monologo di un etilista
Massimo ci rise sopra “gli anni più belli, proprio quelli destinati a rimanere un ricordo. Giusi è una brava persona. Sei tu a non credere più in te. Quella donna ti vuole bene”.
Renato alzò il bavero dell’impermeabile e si staccò dalla discussione, non prima d’aver risposto a tono “lo so, lo so benissimo! Io non bevo per dimenticare, forse lo fanno gli altri; io bevo per trovare il coraggio di perdonarmi. Su Giusi non saprei più cosa dirti, ci penserò. Ciao Massimo. In ogni caso, tu sei sempre l’amico immaginario più rompipalle del pianeta.. Sparisci per un po’”.
Riprese la via del ritorno, deciso a riconquistare la porta di casa, purtroppo un lampione lo illuminò più del dovuto. Si fermò sul posto, mise le mani in tasca e invocò i suoi demoni “Possiamo disperarci all’infinito, collegare il malumore a quel che intorno gira, rovesciare i principi e accontentarci delle briciole, dell’illusione iniettata a gocce. Possiamo staccare la spina dalla realtà e sviolinare invettive più o meno illustri, abituarci a servire come farebbero gli schiavi, sottoporci alle torture e convincerci di aver scelto la via migliore.
Non di sole parole e non di sola azione è stato concepito l’uomo, per cui a ogni lamento seguirà una tentazione, un obbligo o un vezzo, vittimismo o negazione. Facciamo attenzione cari, di questo passo ci ritroveremo ad applaudire il passaggio dei soldati, appena usciti da una battaglia con il popolo”.
Aprì l’impermeabile e riprese il cammino, sommerso da un’ondata di calore, immaginando Giusi sotto le coperte. A casa si addormentò vestito, quella era una delle tante notti senza volante, le peggiori.
Qualche sera dopo, uscì dopo cena e si diresse verso casa di Giusi. La serata era limpida, il sole pareva non voler uscire di scena, mentre la luna sfilava come una modella tra le stelle. Prima di citofonare, fece un giro tra le sue ossessioni e decise che chiamarla non rientrava tra i suoi bisogni impellenti, forse solo per non urtare vecchie ferite.
Deviò il passo e superò l’ostacolo, ma non la premonizione concessa alle sole donne. Lei lo vide dalla finestra e lo chiamò “Professò, ma state a fare le finte? Io costo poco e a lei faccio pure lo sconto”.
Renato, preso in castagna, non seppe far altro che ammettere “ho pensato di venirti a prendere per uscire insieme. Volevo portarti in un bar diverso, più chic del nostro. Uno di quelli che stanno in centro, ma non ho la macchina, mi hanno ritirato la patente, quindi sono sempre il solito sfigato. Scusami, amica mia!”
A quelle scuse, seguì il saluto e un veloce, sontuoso, sonoro e umiliante dietrofront, a testa bassa. Giusi non era una donna da poco, conosceva il maestro come conosceva il suo bisogno primario: di sentirsi importante come presenza e non come dileggio, possesso e addio. Lo richiamò a sé con il tono di voce cresciuta in strada, sopra le righe “professò, adesso manco più ti fermi a sentire la risposta? State nervoso?”
Renato arrestò la sua fuga e la fissò, sembrava che quel passaggio dal tu al voi, cadenzava il suo mutamento da uomo a rimbecillito. Le disse poco meno di quel che l’arrovellava “ricominciamo allora! Giusi, ti va di uscire con questo vecchio squilibrato? Andiamo dove vuoi tu. Se hai da fare non mi offendo, ripasserò domani-.
Lei diede un’occhiata all’orario e rispose “ho da fare per un po’, aspettami al bar. Verrò sicuramente!”
Il maestro si riappropriò del vociare interno e si diresse dove la sua Giulietta aveva indicato. Entrò dentro il bar e Romeo, dopo aver dirottato un bicchiere di whisky al fegato, lo prese di mira “Professò, tu ami Dario Fo? Certo che lo ami. Voi saputi non ricordate quello che successe dopo Piazza Fontana e dopo che Pinelli volò dal balcone. Io lo ricordo bene. Tutta la sinistra dei professori puntò il dito verso Calabresi e lasciarono in sospeso Piazza Fontana, ne parlavano poco, molto meno di quel commissario sfigato. Questo non lo dite mai, voi siete quelli che cadono sempre in piedi. Quelli come te potevano manovrare la rabbia della gente e vi siete venduti”. Renato bevve il primo bicchiere di rosso e rispose “mi vedi bene? Io neanche so quello che successe. Adesso mi porta solo dolore ripensarci. Fatti un altro bicchiere alla mia salute”. Romeo accettò di tenergli compagnia “pago io il primo, se permetti! Noi proletari siamo sempre ultimi, almeno per il primo brindisi voglio il posto d’onore”.
La risata coinvolse anche Daniele che di unì al brindisi “allora andiamo a whisky stasera”. I brindisi si susseguirono alla velocità di uno scippo, infatti s’inserì un noto ladro di professione, amico d’infanzia “voglio starci pure io a sta bevuta”. “Prego Nico, sei di nostri”. Rispose Romeo, senza chiedere consensi. La discussione si accese sulla tema giustizia, molto sentito in periferia e il nuovo arrivato aveva molto da recriminare “io devo ancora scontare sei anni per rapina a mano armata. Giorni fa, un tipo gli hanno dato tre anni per lo stesso reato. Questi giudici non sanno neanche loro, danno gli anni come stessero dando caramelle”. Daniele aggiunse del suo “ho fatto tre processi per truffa con le assicurazione, mente i signori politici la passano liscia per reati come gravi. Mai creduto alla giustizia”. Renato avrebbe potuto dire molto, raccontare di sé, ma il whisky non era la sua bevanda, per cui si curvò su se stesso. Romeo lo tenne su, Nico avvicinò una sedia, ma niente il maestro cadde a terra esausto, abbattuto come un albero durante una forte tempesta. Il bar intero ebbe una scossa, ognuno apportò un consiglio personalissimo “sollevategli la testa”, “copritegli il collo”, “adesso che sta a terra alzategli le gambe”. Daniele decise per l’ambulanza. Arrivò dopo dieci minuti, scesero tre ragazzi con le tute rosse e si avvicinarono a Renato disteso a terra. Dopo un primo controllo, lo caricano in barella per portarlo all’ospedale. Giusi mancava.
Primo racconto n. 3 giugno 2015 – Secondo n. 4 settembre 2015 – Terzo n. 5 novembre 2015 – Quarto n. 1 gennaio 2016 – Quinto n. 2 marzo 2016 – Sesto n. 3 maggio 2016 – Settimo n. 4 luglio 2016 – Ottavo n. 5 settembre 2016
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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