Da Seveso a Spinetta Marengo: quali differenze.

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In questi giorni, riordinando i materiali per un libro, ho rivisto questo numero di Sapere, la rivista fondata da Giulio A. Maccacaro, il quale è altresì il fondatore di “Medicina democratica Movimento di lotta per la salute” (che qui rappresento). Molti di voi conoscono sia Sapere che Maccacaro. Gran parte di questo numero di Sapere (luglio 1978) è dedicato al disastro sanitario-ambientale di Seveso e si apre con un editoriale esplicito [Seveso due anni dopo]: “Non si è trattato di un incidente ma di un delitto: colpevole Icmesa di Meda; mandante: Hoffman La Roche di Basilea; complici: governanti e amministratori italiani di vario livello centrale regionale locale; arma: organizzazione scientifica di produzioni tossiche; reato: lesioni e danni di varia natura e gravità; vittime: lavoratori popolazione ambiente.”

Sul caso Seveso, Medicina democratica si è fatta le ossa come associazione. Il 2016 è dunque contemporaneamente il quarantennale di Seveso e di Medicina democratica.

L’incidente nell’azienda ICMESA di Meda causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina nei comuni della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso. Secondo una classifica della rivista Time l’incidente è all’ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia. La popolazione informata solamente dopo otto giorni, i bambini sfigurati dalla cloracne, l’evacuazione di massa, gli aborti, la caduta dei poteri immunitari, le lesioni epatiche e nervose, le carcasse degli animali ammassate, i soldati, il filo spinato, le ruspe. Sono negli occhi di molti di noi.

Le ricerche sulla popolazione femminile hanno mostrato, a decine di anni di distanza, la relazione tra esposizione alla TCDD e gli effetti in periodo prepuberale. Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato ancora ad anni di distanza dal disastro la probabilità di alterazioni neonatali, causa di difetti fisici ed intellettuali durante lo sviluppo. E’ segnalato aumento dei tumori nelle zone più inquinate, in gran parte mielomi e leucemie.

All’indomani del disastro fu aperto contro l’ICMESA sia un procedimento penale che una causa civile, avviato dalla Procura della repubblica di Monza. Nel 1980, la Regione Lombardia, Cesare Golfari, il sottosegretario agli interni Bruno Kessler e il nuovo presidente della Giunta Regionale Giuseppe Guzzetti raggiunsero un accordo con il presidente del Consiglio d’amministrazione della Givaudan Jean Jacques de Puryi. L’accordo fu di risolvere i processi per via bonaria, favorendo la Givaudan, escludendo cioè dai procedimenti giudiziari i propri dirigenti. Analogamente i danni subìti dai privati furono “risarciti”dalla multinazionale tramite il proprio ufficio di Milano: oltre 7000 pratiche con pagamenti effettuati direttamente ai privati, con una spesa complessiva di circa 200 miliardi di lire. Sottolineo: lire, non euro

In sintesi, i tribunali non fecero giustizia, gli inquinatori non fecero un giorno di galera, pagarono cifre irrisorie alle vittime, la diossina è ancora sepolta sotto un parco. I giornali smarrirono ben presto la notizia.

Evidentemente già allora era a regime quella che il professor Palidda definisce “distrazione di massa”. Oggi poi siamo nell’ideologia del “pensiero unico”: l’economia di stampo liberista e della crescita illimitata sarebbe una scienza, scienza incontestabile, il primato dell’economia sulla politica sarebbe un assioma universalmente riconosciuto, il mercato sarebbe il parametro di ogni attività umana; dunque politica, cultura, servizi, istruzione, sanità, ambiente e welfare dovrebbero essere assoggettati al mercato perciò affidati all’iniziativa privata. Il “pensiero unico” applicato ai giornali e tv in Italia equivale a conteggiare solo due giornali all’opposizione, neanche avvenne ai tempi di Berlusconi.

Il disastro di Seveso spinse gli Stati dell’Unione europea a dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali a partire dal 1982, tramite una direttiva denominata “direttiva Seveso”. Diventeranno nel tempo quattro, tutte recepite in ritardo in Italia (la prima nell’88! e l’ultima nel 2015!). E rispettate ancora meno, basta guardarsi attorno, tra i 750 mila siti ad alto rischio citati da Palidda.

