“Ragazzi difficili”, chi sono?  

ROMA 24-03-2010 COMUNICARE IN DIGITALE - DIFERENZE TRA REALE E VIRTUALE - WEB 2.0 PH: CRISTIAN GENNARI


I ragazzi difficili hanno storie difficili
. Sono ragazzi che abbandonano la scuola, che tentano il suicidio, che commettono reati i cui comportamenti sono percepiti come dissonanti rispetto a un certo modello condiviso di competenza sociale e che, per questo, marcano la diversità di chi li compie rispetto agli altri. Spesso cresciuti in famiglie con genitori, che in determinati periodi della propria vita, non sono stati in grado di prendersene cura in modo adeguato.
Minori ripetutamente esposti a episodi violenti, che hanno assistito a frequenti litigi tra genitori o che sono stati vittime di abusi, maltrattamenti o incurie gravi, la relazione tra il minore e i propri coetanei e tra il minore e gli adulti si complica e non è certo senza conseguenze. Questo è il motivo principale per cui quando questi ragazzi arrivano in comunità, o vengono dati in affido presentano delle mancanze.

Un bambino su 7 in Italia nasce in condizione di povertà assoluta, uno su 20 assiste a violenza domestica. In tutto sarebbero 28 mila i minorenni fuori famiglia: circa 14 mila sono in comunità, l’altra metà è in affido. Gli ultimi dati disponibili, forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono fermi al 31 dicembre 2012. Dai dati Istat, aggiornati a dicembre 2016, apprendiamo che in Italia, la povertà non scende. La fotografia è desolante. Nel 2016, i poveri assoluti sono 4,7 milioni di italiani, in dieci anni sono triplicati. Oggi i più svantaggiati sono i giovani: è indigente oltre il 10% dei nuclei con capofamiglia sotto i 35 anni, contro il 3,9% di quelli in cui la persona di riferimento è sopra i 64. La percentuale sale fino al 27% tra le famiglie con 3 o più figli minori.

Un incremento costante che nel 2016 ha registrato il picco. Dieci anni fa gli italiani in povertà assoluta, quelli che non potevano permettersi un paniere di beni e servizi essenziali per uno standard di vita accettabile, erano 1,66 milioni. Nel 2016, l’Istat ne ha contati 4,75 milioni. Oltre 3 milioni in più rispetto al 2006.

Questa fotografia, rispetto alla condizione dei minori, ci dice pure che aumenta l’incidenza della povertà tra i più piccoli, che sale dal 10,9% al 12,5% e nel complesso interessa 1 milione e 292 mila soggetti. Ma se l’area del disagio è in crescita esponenziale e alla povertà economica si aggiunge, in modo sempre più preponderante, anche la povertà culturale, vuol dire che sempre più i bambini rischiano di essere tolti dalle famiglie?

La comunità non è la sola e unica risposta a questo tipo di disagio. In alcune circostanze, quelle con episodi meno gravi, non è detto che il minore che vive in una famiglia disagiata debba per forza entrare in comunità o andare in affido. Le risposte possibili dipendono anche dal territorio. Un territorio ricco di servizi, di opportunità, e in grado di convogliare tutte le risorse istituzionali di cui dispone, comprese quelle del volontariato, sarà maggiormente in grado di permettere al minore di rimanere nella propria famiglia. Genitori e minore saranno aiutati a vari livelli.

Non sempre l’aumentare dell’area del disagio determina un aumento dei minori in comunità o in affido. Citare i dati di un fenomeno aiuta a inquadrarlo correttamente e a contrastare facili, indiscriminati e generici dichiarazioni. Prendersi cura è un atto concreto è un compito impegnativo, impone mettersi nei panni di qualcun altro, di essere comprensivo ed empatico; di vedere l’altro come vorrei essere visto io, anche quando, e anzi soprattutto quando, quel ragazzo non è troppo disponibile. I conflitti stimolano alla riflessione sul nostro essere adulti, solo in quel momento comincia il cambiamento dall’interno. E’ importante ci sia un sostegno politico ed economico al cambiamento, che ci sia un sostegno sociale all’innovazione.

Ma la cosa più importante di tutte è che ciascun di noi trovi il coraggio necessario a superare la propria paura di cambiare, ogni giorno, in classe, nella società.

Marilena Pallareti

Docente di Forlì Collaboratrice redazionale Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di gennaio del periodico cartaceo www.lavoroesalute.org

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