Sicurezza sul lavoro in sanità, tema di serie B
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Questa nota vuole essere propedeutica alla comprensione dei rischi che affrontano le professioni sanitarie. L’operatore sanità sconta sulla sua pelle le conseguenze dei tagli operati ai servizi di cui è vittima. È noto che nella sanità il numero di infortuni è di gran lunga minore in confronto ad altri ambiti di lavoro metalmeccanico, edilizio, agricolo ma è superiore se parliamo di malattie professionali.
Non affronteremo il tema delle aggressioni contro gli operatori, l’abbiamo fatto più volte su Lavoro e Salute con analisi e inchieste che nulla hanno a che fare con lo scandalismo allarmistico con il quale stampa e molti politici affrontano il tema. Noi affermiamo, con cognizione di causa che l’aggressività verso l’operatore sanitario è ingigantita e non fotografa il malessere dei cittadini verso la sanità pubblica che non funziona perché anni di austerità, e talvolta di mala gestione, hanno fatto sì che il servizio pubblico perdesse credibilità ed efficienza e con essa ne pagassero le conseguenze anche lavoratori e lavoratrici costretti a operare in continua emergenza.
Ci preme ancora una volta, anche sollecitati dall’ultimo rapporto INAIL sulla sicurezza sul lavoro in sanità, (considerando che l’Ente registra e analizza i dati solo dei sui iscritti che sono solo una parte, certamente grande, delle lavoratrici e dei lavoratori) e affrontare i fattori di rischio professionale, quasi sconosciuti nelle cause e nella loro entità che riguarda migliaia di operatori durante la loro vita lavorativa e pensionistica. Come stenta a farsi strada il riconoscimento della tutela penale dalle malattie che colpiscono la sfera psichica (per l’esposizione ai fattori di rischio relazionale e comunicativo, al rischio psicosociale e organizzativo).
Non sono riconosciute le violazioni alla normativa di salute e sicurezza del lavoro che costituiscono nesso di causa con l’episodio infortunistico individuando le relative responsabilità. Com’è possibile sostenere che aggressioni, vessazioni, discriminazioni, persecuzioni, dequalificazione, demansionamento, comunicazione ostile, disconoscimento delle capacità professionali siano connesse all’inquadramento contrattuale, isolamento, emarginazione, gratuità di premi, punizioni e ruoli aziendali? Questi fattori costituiscono parte rilevante del rischio lavorativo di questo sistema produttivo che pretende flessibilità e sacrificio remunerativo continuo per favorire livelli di competizione, maggiormente assurdi se parliamo di lavoro sanitario, quindi di rapporto curativo delle persone.
I “fattori di rischio” che colpiscono il fisico o lo psichico hanno natura diversa, si integrano però nella comune categoria dei rischi lavorativi per i quali vige l’obbligo tassativo di prevenzione violando il quale si commettono reati.
La valutazione dei rischi che hanno la potenzialità di ledere la salute fisica e psichica del lavoratore dipendente deve riguardare tutti i rischi lavorativi, incluso il rischio psicosociale organizzativo. L’obbligo di valutazione che ne deriva ha il senso dell’individuazione preventiva non solo dei rischi legati all’ambiente lavorativo (strutture), ai macchinari, alle sostanze, agli impianti, alle attrezzature… ma anche ai rischi che hanno un precipuo significato organizzativo (rapporti interpersonali, comunicazione, ruoli professionali e contrattuali…). Alla individuazione puntuale dei rischi organizzativi devono seguire, come per gli altri rischi, le misure idonee a evitare le conseguenze negative (danno/lesione per i dipendenti).
Quel rischio molteplice, quasi disconosciuto, che si chiama “malattia professionale”. È un nemico vero che aggredisce silenziosamente, e impunemente dato che la stragrande maggioranza dei casi si manifesta nel tempo e quasi il più delle volte non viene riconosciuto e risarcito, se mai il risarcimento possa essere considerato una panacea, mentre è una vera e propria accettazione del rischio del quale i lavoratori non sono consapevoli; rischio determinato da un’organizzazione del lavoro che non mette in conto la salvaguardia della loro salute e sicurezza sul lavoro.
Il settore sanitario occupa circa il 10% dei lavoratori dell’Unione europea, ed è pertanto uno dei più grandi settori occupazionali, con un’ampia gamma di professioni. Le donne rappresentano circa il 77% della forza lavoro.
Nella sanità i disturbi muscoloscheletrici degli arti superiori e del collo rappresentano il secondo tasso più elevato di incidenza tra le patologie correlate al lavoro, subito dopo il settore edilizio.
Il personale sanitario è esposto a diversi rischi durante lo svolgimento delle attività quotidiane, quali il sovraccarico biomeccanico, le posture incongrue, i movimenti scoordinati e/o ripetuti. Posture di lavoro scorrette vengono spesso assunte nell’assistenza al letto del paziente, ma anche in ambito chirurgico o durante le attività di laboratorio.
