Sulle presunte magnifiche sorti e progressive dell’IA

Sommario: Si discute dell’utilità dell’intelligenza artificiale per non parlare della vera questione: il suo utilizzo perverso, in quanto predittivo e previsionale. Per non parlare di un mondo storico governato da un tecno-capitalismo che lo vuole inchiodato ad un eterno presente. Senza scarti, senza politica, senza più uomini.

Apocalittici e integrati?

Ogni ordine sociale e politico che si rispetti, anche il più malconcio come quello attuale di matrice neoliberista, necessita per non tirare definitivamente le cuoia di un racconto collettivo di autolegittimazione, che ne esalti le magnifiche sorti e progressive o, più realisticamente, lo faccia apparire come il meno peggio tra quelli esistenti. Il compito risulta alquanto arduo per un tecno-capitalismo occidentale che pare scontare da tempo un deficit strutturale di legittimazione ideologica e costretto ad appellarsi in misura crescente a risorse esterne per costruire un quadro di normatività capace di assicurare obbedienza individuale e collettiva.[1]

Più in particolare, l’occidente collettivo da tempo a corto di buoni argomenti, per effetto delle cattive prestazioni del mercato deregolamentato e capace solo di scagliare anatemi sul “basso” – pentitevi per aver vissuto al disopra delle proprie possibilità! –, da ultimo sta battendo il chiodo in modo quasi ossessivo sulle mirabolanti imprese della cosiddetta “intelligenza artificiale”. Tanto da far sospettare, per l’intensità e la reiterazione del tema, che si stia allestendo l’ennesima cattiva teologia di completamento, a fronte di un paradigma socioeconomico, quello neoliberista per l’appunto, che fa acqua da tutte le parti.

Una spia della deriva fideistica di quest’ultima narrazione a cui stiamo assistendo è data dalla sua ricezione all’interno del circo mediatico secondo lo schematismo ormai collaudato dello scontro tra “apocalittici” ed “integrati”, nominato con le categorie coniate da Umberto Eco nel corso degli anni ‘60. Dunque, funzionale non ad una discussione basata su argomenti contrapposti piuttosto al conflitto permanente fra tecnofili ortodossi, da una parte, ed epigoni del luddismo dall’altra. È un effetto collaterale che il sistema mette in conto e forse addirittura fomenta. Perché la convenienza per il potere dominante di queste due posizioni apparentemente antitetiche è il comune assunto, sia pure con una tonalità emotiva opposta, della irreversibilità del processo. Si tratta di un caso esemplare di «idee dominanti delle classi dominanti» fatte passare come presupposto naturale inemendabile, laddove è il portato, il posto, di ben determinati interessi economici di profitto e di sorveglianza e controllo politico da parte di una ristretta aristocrazia finanziaria ben decisa a perseverare nel dominio.

Lo storytelling del Giano Bifronte

Basterebbe ricordare alle “fazioni” in lotta che la tecnica è consustanziale all’umano a partire dalla «scena primaria» di quell’antropoide che ha utilizzato per primo un bastone per prendere un frutto dall’albero. Che ha proseguito, ad esempio, con l’invenzione della tecnica della scrittura, che aveva fra l’altro attirato le critiche feroci di Platone nel Fedro per i sui effetti di indebolimento sulla memoria umana. Pertanto il tema da svolgere forse sarebbe, come per l’economia del resto, quello del governo politico della tecnica secondo finalità emancipativi e non al contrario oppressive e di sfruttamento. Come però accennato è nel manico il difetto. In un tipo di narrazione orchestrata dal mainstream, dove l’intelligenza artificiale è presentata volutamente come un Giano Bifronte, capace di strabiliare da un lato ed intimorire dall’altro, con toni messianici alternati sapientemente ad altri più cupi e millenaristici. In effetti come ogni canone teologico che si rispetti. E per imbrogliare ulteriormente le carte si annunciano stupefacenti prototipi di robot sempre più simili all’uomo, nelle movenze e nell’aspetto esteriore (M. Zuckerberg). Quasi ad orologeria, poi, si fanno uscire notizie di prime aggressioni di ingegneri umani della Tesla ad opera dei propri corrispettivi artificiali, solo debordanti in quanto a dimensioni e capacità. E ancora il Fondo Monetario Internazionale, non proprio l’ultima fra le istituzioni di questo «mondo grande e terribile» che stima in una percentuale di circa il 60% la perdita di posti di lavoro per effetto della messa a terra dell’intelligenza artificiale. A chiudere idealmente il quadro l’ubiquitario Elon Musk che dichiara una flotta di navicelle spaziali pronte a salpare per colonizzare Marte, ovviamente a disposizione dei più facoltosi, se tutto dovesse precipitare come pure un certo storytelling pare annunciare.

