Sanità pubblica difesa a parole

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Tanta ipocrisia nella “lotta” contro la privatizzazione

Ci sono tanti organismi sociali e soggetti di forte impatto pubblico che da anni, ad ogni manovra di governo, in particolare co questo governo, molto meno con i precedenti, dichiarano la loro fede nella sanità pubblica e il loro impegno a contrastare la privatizzazione del SSN ma comunque, e senza soluzione di continuità, il processo di privatizzazione non incontra nessun ostacolo, da quando il processo è stato accellerato dal compimento della svolta neoliberista del PD nel ’99 con la ministra Bindi che, oltre a legiferare l’attività privata (Intramoenia che ad esempio, L’Anaao – Assomed difende) in ospedale ,ha permesso tra le prestazioni da erogare privativamente anche quelle già previste nei LEA e quindi la cosiddetta sanità integrativa è diventata totalmente sostitutiva del servizio pubblico, con strutture finanziate, in gran parte, da sempre con soldi pubblici con il sistema delle convenzioni.

Quindi la debilitazione delle strutture pubbliche, e la depauperazione degli organici medici, infermieristici in particolare è stata operata dalle istituzioni regionali, Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna poi seguite da altre, su mandato del governo Gentiloni (PD), e hanno massificato il percorso di privatizzazione intraprendendo la pratica dell’Autonomia Differenziata atta a istituzionalizzare Sistemi Sanitari regionali come secessione dal Servizio Sanitario Nazionale.

A questa svolta di 360 gradi si è aggiunto anche il sindacato confederale con il welfare aziendale, fondi sanitari integrativi, e “Metasalute” la mutua dei metalmeccanici, cioè una sanità “ su richiesta” che ha completato il quadro liberista che si sostituisce all’universalismo con il mercato.
Sulle scelte del sindacato Ivan Cavicchi ha lanciato un allarme senza girare intorno al problema “Sui temi della sanità la Cgil rischia la subalternità, in particolare sui grandi problemi della sanità, rischia di compromettere, in modo pericoloso, sia la sua autonomia che la sua coerenza, creando una falla pericolosa, non solo alla sua credibilità di sindacato, ma a tutto un fronte di opposizione che contro le destre è male in arnese cioè messo piuttosto male, rischia, addirittura, la subalternità a logiche neoliberiste che non le dovrebbero appartenere ma che, da quel che vedo, comunque sta facendo proprie.”

Il risultato? Ora sono gli stessi cittadini ad invocare la privatizzazione dell’SSN? Semplice! Basta renderlo talmente disfunzionale, insufficiente, povero di risorse ed operatori che apparirà un tale carrozzone inutile e pericoloso da costringere tutti a recarsi comunque in privato per ottenere le “cure del caso”. Questo processo è ormai in moto da anni, provocato ad arte da mancate assunzioni, da pensionamenti non sostituiti, da chiusure di servizi territoriali (i punti nascita, le urologie decentrate, ecc.) che giustificano con l’assenza di personale qualificato e scarso lavoro sul territorio.

E ecco perchè molti hanno rinunciato a prestazioni sanitarie utili per ragioni economiche: il 7,9% degli italiani (circa 4 milioni) ha rinunciato ad almeno una prestazione prescritta (in maggioranza cure odontoiatriche). Ovviamente a rinunciare sono soprattutto i poveri e meno abbienti e i cittadini del Sud Italia (più poveri e con un servizio sanitario meno finanziato dallo Stato rispetto a quello del Nord).
E sempre più spesso i cittadini sono costretti a muoversi lontano da casa, ad andare in ospedali maggiori, quando non a fissare appuntamenti in giro per la ragione onde non aspettare mesi.

Per una avere una visita oculistica in Italia si aspettano in media 88 giorni, per una ortopedica 56 giorni, per fare una colonscopia 96 giorni, per una gastroscopia 88 giorni, per un ecodoppler 74 giorni, per un ecocuore 70 giorni. Chi ha soldi finisce per rivolgersi al privato o ricorre all’intramoenia, chi non li ha vede peggiorare la propria salute senza poter fare niente o finisce per indebitarsi.
In media nel 2021 ogni italiano (bambini compresi) ha speso di tasca propria 640 euro per curarsi, di cui almeno 400 euro per cure necessarie che dovevano essere fornite dal SSN [10]. Una grande tassa su tutti gli italiani a vantaggio della sanità privata.
«Sono 150 milioni le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria dagli italiani. Nella top five delle cure, 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci (per una spesa complessiva di 17 miliardi di euro), 6 cittadini su 10 visite specialistiche (per 7,5 miliardi), 4 su 10 prestazioni odontoiatriche (per 8 miliardi), 5 su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (per 3,8 miliardi) e 1 su 10 protesi e presidi (per quasi 1 miliardo), con un esborso medio di 655 euro per cittadino».

Ora è lecito chiedersi a cosa servono articoli, studi, convegni e dichiarazioni di tanti esperti, politici e sindacalisti fino ad ora abbarbicati dentro i circuiti governativi e della presunta opposizione parlamentare “fedeli alla sanità pubblica” se non si accorgono di quanto sta succedendo? Non si sono neanche accorti che anche la prevenzione va nelle grinfie di FederFarma in accordo con le farmacie. E il SSN? Va in coma per carenza di infermieri, assistenti sanitari, fisioterapisti, tecnici della prevenzione ecc.

Ma cosa chiedono in pratica? Maggiore finanziamento, senza dire a cosa dovrebbe servire, eludendo il tema della spesa che lo Stato si assume per le strutture private. E’ troppo definirli ipocriti (alcuni forse inconsapevoli) al servizio della privatizzazione?

Redazione Lavoro e Salute

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