In molti casi di intervento professionale lavoratrici e lavoratori sono esposti anche a rischi legati all’utilizzo di sostanze chimiche (disinfettanti, gas anestetici, detergenti, ecc.) oltre che a medicamenti che, soprattutto in sede di preparazione, possono entrare in contatto con la pelle o penetrare nelle vie respiratorie e provocare reazioni locali o sistemiche, come le malattie cutanee, più spesso di origine tossico-irritativa che non allergica, affezioni nasali, patologie sinusali, oculari e asma. L’impiego di alcuni strumenti di lavoro, quali aghi, siringhe, bisturi, comporta un rischio di puntura o taglio con possibile trasmissione ematica di agenti biologici quali il virus HIV e il virus dell’epatite B. Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti rappresentano un altro potenziale rischio.
Nelle strutture sanitarie, oltre al personale sanitario (medici, infermieri, ecc.), sono esposti a rischi anche il personale di supporto, vedi OSS, quello tecnico e i laboratoristi, gli anestesisti, i tirocinanti, gli apprendisti, i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori somministrati e gli studenti che seguono corsi di formazione sanitaria.
Le addette e gli addetti alle pulizie sono esposti a pericoli e rischi che variano in funzione dello specifico luogo di lavoro.
Inoltre negli ambienti sanitari “sono presenti numerosi agenti capaci di scatenare manifestazioni morbose di tipo allergico (orticaria da contatto, riniti allergiche, asma e dermatiti da contatto). I principali agenti allergizzanti presenti in ambiente sanitario sono, tra gli agenti chimici, i detergenti, i disinfettanti e alcuni farmaci. Un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dagli acari della polvere che possono annidarsi in coperte, cuscini, materassi. I guanti in lattice rappresentano attualmente il fattore di rischio di patologia allergica più rilevante in ambito sanitario”.
Il lattice “contenuto anche in diversi manufatti di comune utilizzo in ospedale (cerotti, contagocce, tappi dei flaconi di farmaci, componenti di siringhe, lacci emostatici, cateteri vescicali, cateteri per clisteri, palloni AMBU, bracciale dello sfigmomanometro, ecc.)” …”in chi è sensibilizzato a tale materiale, può causare sintomi immediati, cioè entro un’ora dal contatto, oppure ritardati, entro 24/72 ore dal contatto”.
Tante e tanti credono che tutti questi fattori di rischio siano monitorati e consentano una prevenzione come un risarcimento a malattia avvenuta. Sbagliano, ancor di più oggi perché non considerano la distruzione in atto del Servizio Sanitario Nazionale che sta consentendo di archiviare l’obbligo di prevenzione perché incompatibile con gli insani princìpi della privatizzazione che si nutre di malattie e quindi di profitti, estirpati ai cittadini con visite, esami, interventi e prescrizione di farmaci per i malati o in realtà presunti tali. Visite, esami e farmaci spesso inappropriati, ma se nel Servizio pubblico è concepito un controllo, nella sanità privata, convenzionata o no, l’appropriatezza è un optional.
Franco Cilenti
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RAPPORTO INAIL Sicurezza sul lavoro nella sanità
Il periodico statistico dell’Istituto analizza l’andamento infortunistico e tecnopatico in questo settore di attività, tra i più colpiti dalla pandemia nel triennio 2020-2022, con approfondimenti dedicati agli episodi di violenza contro il personale e ai rischi che possono derivare dall’esposizione a sostanze cancerogene, mutagene e reprotossiche.
Il nuovo numero del periodico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto, offre una panoramica aggiornata sul settore della Sanità e assistenza sociale, con approfondimenti dedicati all’andamento degli infortuni e delle malattie professionali, al rischio aggressioni e agli aspetti medico-legali della violenza contro il personale sanitario, oltre a un focus sulle novità legislative per la protezione dei lavoratori contro i rischi che possono derivare dall’esposizione a sostanze cancerogene, mutagene e reprotossiche.
L’effetto Covid sul quinquennio 2019-2023. Nel 2023 i lavoratori (addetti-anno) del settore erano 1.760.591, pari a oltre il 9% di tutti quelli dell’Industria e servizi, impiegati in 94.222 aziende. Nello stesso anno gli infortuni sul lavoro denunciati sono stati oltre 55mila, il 12% del totale dell’Industria e servizi. L’andamento rilevato nel quinquennio 2019-2023 è altalenante, a causa dell’effetto dei contagi professionali da Covid-19 nel triennio 2020-2022, con la sovraesposizione del personale sanitario al rischio di contrarre il virus.