Detto altrimenti ma in termini di “struttura”, il neoliberismo è in crisi irreversibile ovunque, visto ovviamente dalla parte delle classi subalterne, e l’homo oeconomicus che gli sta sopravvivendo non pare attrezzato per avviare una nuova fase di cui pure ci sarebbe un disperato bisogno. Per cui ci troviamo immersi in un pantano in cui un paradigma socioeconomico, nelle due varianti ordoliberista e neoliberista, non pare più in grado di sostenere lavoro e benessere diffuso ed è alla disperata ricerca di modi di dominio più spicci e pervasivi, che rimpiazzino da subito la vecchia egemonia perduta. Ebbene, tali modi, nella continuità granitica dell’accumulazione, paiono garantiti dall’utilizzo alquanto disinvolto di questi nuovi potenti dispositivi automatici, posti così al servizio di forme di disciplinamento ed obbedienza personalizzate. L’AI è il corrispettivo sul piano interno di quello che la guerra rappresenta sul fronte esterno: l’estrema risorsa materiale ed ideologica da parte di una nomenclatura allo sbando, intenta perlopiù a guadagnare tempo.[2]

Niente di Umano

Per fortuna ci viene in soccorso il vecchio Marx per contrastare tutto ciò. Da buon dialettico ci dice che ogni epoca produce solamente quei problemi che è poi in grado di poter risolvere, in linea di principio. E pertanto in questo procedere di pari passo di pensiero e cosa diventa decisivo l’utilizzo del pensiero critico, che è sempre un risalire dal semplice ed astratto, dell’ordine discorsivo dominante, alla complessità e concretezza del reale come risultato. Così ponendoci sulle tracce di un pensiero criticamente avvertito ci imbattiamo nel fisico e matematico Stefano Isola. Il quale ci spiega nel suo ultimo saggio sull’argomento[3], già opportunamente recensito da Matteo Bortolon, che l’IA di ultima generazione è solo un sofisticato sistema computazionale di calcolo statistico sia pure di potenza senza precedenti. Pertanto non ha niente di umano. Non ha nulla a che spartire col sogno prometeico di replicare il cervello umano accarezzato negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso e ben presto abbandonato posto davanti al mistero dell’elaborazione concettuale.

Dunque, le centinaia di esemplari di intelligenza artificiale che vengono esposti, quasi come in un circo, nelle mostre e fiere di mezzo mondo oppure si mettono in funzione nella forma impalpabile degli algoritmi, sono in realtà un concentrato di potere statistico e basta. A cui sempre più spesso erroneamente si attribuiscono compiti predittivi e previsionali che non sono assolutamente nel proprio DNA. E’ qui sta il raggiro che si sta perpetrando nei confronti dell’umanità. È in questo umano, troppo umano riorientamento nei modi di utilizzo, allo scopo di obbedienza e profitto (non certo nella intelligenza artificiale in quanto tale), che si annidano i principali rischi e le incognite per l’umanità.

Un automatico farsi uguale delle cose e degli uomini

Il tema non è l’utilità dell’AI, che è fuori questione, piuttosto del suo utilizzo perverso: predittivo e previsionale. Si tratta infatti di un esclusivo formidabile strumento statistico che può accompagnare proficuamente e sgravare i compiti e gli obiettivi dell’umano, ma non è in grado minimamente di rimpiazzarlo nelle decisioni ed intenzioni, che si ridurrebbero in questa maniera a mera medietà statistica; perché strutturalmente incapace, l’algoritmo, di una razionalità libera nel fine, essendo bloccato «nella ripetizione conformistica di ragionamenti che traggono dal passato, che proiettano linearmente nel futuro ipotecando, nel frattempo, il presente»[4]. E invece assistiamo ad un utilizzo improprio crescente, come normatività predittiva personalizzata, pur non avendone le pur minime caratteristiche strutturali per riuscire. In proiezione futura, se non si interviene collettivamente sui fini, ne risulterebbe un mondo umano inchiodato ad una dimensione di eterno presente riprodotto su basi statistiche senza imprevisti, un automatico farsi uguale delle cose e degli uomini. Senza possibilità alcuna di salti politici e cambiamenti paradigmatici. Ed allora si potrebbe inverare quello che Leopardi sarcasticamente aveva già battezzato come «il fortunato secolo delle macchine […] per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate che si vanno tutto giorno accomodando a tanti e vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine trattano le cose umane e fanno le opere della vita».[5] Insomma, senza più l’uomo.


[1] L. Boltanski-E. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, 2014.

[2] W. Streeck, Tempo guadagnato, 2013.

[3] S. Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale, 2023

[4] C. Galli, Democrazia, ultimo atto?2023

[5] G. Leopardi, Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi, in Operette Morali, 2014

Salvatore Bianco

23/4/2024 https://www.lafionda.org/

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