PIEMONTE. Ventiquattromila non autosufficienti senza cure


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Le associazioni: “Sono Lea, la Giunta finanzi le convenzioni”

di Andrea Ciattaglia

Fondazione Promozione Sociale. CSA – Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base

I dati delle mancate cure delle Asl piemontesi ai malati non autosufficienti sono “da allarme rosso e fotografano una situazione di carenza di servizi regionali che si scarica direttamente sulle tasche dei piemontesi e ha come effetto diretto immediato la fatica quotidiana di decine di migliaia di famiglie con uno o più malati non autosufficienti“. Questo il commento a caldo della Fondazione promozione sociale e del Coordinamento sanità e assistenza CSA sui dati diffusi dalla Regione Piemonte nel documento preparatorio al nuovo Piano socio-sanitario, che ha ufficializzato 24mila casi di cure negate ai malati non autosufficienti (14mila prestazioni domiciliari, circa 10mila ricoveri in convenzione) da parte delle Asl piemontesi.

Si tratta della conferma che le Asl escludono dalle cure migliaia di cittadini piemontesi malati gravissimi, molto spesso con demenza e in ogni caso gravissime menomazioni della loro autonomia, in base a illegittimi criteri di limitazione del fondamentale e universalistico diritto alla tutela della salute.

Uno dei nodi critici della questione, secondo le associazioni di tutela degli utenti, è il permanere di una “confusione istituzionale” a tutto danno degli utenti. “I non autosufficienti – ha osservato Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione promozione sociale sono malati, a tutti gli effetti competenza del Servizio sanitario. Sorprende che ancora si utilizzi strumentalmente il concetto di integrazione socio-sanitaria per escludere proprio la competenza delle Asl: i dati sugli esclusi dalle cure sono nella parte di documento regionale relativa alle politiche sociali, mentre tutti coloro che non ricevono le convenzioni hanno chiesto l’intervento all’Asl, come previsto dai Livelli essenziali delle prestazioni Lea, quindi sono materia sanitaria“.

Sullo sfondo un “gioco dei ruoli” in Giunta regionale che vede l’assessore alle politiche sociali Maurizio Marrone (FdI) fare da scudo al suo collega di partito alla Sanità, Federico Riboldi. “Lo ammette pubblicamente lui stesso – dicono gli osservatori del settore – le misure varate dal settore del Welfare, come i contributi europei di ‘Scelta sociale’, sono tamponi provvisori e non certo risolutivi, sostitutivi della sanità piemontese che non fa la sua parte“.

Già, perché a livello nazionale, lo stesso sottosegretario alla Sanità, Marcello Gemmato, ha recentemente ricordato in un question time alla Camera che il Fondo sanitario nazionale è deputato a finanziare le sole prestazioni sanitarie rientranti nei LEA per come individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 (in particolare,l’articolo 30), che definisce i livelli essenziali di assistenza”. E proprio l’articolo 30, fanno notare le associazioni di difesa dei diritti degli utenti, definisce senza ombra di dubbio e senza nessun’altro vincolo all’accesso che “i trattamenti di lungoassistenza, recupero e mantenimento funzionale”, tra i quali rientrano i ricoveri in Rsa, “sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 50 per cento della tariffa giornaliera”, cioè che sono tutti in convenzione con Servizio sanitario. Altro che 24 mila fuori dalle cure!

Sul concetto di integrazione socio-sanitaria, secondo le associazioni, è giunto il momento di fare chiarezza in modo definitivo: “Se i servizi valutano i malati non autosufficienti che chiedono quote sanitarie o assegni di cura con i criteri dei Servizi sociali (Isee e selezione in base alle condizioni del nucleo famigliare), che è l’unica forma concreta di ‘integrazione socio-sanitaria’ effettivamente praticata, viene meno l’universalismo del Servizio sanitario e si generano le liste di esclusione dai servizi, che per edulcorare un po’ la pillola vengono chiamate ‘liste di attesa’. Non lo sono affatto, perché nessuno dei malati in lista sa quando avrà la prestazione, come avviene per le liste di visite ed esami. In questo caso l’intervento è rinviato sine die, senza alcuna indicazione di attivazione, e spesso i malati muoiono senza convenzione sanitaria, pagando di tasca propria l’intera retta”.

Ma quel che è ancora più allarmante è che nel documento della Regione preparatorio al Piano socio-sanitario, nella sezione riguardante i malati non autosufficienti, è scritto che “non è realistico attendersi risorse aggiuntive significative per colmare il divario tra i bisogni assistenziali e le risorse disponibili, né dal fondo sanitario né da quello sociale nazionale”. Una dichiarazione di resa senza condizioni della Giunta Cirio, insomma, che non risulta avere nemmeno provato a chiedere in sede nazionale un aumento degli stanziamenti per garantire i Livelli essenziali delle prestazioni, né sul fronte delle convenzioni sanitarie, né su quello della spesa sociale per le integrazioni economiche delle quote alberghiere.

Di qui la domanda inviata dalle associazioni degli utenti alla Giunta il 5 maggio: “Presidente Cirio, assessore Riboldi, dove sono questi soldi sanitari dei cittadini piemontesi? Cosa state facendo delle loro risorse? E se mancano, cosa state facendo per ottenerle?

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