici della protezione civile, protagonisti dell’educazione civica, stradale, della lotta al cyberbullismo o insegnanti di educazione fisica. Siamo davanti, ormai da anni, a una svolta che vuole presentare il settore militare non solo come protagonista della nostra società ma anche alfiere di progetti sociali che oggi lo Stato non realizza avendo impoverito il welfare, ossia lo stato sociale e i servizi alla persona, proprio per indirizzare crescenti risorse al settore militare.
10/10/2025 https://www.farodiroma.it/










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