Nello stesso numero di Sapere campeggia un altro titolo “Eliminazione dei ‘fanghi rossi’. Sviluppo della chimica fine e dell’occupazione”.

Viene illustrata con la dovuta enfasi l’elaborazione presentata a Montedison, nell’ambito della vertenza nazionale di Gruppo, da 5 Consigli di fabbrica di Spinetta Marengo, Castellanza, Donegani Novara, Rho, Milano, quale vero e proprio segmento di un Piano di settore per la chimica (All’epoca del PCI in area di governo, si parlava molto di programmazione e piani di settore). Il biossido di titanio, lavorato è un pigmento bianco, chimica fine, ma così come veniva prodotto a Spinetta Marengo e Scarlino (Grosseto), con le ben note ‘rigidità’ imposte dal capitale, rappresentava, fra l’altro, uno degli esempi più emblematici di distruzione ambientale e di rapina del territorio”. Ovvero i famosi “fanghi rossi” scaricati nel Tirreno o in Bormida. Si consideri che il prodotto finito rappresentava solo il 10% in peso rispetto a tutte le altre sostanze del ciclo produttivo che venivano considerate scarti e buttate via a inquinare. Ebbene la piattaforma operaia capovolgeva radicalmente questa logica integrando addirittura la siderurgia con la chimica, recuperando gli scarti e trasformandoli in prodotti di chimica fine. A monte innanzitutto come materia prima utilizzando addirittura le scorie dell’industria siderurgica, a valle oltre il biossido di titanio, col recupero di scorie e sottoprodotti, producendo anche pigmenti di ferro ‘atossici’ e materiali magnetici, cioè chimica fine. Dunque drastica riduzione del carico inquinante e dei consumi energetici globali, fine dei fanghi rossi, qualificazione della ricerca di chimica fine, integrazione fra siderurgia e chimica, aumento dell’occupazione e sua qualificazione, bonifica della fabbrica, rispetto della salute e dell’ambiente, pur migliorando la bilancia dei pagamenti del Paese. Dunque bonifica, rispetto della salute e dell’ambiente, occupazione, miglioramento della bilancia dei pagamenti.

Benché presa in esame negli ambienti scientifici e a Bruxelles, Governo e Montedison non accolsero la piattaforma, Montedison uscì addirittura dal mercato del biossido di titanio, poi dalla Ricerca e infine dalla chimica tutta.

Quella piattaforma, ma anche il successivo Convegno nazionale a Spinetta per rilanciare la Ricerca chimica, penso, Palidda, che possano essere definite una prima “resistenza” operaia e ambientalista a quel capitalismo selvaggio e ottuso che descrivi partendo dagli anni ’90 di Reagan.

Se Governo e Montedison avessero accolto la piattaforma, lo stabilimento di Spinetta bonificato e riconvertito avrebbe raggiunto i 2.000 occupati. Oggi sono 600. Montedison fece la scelta di uscire dal mercato del biossido di titanio, di chiudere l’impianto con i suoi 460 addetti, nonché Scarlino. Eppure la piattaforma, quale proposta di programmazione del settore chimico e ricerca era stata adottata dalla FULC (Federazione Unitaria Lavoratori Chimici) e sostenuta presso il Ministero del bilancio e della programmazione economica dall’assessore al lavoro e all’industria Giovanni Alasia. A maggior ragione con orgoglio attestiamo su Sapere che “La piattaforma esprime un dato politico rilevante: la capacità dei lavoratori di ricomporre classe, problemi e bisogni portando a sintesi superiore il loro vissuto, le loro conoscenze, le loro esperienze, le loro ricerche, le loro elaborazioni, il loro sapere, le loro lotte attraverso l’affermazione concreta della loro soggettività con la costruzione di una proposta autonoma e di classe”. C’era in noi la convinzione che nel Paese stavamo svolgendo un ruolo di classe dirigente, mentre quelli del governo e della confindustria spingevano la chimica e la ricerca allo sfascio. Lo attestammo con un Convegno nazionale sulla ricerca a Spinetta.

