Roma, il costo ambientale ed economico del nuovo inceneritore

Il 18 maggio scadrà il bando pubblicato dal comune di Roma per assegnare i fondi per la costruzione dell’inceneritore cittadino. L’impianto sorgerà a Santa Palomba, un’area all’estrema periferia sud-orientale romana, al confine con i comuni di Albano Laziale, Pomezia e Ardea; il sito è collocato al chilometro 17 della via Ardeatina, vicino all’area industriale di Pomezia allo e stabilimento della Johnson & Johnson. Una volta costruito occuperebbe 99.779 metri quadri, e si troverebbe novecento metri a nord ovest del Villaggio Ardeatino, un insediamento abitativo che ha già di fronte a sé la discarica di Roncigliano, nel comune di Albano laziale, che fino a poco tempo fa ha raccolto i rifiuti provenienti da Roma.

Dopo la chiusura della discarica di Malagrotta nel 2013, Roma è alla continua ricerca di spazi per depositare la spazzatura che produce. Dopo l’annuncio a sorpresa del 2022, il sindaco Roberto Gualtieri sembra sempre più convinto che l’inceneritore di Santa Palomba sia la soluzione per risolvere lo storico problema dei rifiuti prodotti dalla capitale, mentre chi si oppone fa notare che si sta sacrificando l’intera area, destinandola al trattamento dei rifiuti vista la vicina presenza del già citato sito di Roncigliano. In un volantino del coordinamento contro l’inceneritore di Albano vengono poi messe in discussione altre affermazioni del comune, come il basso impatto delle emissioni e i tanti benefici per la popolazione, mettendo in evidenza che un inceneritore lega la città per decenni alla necessità di reperire rifiuti indifferenziati da bruciare. Intanto la mobilitazione contro l’impianto continua, nonostante la giustizia amministrativa abbia finora respinto i ricorsi presentati.

Il bando affida il progetto secondo una forma di partenariato fra pubblico e privato in cui l’investimento iniziale viene recuperato durante la gestione della struttura finita. Si vuole realizzare un impianto da seicentomila tonnellate di rifiuti all’anno (per avere un termine di paragone si può tenere presente che nel 2019 il più grande d’Europa arrivava a un milione di tonnellate all’anno) con annesse delle strutture che costituiscono la cosiddetta “impiantistica ancillare”. Il valore della concessione è di 7.432.700.000 euro per trentatré anni e cinque mesi complessivi, e prevede un investimento iniziale 946.100.000 euro.

Sul sito del comune, oltre al bando, è disponibile già molta documentazione tecnica dell’unico Raggruppamento temporaneo di imprese (Rti), capeggiato dall’Acea e che coinvolge aziende come Hitachi e Suez, che ha per ora manifestato interesse a costruire l’opera. È il caso di ricordare che l’azionista di maggioranza dell’Acea, l’azienda ex municipalizzata che gestisce anche la distribuzione di acqua ed energia in diverse aree dell’Italia centrale, è proprio il comune di Roma.

Scorrendo i documenti si scopre che il sito verrà chiamato Parco delle risorse circolari e che si prevede la costruzione di canne fumarie alte ottantacinque metri. La relazione idrologica e idraulica riconosce che dopo i lavori la maggior parte dell’area interessata (79.479 metri quadri su 99.779) verrebbe impermeabilizzata. In un altro documento si propone una stima delle emissioni annuali (CO, Total Organic Carbon, NOx, SO2, NH3) pensando a un uso continuativo (8.200 ore all’anno) e a pieno carico dell’impianto, e si cerca di dimostrare che rispetto al totale prodotto a Roma si tratta di quantità modeste. Si stimano poi 34.500 tonnellate annuali di rifiuti ancora da gestire dopo la combustione fra trattamento dei fumi, delle ceneri, dei materiali ferrosi e non ferrosi. Questo è uno dei punti più delicati nella gestione di un simile impianto: di solito l’incenerimento lascia circa il venti per cento di residui sotto forma di ceneri (pesanti e leggere) che devono essere poi ancora trattate o tramite un conferimento in una discarica speciale o riutilizzandole per altri scopi, come la produzione di cemento.

Per capire meglio quali sono le prospettive di chi si candida alla costruzione della struttura di Santa Palomba conviene dare un’occhiata alla situazione attuale. In questo momento l’Acea, tramite la società Acea Ambiente, gestisce due impianti di termovalorizzazione dei rifiuti: San Vittore nel Lazio (provincia di Frosinone) e Terni in Umbria. Il primo è dotato di tre linee di incenerimento per una capacità massima di 397.000 tonnellate di rifiuti all’anno ed è più simile a quello previsto a Roma; il secondo, dedicato all’incenerimento di rifiuti cartacei, può trattare 100.000 tonnellate all’anno.

