Perché dobbiamo essere contro questa UE senza se e senza ma

di Giuseppe Amata

La “Repubblica” del 28 febbraio ha pubblicato un “Appello” scritto da Michele Serra e indirizzato in particolare a Partiti e Sindacati per organizzare una manifestazione nazionale senza bandiere proprie, ma soltanto con quelle della Unione Europea, in difesa della stessa contro le iniziative politiche e militari di Trump. Nell’appello si chiosa una imperiosa frase, “Qui o si fa l’Europa o si muore”, mutuandola da quella celebre pronunciata da Garibaldi nel maggio del 1860, dopo lo sbarco a Marsala, nel corso della battaglia di Salemi, in risposta alle osservazioni di estrema difficoltà in cui si trovavano le camicie rosse fattegli notare da Bixio: “Nino, qui o si fa l’Italia o si muore”. 

All’ appello di Michele Serra hanno subito aderito esponenti di PD, IV e Azione.

L’Unione Europea, come è noto, è stata imposta ai popoli europei dopo il dissolvimento della Unione Sovietica, rappresentando la terza fase, la prima iniziata nel 1957 con il Trattato di Roma che istituiva il Mercato Comune Europeo; realizzato il quale si è passati alla seconda fase, con una maggiore adesione di Paesi alla Comunità Economica Europea, per delineare una politica economica comune. 

Terza fase da completare con la costituzione di uno Stato sovranazionale, dopo l’avvio di una politica economica comune, una moneta unica, il tentativo fallito di approvare la stesura di un progetto di Costituzione (la quale a differenza di quella approvata in Italia e Francia dopo la vittoria delle rispettive Resistenze antifasciste e antinaziste non faceva specifico riferimento ai quei principi bensì a generici principi democratici) dopo la bocciatura dei referendum popolari in Francia e nei Paesi Bassi, di una unica politica estera e di un unico Esercito integrato nella NATO.

L’Unione Europea da parte dei governanti al servizio delle multinazionali, del capitale finanziario, di una consolidata tecnocrazia e burocrazia installatasi a Bruxelles, e formatasi nelle scuole economiche e militari sorte dopo la Trilateral, ha rappresentato più che un mito propinato alle masse un feticcio da adorare. 

Feticcio colorato con altisonanti parole di democrazia sugli organi rappresentativi (i quali, al contrario, non sono eletti dai popoli ma designati dai governi con la ratifica del Parlamento europeo), sulla libertà di pensiero, di espressione e di libera circolazione delle persone, sui diritti umani inviolabili (in verità i diritti umani fondamentali sanciti dalla rivoluzione francese sono trascurati mentre vengono esaltati come principali alcuni di natura secondaria che riguardano i rapporti interpersonali e sessuali), sulla pace e contro le guerre.

Sin dalla prima fase del MEC la volontà dei “padri fondatori” di unirsi sì è dimostrata nei fatti, al di là delle parole, non al servizio dei popoli europei bensì al servizio dei monopoli ed oligopoli europei e dello sviluppo del capitale finanziario internazionale, determinando nei Paesi aderenti sfruttamento irrazionale delle risorse, della forza-lavoro, con salari enormemente differenziati per alimentare il meccanismo di accumulazione dei capitali, nonché impoverimento territoriale delle zone periferiche con incentivi mirati ai poli industriali, emarginazione delle aree montane e di alta collina favorendo di conseguenza le erosioni dei suoli per le mancate coltivazioni e quindi i processi di esondazione di fiumi e torrenti, devastazione di molti territori in seguito ad inquinamento e alla sottrazione di aree coltivabili fertili per costruire basi militari, imponenti centri commerciali e tutto quanto può determinare lo sviluppo economico diseguale, tipico in ogni parte del mondo del modo capitalistico di produzione sfociato in imperialismo.

Nella terza fase iniziata negli anni Novanta la Unione Europea è diventata una forza di guerra nell’ambito della strategia NATO, promuovendo direttamente la disgregazione della Federazione Jugolasva e poi il bombardamento della Serbia per provocare la scissione di Montenegro, Macedonia e Kossovo, per assorbire nella NATO i nuovi Paesi aderenti nel suo ambito, per essere presente con gli eserciti di molti suoi Paesi aderenti nelle guerre infinite americane in Iraq e Afghanistan, per sobillare rivoluzioni colorate in Georgia, Ucraina e in Moldavia, per sostenere il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e poi per spalleggiare le aggressioni del governo nazifascista ucraino contro il popolo del Donbass, infine per favorire il posizionamento di missili strategici ai confini della Russia, sia nel territorio ucraino che in quello dei Paesi Baltici ed anche per sostenere militarmente e politicamente il governo di Zelensky, rischiando di provocare un conflitto mondiale. E si potrebbe ancora elencare dell’altro.

Con la presidenza Trump si è aperta una fase di riflessione e di riconsiderazione della politica estera americana, dopo gli insuccessi politici e militari dell’ultimo decennio., in quanto è avanzata la formazione di un fronte di Paesi del Sud del mondo che ha la sua punta nei BRICS+ per la creazione di un nuovo ordine economico internazionale fondato sulla cooperazione, sul reciproco vantaggio, sulla utilizzazione delle monete nazionali e su accordi di scambio compensativi di merci e capitali tra i Paesi aderenti per realizzare in futuro una moneta unica nelle loro relazioni e perché no di riserva internazionale al posto del dollaro in via di decadenza.