A Spinetta Marengo, Montedison nel giro di pochi anni chiuse la ricerca e tutti gli impianti del ciclo del biossido di Titanio, e li seppellì sotto e attorno allo stabilimento insieme a tutte le scorie tossiche e cancerogene, senza neppure scomodarsi a smaltirle nei fondali del Mediterraneo e in Africa, come poc’anzi abbiamo visto sulle cartine.

Per decenni, prima il Consiglio di fabbrica poi, affievolendosi sempre più la sensibilità ambientale del sindacato, soprattutto Medicina democratica al costo di uno stillicidio di rappresaglie compreso il mio licenziamento mantiene viva quanto inevasa la rivendicazione delle indagini idrogeologiche e della bonifica. Dobbiamo arrivare al 2008 per vedere Ausimont-Solvay in Corte di Assise ad Alessandria con i capi di imputazione di “avvelenamento doloso delle falde e omessa bonifica”. Procuratore capo di Alessandria era Michele Di Lecce, uno dei relatori di questo Convegno.

La pubblica accusa a carico degli imputati per uno dei più gravi disastri ambientali italiani non è di “colpa” bensì è finalmente di “dolo”: essi erano perfettamente a conoscenza dell’esistenza di quel milione di metri cubi delle enormi discariche tossiche e cancerogene, illegittime e non autorizzate; le quali dilavavano nei terreni fino alle falde; dunque essi avevano coscientemente avvelenato le falde sotterranee dentro e fuori lo stabilimento, nonché l’acquedotto di Alessandria, provocando gravi danni alla salute dei lavoratori e dei cittadini e dell’ambiente agricolo; avevano omesso di segnalare agli enti pubblici il reale contenuto delle discariche e la reale portata dell’inquinamento sia del sito che delle falde; anzi avevano fatto di più: avevano dolosamente omesso, nascosto e falsificato alle autorità i dati relativi alla esistenza e alla consistenza delle discariche, allo stato di contaminazione delle falde, alla dolosa omessa bonifica; infine avevano direttamente somministrato acqua avvelenata a lavoratori e cittadini. Più dolo di così: art. 439 del codice penale: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a 18 anni”. L’art. 439 condanna la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto.

Nelle acque di falda e dell’acquedotto cittadino sono stati analizzati almeno 21 veleni: dal cromo esavalente, solventi clorurati, cloroformio, tetrafluoroetilene, arsenico, nichel, selenio, clorofuoruri, solfati, al ddt: eccetera. Ciascuna di queste sostanze è tossica o cancerogena, o entrambe le cose. Lo è sicuramente, dicono i tossicologi, se la presenza è superiore a determinate quantità ammesse dalle legge. Però nel caso della Solvay queste sostanze sono presenti contemporaneamente tutte, dunque sono bevute come un cocktail: interagiscono tra di loro, gli effetti tossici e cancerogeni si combinano, non si sommano ma si moltiplicano in termini esponenziali.

L’epidemiologo della Regione Piemonte relaziona al processo l’indagine che dimostra che quel micidiale cocktail provoca a Spinetta Marengo fino all’80% dei tumori in più. I bambini nascono con malformazioni genetiche. I giornali danno grande risalto alla notizia. Non è una novità, se non per loro. Medicina democratica lo sta sostenendo da decenni. Eccessi patologie del 30% – 50% per cavo orale, rene, vescica, stomaco, bile ecc. Le malformazioni genetiche dei bambini: 80% in più della media alessandrina.

Dunque il Pubblico ministero chiede per gli 8 imputati (in partenza erano 38) 127 anni di reclusione.

Gli occhi del mondo penale e ambientalista e dell’opinione pubblica italiani sono rimasti per 7 anni puntati sul tribunale di Alessandria: poteva essere una sentenza di portata storica, che fa giurisprudenza. Invece la sentenza della Corte di assise di Alessandria è scandalosa: infatti va opportunamente collocata nel nostro libro “Ambiente Delitto Perfetto” fra le tante (Eternit, Thyssenkrupp, Bussi, ecc. tra poco Ilva, Viareggio) a definire che “non esiste giustizia in campo ambientale, con tanto scorno per innumerevoli comunità italiane in lotta, i movimenti ecopacifisti che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e alle prescrizioni, per non dire delle assoluzioni.