Nel 2019 è stato approvato dalla Regione Lazio l’ampliamento dell’impianto di San Vittore con la costruzione di una quarta linea che porterebbe la capacità a 447.200 tonnellate all’anno. Un intervento previsto dal piano rifiuti approvato dalla giunta Zingaretti e che invece non prevede la costruzione di un inceneritore a Roma, possibile solo dopo il conferimento al sindaco di Roma Roberto Gualtieri, da parte del governo, di poteri speciali in qualità di Commissario per il Giubileo del 2025 (anche se i lavori per l’impianto di Roma non finiranno entro quella data). A San Vittore si trattano rifiuti speciali considerati “non pericolosi”, come i fanghi risultato di processi di depurazione delle acque reflue o i rifiuti prodotti da attività industriali che conterrebbero un basso livello di inquinanti. Secondo la dichiarazione ambientale dell’azienda del 2023, al momento l’impianto funziona solo usando il Combustibile solido secondario (Css), risultato del trattamento meccanico-biologico dei rifiuti indifferenziati. La combustione viene comunque favorita dall’uso di gas metano, soprattutto in alcune fasi, come l’avvio. La quantità di gas usata però non è marginale: secondo una tabella contenuta nella stessa dichiarazione ambientale nel 2022 sarebbero stati usati 3.422.682 standard metri cubi di gas (Sm3, una misura che stabilisce la quantità di gas presente in un metro cubo a condizioni standard, ossia con una pressione di 1,01 bar e una temperatura di 15°). È opportuno ricordare che negli ultimi anni questi impianti di trattamento (Tmb) che preparano i rifiuti per l’incenerimento nella zona di Roma sono andati più volte a fuoco, e spesso non hanno ripreso il loro funzionamento. A meno che non si vogliano conferire all’interno dell’impianto pensato per la zona di Santa Palomba i rifiuti tal quali (perdendo però efficienza nella combustione, visto che verrebbero inceneriti anche rifiuti con meno potere calorifico, anche solo perché umidi), il problema della gestione dei Tmb si ripresenterebbe.

Tornando a San Vittore, nella stessa dichiarazione ambientale si legge che l’azienda riconosce al comune un indennizzo per l’impatto della struttura sul territorio (il sito è attivo dal 2002), a fronte anche delle entrate derivanti dalla vendita dell’energia prodotta. Sul sito dell’azienda sono presenti i dati sulle emissioni che risultano molto al di sotto dei limiti di legge. Il problema è che in molti casi mancano dei dati alternativi a quelli forniti da chi gestisce gli impianti. Inoltre, bisogna tenere a mente che i limiti imposti dalle normative non sono garanzia di innocuità, soprattutto per inquinanti che sono in grado di accumularsi nel corso del tempo all’interno degli organismi viventi. In generale, le tecnologie da usare per costruire un impianto di questo tipo sono indicate a livello europeo come Bat (Best available technology o techniques): non sono né prescrittive né esaustive, ma richiedono che, anche usando altre tecniche, si arrivi a uno standard minimo di protezione ambientale. Stabiliscono i valori di riferimento per le emissioni e per la produzione di energia. Per esempio, stabiliscono che la misurazione per stabilire la presenza di alcuni inquinanti (come gli ossidi di azoto) deve essere fatta in continuo mentre per altri (come le diossine o il benzo(a)pirene) si può fare con una frequenza più bassa. Stabiliscono anche quali sono le tecnologie a cui ricorrere per ridurre le emissioni, come gli scrubber a base di acqua, per ridurre i metalli nei fumi in uscita da una ciminiera o i filtri a manica.

Proprio il consumo d’acqua è un altro punto centrale, soprattutto in un momento storico in cui la sua disponibilità sembra essere sempre meno garantita anche in zone in cui finora il problema è stato poco sentito: per far funzionare un inceneritore, l’acqua serve sia per il raffreddamento dell’impianto sia per la gestione dei fumi, oltre che per le necessità del personale. Per esempio, nell’impianto di San Vittore nel 2022 il consumo è stato di 251.264 metri cubi. Per avere un termine di paragone si può esaminare il consumo d’acqua dell’inceneritore di Brescia gestito dall’azienda A2A che tratta circa 700.000 tonnellate di rifiuti all’anno. Nella dichiarazione ambientale l’azienda sostiene di essersi impegnata nel ridurre il consumo d’acqua che comunque ammonta a quasi 700.000 metri cubi all’anno, prelevati soprattutto da pozzi. Il termovalorizzatore di Brescia ha la particolarità di portare acqua calda in città grazie alla rete di teleriscaldamento. L’impianto di Acerra in Campania, gestito sempre dall’A2A, tratta ogni anno circa 730.000 tonnellate di rifiuti, ma con un consumo di acqua molto inferiore (circa 320.000 metri cubi all’anno).

In attesa della conclusione del bando e dell’arrivo di un progetto per l’inceneritore di Roma sembra opportuno continuare ad approfondire i punti critici di un’opera che forse con troppa rapidità è stata definita l’unica possibile soluzione a un problema di lunga durata. (alessandro stoppoloni)

8/5/2024 https://www.monitor-italia.it/

Immagine: disegno di naum

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