Benvenuti nell’era della post verità

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L’uscita del garante della concorrenza Giovanni Pitruzzella sulla cosiddetta “post verità” è qualcosa di più di un litigio da pollaio. O meglio, lo è, ma come tutte le polemiche sterili, offre lo spunto per fare qualche passo in più. Riassumendo per i più distratti, il 30 dicembre Pitruzzella è saltato fuori con una proposta “shock” che riempie le pagine dei quotidiani: istituire un sistema di controllo (censura) del Web per evitare la diffusione di notizie false (bufale o, nella sua accezione, “post verità”) che potrebbero portare a distorsioni nell’opinione pubblica.

Con chi ce l’ha Pitruzzella? Essenzialmente non ce l’ha con nessuno. Come la maggior parte dei funzionari attualmente in carica è solo vittima di un clamoroso eccesso di zelo. All’indomani del referendum del 4 dicembre, che ha bocciato la futuristica e futurista riforma Renzi-Boschi, Pitruzzella mette il suo mattoncino nella narrazione filo-governativa. Il senso è questo: se gli italiani hanno detto di no alla riforma aziendalista di Matteo Renzi è solo perché sono stati fuorviati da una subdola forma di disinformazione. La post verità, appunto.

L’idea, a ben vedere, è anche suggestiva: nell’era della comunicazione l’opinione pubblica sarebbe vittima di un bombardamento di informazioni talmente massiccio (quotidiani, TV, Web) da non essere più in grado di distinguere il vero dal falso. Tutto ciò rappresenterebbe un rischio per la società e, pertanto, sarebbe opportuno che le autorità (e Pitruzzella sceglie come massima autorità l’Unione Europea) corressero ai ripari. Insomma: secondo il garante (garante!) della concorrenza bisognerebbe istituire delle autorità che possano giudicare sulla veridicità delle notizie e, eventualmente, censurare quelle ritenute false.

Sulla scia di questo ragionamento, però, forse dovremmo cominciare a bloccare le rotative di parecchi (quasi tutti) quotidiani che in Italia hanno invece libera distribuzione. Anche con tutta la buona volontà, tra Il Giornale, Libero, Repubblica e soci è davvero difficile trovarne uno che possa sfuggire a un filtro ispirato al “fact checking” puro e duro. Qualcuno ha mai provato a leggere gli articoli della Stampa sulla TAV? L’ironia di Beppe Grillo (erano almeno 5 anni che non vedevo tracce di ironia in Beppe Grillo) nel proporre un “tribunale del popolo” per giudicare i media era esattamente la risposta più azzeccata alla boutade di Pitruzzella. Peccato che nell’era della post verità nessuno abbia capito cosa intendesse. È il destino dei bravi comici: le battute migliori non le capisce nessuno.

Per arrivare al passo in più annunciato tre paragrafi fa, forse potremmo giungere alla conclusione che Pitruzzella ci abbia offerto (garantito) uno spunto di riflessione sull’evoluzione dell’informazione nel terzo millennio. Lo spunto è questo: nell’era della post verità parlare di “informazione” non ha più senso. Visto che qualsiasi fonte (dal quotidiano al tiggì, dal blogger al facebookkaro) deforma tutto in funzione di interessi, convenienze, umori e inclinazioni, sarebbe meglio parlare di semplice “comunicazione”.

Scomodare il termine “informazione”, infatti, significa sottintendere una forma di etica nella produzione dei contenuti. Ammettiamolo: non sono tempi per l’etica. Con buona pace dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (che mi obbliga a seguire corsi di deontologia ogni anno nel percorso di formazione professionale permanente) comunicazione ed etica si accompagnano come lardo e mirtilli. Quello che vediamo tutti i giorni nei telegiornali lottizzati, sui giornali orientati dalle proprietà e sui social network (Sì! Anche i social network!) travolti dalle pulsioni condivisive di chi li anima non è informazione: è semplice “comunicazione”. Deviata, deformata, a volte incanalata da un inconfessabile desiderio di piegare la realtà alla visione di chi la produce. Più facilmente sballata a causa di pressapochezza o semplice fretta. Se a finire sul banco degli imputati è Internet, poi, il motivo è semplice: la Rete è veloce e gli errori, si sa, sono spesso figli della fretta. Prendiamo per esempio Stefano Fassina, Carlo Sibilla e Roberto Fico, che hanno commentato (con toni diversi) la decisione di Trump di far uscire gli USA dal TTIP. Se si fossero presi un secondo di riflessione (le dita ogni tanto viaggiano più veloci dei neuroni) si sarebbero accorti che non si trattava del TTIP (trattato UE-USA) ma del TPP (trattato ra gli USA e 11 paesi del Pacifico). Come la definiamo? Post verità o baggianata?

Chi sentisse nostalgia di quella “informazione” che molti si ostinano ancora a considerare come un bene comune indispensabile per interpretare (o digerire) la realtà che ci circonda, si rassegni: per usufruirne dovrà fare fatica. Dovrà valutare, considerare, soppesare ogni fatto e ogni notizia usando gli strumenti a sua disposizione. Sapendo che ogni notizia che legge su Internet (o sui giornali) è sempre e comunque filtrata da un essere umano che la interpreta e che, a volte involontariamente, la deforma. Quella fatica, però, serve anche a un altro scopo: individuare la linea di demarcazione tra una notizia falsa e una notizia espressa in maniera “non oggettiva”, cioè deformata da un’opinione. Se la prima è certamente un problema, la seconda ha invece tutta la dignità di quel diritto di espressione su cui nessuna autorità può lontanamente sognarsi di avere diritto di veto. L’uscita di Pitruzzella andava proprio a superare quella linea e, per fortuna, nessuno al di fuori dei nostri confini nazionali si è sognato di prenderlo sul serio. Almeno oggi. Domani, si vedrà.

Marco Schiaffino

www.italia.attac.org

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