Tutte le aspettative, deluse ad Alessandria, ruotavano attorno all’ormai famoso articolo 439 del codice penale che condanna la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a…”. Sono infatti almeno 21 le sostanze tossiche e cancerogene prima scaricate di nascosto in falda e poi addirittura omesse di bonifica. Una bonifica che necessiterebbe un risarcimento miliardario.  Gli occhi del mondo penale e ambientalista sono rimasti per 7 anni puntati sul tribunale di Alessandria, 3 anni in Corte di Assise, dove la battaglia in campo dottrinale è stata esaltata dagli enormi interessi economici in gioco, in vista di una sentenza di possibile portata storica in campo giudiziario. In questi 7 anni, intanto, gli occhi delle vittime hanno pianto testimoniando in aula e non pochi si sono nel frattempo spenti in attesa di giustizia. Noi, che in tribunale ci siamo battuti più di ogni altro, possiamo dire che oggi i più deboli hanno ottenuto giustizia? Non possiamo. Lo lasciamo dire agli avvocati, come ai politici che alle elezioni vincono tutti.

Da 10 a 18 anni aveva chiesto il Pubblico Ministero per gli 8 imputati.  Ad Alessandria, Dopo la melina di 7 anni di udienze, contiamo assolti i 4 imputati principali “perché il fatto non sussiste e gli altri 4 minori (38 erano gli iniziali) condannati a lievi pene, per colpa. Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18 anni, risarcimenti in proporzione ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. La bonifica? nel libro dei sogni.  La bomba ecologica di Spinetta Marengo viene equiparata penalmente ad uno sversamento accidentale di una cisterna in un fiume. Secondo i giudici non è dolo cosciente ma involontarietà della colpa.  Facile la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei al disastro ambientale e all’omessa bonifica. I condannati per colpa: non ne erano consapevoli… anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del PM: carta straccia. Le vittime senza risarcimenti.

Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate e gli abitanti inquinati del territorio, nonché il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma, che, per essere “uguale per tutti” dovrebbe, per citare Raffaele Guariniello, cercare di fare il bene per i più deboli.

Sono pochi i Pubblici ministeri (Guariniello, Di Lecce) che hanno avuto il coraggio di porre il reato di dolo nei loro capi di imputazione, e sono quasi nessuno i Tribunali che sono andati controcorrente condannando per reati di dolo.

Abbiamo posto il processo di Alessandria al centro del libro “Ambiente Delitto Perfetto” proprio perché uno dei pochi in Italia imperniato sul reato di “dolo ambientale”, a danno della collettività, e proprio perchè  si collocava in una fase storica caratterizzata dalla crisi dei Movimenti ecopacifisti in parallelo a sentenze assolutorie sui disastri sanitari-ambientali (su tutte Eternit) che avevano scandalizzato il mondo ecologista e aperto in Italia un vasto dibattito sulla Giustizia in materia ambientale. Alessandria poteva affermare un’inversione di tendenza.

Se del libro Ambiente Delitto Perfetto il processo Solvay è il nucleo centrale, la sezione che necessariamente lo precede riguarda i Movimenti popolari. Il cenno obbligato al precursore di tutti i fallimenti: quello del Movimento operaio negli anni ’80.   L’analisi dello stato di salute dei Movimenti ecopacifisti prima e dopo i referendum 2011. La tesi della loro sconfitta epocale per responsabilità soprattutto del Forum per l’acqua pubblica che, all’indomani della straordinaria vittoria referendaria, aveva tutte le carte in mano (dimensione, autorevolezza e soldi dei rimborsi elettorali) per attivare finalmente il processo di unificazione dei Movimenti. Rifiutando di sciogliersi nei Movimenti, soprattutto con Notav Valsusa, ha dissolto un immenso ma disperso patrimonio civile composto da mille vertenze sul territorio, una forza politica straordinaria potenzialmente in grado di farsi Soggetto politico di governo nazionale dei Beni Comuni. Una occasione storica irripetibile: la vittoria clamorosa è stata irrimediabilmente buttata nel cesso per egoismi e incapacità di analisi strategica di alcuni burocrati. Tesi dagli stessi assai contestata.