Non è la prima volta nella storia del secondo dopoguerra che la dirigenza USA, dopo una fase di guerra calda e fredda, di espansione delle sue alleanze militari (dopo la NATO altre in Asia, in seguito all’occupazione di Taiwan, all’invasione della Corea e all’aggressione al Vietnam, come la SEATO, oppure accordi bilaterali con il Giappone, con la Corea del Sud e con l’Australia), procede ad una riflessione improntata a spirito di realismo nei rapporti internazionali per mantenere la sua egemonia.

La prima volta ci provò a Camp David nel settembre del 1959 con il vertice tra Eisenhower e Kruscev, dopo l’affermazione internazionale sovietica con il lancio nel 1957 del primo missile balistico e poi dello Sputnik e con la formazione di un largo fronte antimperialista, dove il presidente americano propose al primo ministro dell’URSS, nonché segretario generale del PCUS, una gestione a due del mondo per ingabbiare le lotte antimperialiste e bloccare lo sviluppo della Repubblica popolare cinese. Proposta sfortunatamente accettata da Kruscev che portò alla rottura dei rapporti tra l’URSS e la RPC e la divisione irreparabile nel Movimento comunista internazionale.

La seconda volta avvenne con la visita di Nixon nel febbraio del 1972 in Cina per cercare di approfondire i contrasti tra i due grandi Paesi socialisti, ma per la Cina fu una grande vittoria, in quanto sconfisse l’accerchiamento e il blocco economico nei suoi confronti, e in ultima analisi aprì un confronto triangolare alla pari.

La terza volta, adesso, ci sta provando Trump puntando su un compromesso strategico, diremmo storico come una nuova Yalta, sia con la Russia che con la Cina, intanto per cercare di dividere Russia e Cina nelle loro grandi iniziative unitarie a livello mondiale che hanno sconvolto l’ordine imperialistico creato dopo il dissolvimento dell’URSS e basato sugli USA quale potenza egemone e la Unione Europea e il Giappone in posizione subordinata, ma con specifici vantaggi. 

Trump pensa di raccogliere le forze economiche imperialistiche attorno agli USA, ridimensionando le velleità imperialistiche di UE e Giappone e nello stesso tempo favorendo la migrazione dei capitali finanziari e industriali verso il territorio americano allettati dagli atti tassi di interesse o di profitto, per trovare da un lato un accordo con la Russia per far cessare la guerra in Ucraina e facilitare nuovi approcci economici e dall’altro lato per concentrare le forze per una competizione economica di lunga durata con la Cina, scaricando così sulla UE e sul Giappone tutti gli effetti della crisi economica iniziata nel 2007 e non ancora risolta, nonostante che prima del Covid si è avuta una leggera fase di ripresa, come pure una leggera ripresa soltanto per gli USA si è avuta in seguito all’espansione del complesso militare industriale americano proprio con la guerra in Ucraina e con le sanzioni alla Russia ed imponendo altresì all’Europa e al Giappone di non acquistare gas e petrolio a basso prezzo dalla Russia per acquistare invece quello americano a un prezzo più alto sia per i maggiori processi di lavorazione (del gas) sia per i maggiori costi del trasporto.

Di fronte a questa nuova visione americana cosa fa la Unione Europa? 

Diventa ancora più guerrafondaia degli USA e si mobilita per riarmarsi, per spronare l’esercito ucraino a combattere fino all’ultimo suo uomo e per rilanciare una politica revancista, come quella praticata da Adenauer e Strauss nell’immediato secondo dopoguerra e ora fatta propria dal leader della CDU Merz, magari formando una grossa coalizione con i socialdemocratici di Scholz e Pistorius, dimostratisi revancisti anch’essi, come pure Macron. 

E’ quindi da questi leader, quali principali portavoce del capitale finanziario europeo, che viene il pericolo maggiore per la pace nel continente europeo, più da quelli che sfilano con simboli e richiami nostalgici al fascismo e al nazismo, i quali ovviamente non devono essere sottovalutati in quanto i loro movimenti che attraggono masse crescenti saranno come negli anni Venti in Italia e Trenta in Germania utilizzati per avventure totalitarie e reazionarie.

Per questi motivi dobbiamo con forza e nettamente dire no agli appelli di salvare la Unione Europea, anzi dobbiamo contribuire a favorire le contraddizioni interimperialistiche e far avanzare un processo di massa che promuova la pace tra le nazioni di tutto il mondo, buone relazioni economiche e culturali fondate sulla parità (e non sull’imposizione del way american life o sulla visione eurocentrica sviluppatasi con il colonialismo che fa dire ora ai dirigenti della UE che questa organizzazione “rappresenta il faro della democrazia nel mondo”), sulla diversità delle civiltà e sulla loro collaborazione o parziale integrazione, fondate sulla eguaglianza e non sulla imposizione di una verso le atre, sul reciproco vantaggio per creare una comunità mondiale dal destino condiviso, come propone da anni il presidente cinese Xi Jinping.

Per realizzare questo importante obiettivo non ci deve dispiacere per niente se la Unione Europea si disintegrerà, anzi dobbiamo essere attori importanti per favorirla.

4/3/2025 https://www.marx21.it/

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