Nel primo anno della pandemia, infatti, le denunce complessive sono triplicate, raggiungendo i 167mila casi. Dopo il dimezzamento dei casi nel 2021, la riacutizzazione del virus ha provocato un nuovo aumento nel 2022, con oltre 146mila denunce. I decessi denunciati nel 2023 sono 25, il dato più basso del quinquennio, nel quale spiccano le 215 vittime del 2020.
Tre denunce su quattro riguardano le donne. Gli infortuni avvengono in gran parte in occasione di lavoro, ma la quota del 21% di quelli occorsi in itinere, nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro, supera di tre punti percentuali quella rilevata nel complesso dell’Industria e servizi. A contraddistinguere il settore della sanità e assistenza sociale è anche l’elevata percentuale di eventi riguardanti le donne, pari mediamente a tre quarti di tutte le denunce e coerente con i dati occupazionali, che vedono in ambito sanitario una presenza importante di lavoratrici. I nati all’estero rappresentano il 15% degli infortunati, in particolare rumeni (1.465 denunce nel 2023), peruviani (1.060), albanesi (549) e marocchini (441).
Più a rischio infermieri e ostetriche. Le professioni in prima linea sono anche le più coinvolte negli infortuni sul lavoro: tre incidenti su 10 interessano infermieri e ostetriche, uno su quattro professionisti qualificati nei servizi sanitari e sociali come operatori sociosanitari, assistenti alla poltrona e puericultrici, seguiti a distanza da addetti all’assistenza personale, ausiliari, personale addetto alla riabilitazione e autisti, compresi i conduttori di ambulanza. Il 48,3% degli infortunati ha più di 49 anni. La fascia 50-64 anni è la più colpita anche in termini di decessi, con quattro su cinque di quelli avvenuti nel 2023. Prendendo in considerazione i casi definiti positivi in occasione di lavoro emerge che le parti del corpo più colpite sono la mano e la colonna vertebrale, entrambe con poco più del 15% dei casi codificati, seguite da ginocchio e caviglia. Ai primi posti delle diagnosi contusioni, lussazioni, distorsioni e distrazioni, che insieme rappresentano oltre il 70% degli eventi.
Un infortunio su 10 deriva da un’aggressione. La Sanità e assistenza sociale è anche uno dei settori più colpiti dal grave fenomeno delle aggressioni sul lavoro, talmente marcato da spingere il legislatore alla promulgazione di una norma specifica, la legge n. 113 del 14 agosto 2020, a tutela dei suoi operatori e all’istituzione presso il Ministero della Salute di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie. I circa 2.500 infortuni da aggressione del 2023, riconosciuti positivamente alla data del 30 aprile 2024, sono in aumento di quasi il 3% rispetto al 2022 (a sua volta in crescita del 15,9% rispetto al 2021), pur restando ancora al di sotto dei 2.875 registrati nel 2019. Tra gli infortuni del 2023 accertati positivamente in occasione di lavoro e adeguatamente codificati per causa o circostanza, nella Sanità e assistenza sociale quelli per aggressione sono ben uno su 10, il triplo di quanto registrato nell’intera gestione Industria e servizi.
Anche per le malattie professionali netta prevalenza delle lavoratrici. Tra il 2019 e il 2023 anche l’andamento delle patologie di origine professionale ha risentito del periodo pandemico, durante il quale i provvedimenti restrittivi adottati dal governo hanno fermato molte attività economiche, diminuendo di conseguenza l’esposizione al rischio. Se nel 2019 sono stati protocollati 3.030 casi nella Sanità e assistenza sociale, nel 2020 è stato raggiunto il livello più basso del quinquennio con 2.343 patologie denunciate, in calo del 23% rispetto all’anno precedente. Negli anni successivi il trend è progressivamente aumentato fino ai 3.529 casi del 2023, in crescita del 16% rispetto ai 3.043 del 2022. In ottica di genere, la prevalenza delle donne è netta anche per le tecnopatie, con otto denunce su 10 nel 2023 riferite alle lavoratrici, che a livello territoriale raggiungono un picco del 90% nel Nord-Est e un minimo del 67% al Sud. Considerando i casi indennizzati per postumi permanenti, ovvero con grado di inabilità riconosciuto dal 6% al 100%, le patologie più comuni nel 2023 sono risultate essere per entrambi i generi quelle a carico del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo: il 95% per le donne e il 93% per gli uomini.
Allegati
Dati Inail . Dicembre 2024. Formato PDF — Dimensione 853.85 kB Argomenti Una panoramica sul mondo della sanità – Sanità: il chi, il quando e il come degli infortuni sul lavoro – La violenza verso gli esercenti le professioni sanitarie: aspetti medico-legali – Le professioni sanitarie e socio-sanitarie a rischio aggressioni – Le malattie professionali in Italia: un’analisi delle denunce Inail negli anni 2019-2023 – Sostanze cancerogene, mutagene e reprotossiche: novità legislative e focus in campo sanitario Formato PDF — 853.85 kB

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