Alessandria poteva affermare un’inversione di tendenza nella giurisprudenza italiana. Invece non ha fatto eccezione. Possiamo tranquillamente riaffermare nel 2016 che in Italia, salvo Salvo alcune enclave giudiziarie ancora da espugnare, la Giustizia si è prontamente adeguata al nuovo clima politico e sociale, del liberismo della globalizzazione e del pensiero unico. Nel quale funziona la potentissima e pervasiva “distrazione di massa” che alimenta le insicurezze delle popolazioni (impoverimento, terrorismo, emigrazione, insicurezza urbana), come ben descritto da Palidda. D’accordissimo con lui, ed è un grande merito di questo Convegno: dobbiamo “spezzare la divisione dei saperi, delle conoscenze, delle professionalità” dobbiamo “agire come collettivo”: insieme universitari, ricercatori, magistrati, poliziotti, avvocati, amministratori locali e, soprattutto, cittadini comuni di qualunque mestiere e professionalità.

Nel libro, a sostegno della tesi che “non esiste una via giudiziaria all’ambiente salubre supplente delle lotte popolari dentro e fuori le fabbriche di morte”, abbiamo dunque pescato nella vasta casistica processuale sia penale che amministrativa: Montedison Porto Marghera, TyssenKrupp Torino, Eternit Casale Monferrato, Tav Muggello, Tav Valsusa, Tav Terzo Valico, Stoppani Cogoleto, Montedison Bussi, Ferrovie Viareggio, Enel Porto Vesme, Tirreno Power Vado Ligure, Enel Porto Tolle, Terra dei fuochi, Ilva Taranto, Michelin Spinetta Marengo, Fabbricazioni Nucleari Bosco Marengo, Pirelli Milano, Enel Turbigo, Ansaldo Tosi Legnano, Fincantieri Palermo, Grandi Navi Venezia, Triv, Olivetti, Mose, Ilva Novi Ligure  eccetera). E abbiamo coniato il titolo al libro: “Ambiente Delitto Perfetto”. (E’ qui a vostra disposizione, la sottoscrizione sarà interamente devoluta ai Movimenti NoTav).

Concludo. Morale del racconto da Seveso a Spinetta Marengo. Considerando che “Resistenze” è proprio il tema di questa sessione del Convegno.  Quali differenze in questi 40 anni trascorsi? Anche voi non ne vedete di sostanziali.

Sulla qualità di governi e industriali locali e nazionali, in generale del ceto politico e dell’informazione, gli esempi di incompetenza connivenza e collusione sono eloquenti, non facciamoci illusioni.

Sgombriamo anche il campo da un altro equivoco: quando parliamo di disastri sanitari-ambientali non si faccia affidamento sul deterrente della repressione, assolutamente no: i tribunali, la giustizia fanno dell’ambiente un delitto perfetto. Non puniscono né impongono i costi delle bonifiche, chi sbaglia non paga che briciole. Non esiste una via giudiziaria all’ambiente salubre che sostituisca le lotte popolari dentro e fuori le fabbriche di morte. Le improbabili e minime condanne non sono un deterrente né generano bonifiche. L’unica arma su cui puntare è la prevenzione, la prevenzione primaria, cioè le lotte che prevengono i disastri, cioè le lotte dei Movimenti ecopacifisti.

Viva le resistenze, dunque, dalle Alpi all’Etna.

A questo riguardo, sul libro “Ambiente Delitto Perfetto”, sono dedicati intensi capitoli: se qualcosa di buono in questi anni è stato fatto in favore dell’ambiente è stato grazie alle lotte dei Movimenti (sulla pace ci siamo affievoliti). I Movimenti sono l’emblema della Resistenza. Purtroppo anche loro hanno commesso errori, alcuni imperdonabili, come all’indomani del referendum acqua-nucleare: una vittoria clamorosa buttata alle ortiche, una occasione storica perduta e irripetibile, non hanno saputo/voluto diventare soggetto politico di governo nazionale dei Beni Comuni, hanno subìto una sconfitta epocale… Restano la nostra speranza di resistenza? Anche questo è trattato nel libro, al quale necessariamente, a tempo scaduto, vi rimando.

Lino Balza

Medicina Democratica Movimento di lotta per la salute Sezione provinciale di Alessandria.

 

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