Vedo tutto, ma che ci posso fare?

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Ogni giorno verifichiamo uno stato di prostrazione generale crepato solo da atti di maniacale apparente stato di benessere, che nulla ha a che fare con il vivere la quotidianità del lavoro. Un mondo del lavoro vissuto in forma individuale senza interesse per una serie di lotte che lo hanno scosso, mentre le condizioni peggiorano e la disoccupazione dilaga amplificando sconforto e rassegnazione, un disinteresse, accentuato dalla disinformazione e malainformazione, che impedisce di raggiungere la consapevolezza del fatto che quando i lavoratori si mobilitano riescono anche a fermare la corsa verso il dirupo della disperazione e a riflettere sulle divisioni che ci mettono gli uni contro gli altri.

Accomodarsi in una virtuale poltrona e sentenziare masochisticamente: “Mi rendo conto della situazione ma che ci posso fare?”. La risposta, sta nel riuscire vedere quel che ci vogliono nascondere. E’ vero, non siamo noi a decidere i tempi di lotta, spesso riusciamo solo a dare una risposta post danno, ma nel contempo ci dovremmo essere consapevoli che dobbiamo attivamente “sporcarci le mani”, perché comunque ce le sporchiamo col silenzio, dimenticando la nostra condizione materiale che sui grandi numeri ci dice che la ricchezza è detenuta dall’1% della popolazione mondiale.

All’interno di questo quadro l’Italia si distingue per diseguaglianze sociali tra le più crudeli, sul fronte della democrazia politica, della malainformazione e della malgiustizia. Per quanto riguarda la salute, il picco dei 68.000 decessi nel 2015 sono il più importante macroindicatore dello stato di salute di una popolazione sottoposta da oltre vent’anni ad interventi di malagestione e di tagli sulla sanità pubblica, senza dimenticare che il contesto sanitario è il luogo terminale di un processo di debilitazione che riguarda tutti gli aspetti del nostro modo di vivere. Quanto inciderà il voto del Parlamento Europeo che alza di oltre il doppio i limiti per le emissioni di ossido di azoto per i motori diesel Euro 6, portando a 168 mg per km contro gli 80 previsti nel 2007?

In Italia il clima sui luoghi di lavoro, privato e pubblico ormai senza nessuna differenza, sta rapidamente peggiorando: le aziende hanno sempre maggiore discrezionalità nei rapporti di lavoro con conseguenti diritti negati, mobbing, demansionamento, punizioni e licenziamenti. Sono le nuove generazioni ad essere profondamente colpite, nell’immediato quanto nel futuro, se non si porranno oggi le basi per uscire dalla guerra unilaterale al lavoro e dalle politiche di ristrutturazione, come i processi di riforma del mercato del lavoro che hanno disegnato i modelli contrattuali cosiddetti “a tutele crescenti”. Intanto la disoccupazione giovanile è arrivata ben oltre il 45% dei dati ufficiali, in quanto tiene conto soltanto di chi sta attivamente cercando lavoro, trascurando chi vi ha rinunciato.

Altra grande innovazione è definito il “lavoro agile” tramite la collocazione logistica del telelavoro. In realtà si tratta di cacciata vera e propria dalla comunità del lavoro che ha un unico obiettivo: liberare le aziende dai “lacci e lacciuoli”, come vengono chiamati dagli imprenditori i diritti e le tutele contrattuali. Come acutamente si è chiesto un giuslavorista “Se non esiste una sede fissa di lavoro, cosa resta del concetto di orario normale di lavoro? Cosa ne è dei diritti relativi alla reperibilità, allo straordinario, al lavoro notturno, al riposo compensativo? Se le aziende non sono nemmeno obbligate a predisporre gli strumenti di lavoro, su chi pensiamo che ricadranno tutte le altre spese, quelle di luce, riscaldamento, connessione, pasto e via dicendo comunque necessarie allo svolgimento della prestazione di lavoro? Ma ancora più grave: se non si sa quale è il posto di lavoro, cosa ne è del rispetto delle norme di sicurezza e della responsabilità dell’azienda nei confronti dell’ambiente di lavoro?“. Già, che ne sarà della dignità della persona che si troverà a produrre senza essere riconosciuto come entità fisica?

Un Paese in mano a serial killer. Fa rabbia leggere allarmi sulle morti nei luoghi di lavoro solo quando ci sono incidenti mortali eclatanti. Nel 2015, in rapporto alle ore lavorate, sono morti tanti lavoratori quanti nel 2014, ma a non fare notizia è la condizione dei lavoratori: precari, sotto ricatto, sfruttati, che svolgono lavori poco sicuri. Vanno annoverate, nelle analisi sociopolitiche, sindacali e statistiche, anche le condizioni di lavoro nelle strutture sanitarie pubbliche e private che sono strettamente correlate con malattie professionali e aumento mortalità in ospedale. E’ possibile dimostrare la correlazione tra il sovraccarico e le restrizioni dei diritti sul lavoro degli operatori sanitari e la crescita della mortalità in ospedale? Certo che sì, ma siamo ancora agli antipasti di un pranzo di gala per i delinquenti che hanno prosperato con la crisi a senso unico.

Il pranzo di gala sarà rappresentato dal trattato TTIP tra USA e Unione Europea che spazzerà via ogni residuo di vita democratica, di protezione legislativa dell’ambiente, di standard di sicurezza sulla salute, a tutto vantaggio delle multinazionali, a cui verrebbe dato un potere imperiale. Ce ne stiamo accorgendo? Non crediamo proprio nonostante Facebook e i social, spazi e strumenti di discussione per una cerchia ristretta della popolazione italiana. Forse anche questa cerchia ristretta che delega alla rete la propria soggettività relazionale, fisica e intellettiva dovrebbe riflettere, in una società indotta al consumo delle immagini, sull’invasività con cui il potere utilizza l’immagine per condizionare le nostre scelte di vita.

Una riflessione che richiama alla responsabilità dei media che determinano condizionamenti del nostro immaginario, ma richiama anche alla nostra responsabilità di soggetti pensanti. Il web, è una grande risorsa per combattere il potere mediatico del Pensiero unico? Non ne siamo convinti se la considerazione è totalizzante perché è lo stesso invasivo messaggio sulla meritocrazia, considerata dalle retoriche dominanti il rimedio di ogni male e l’unico criterio di giustizia compatibile con l’efficienza e lo sviluppo di una società. Ma, guarda caso, da quanto hanno iniziato a produrre il virus della meritocrazia, come della flessibilità, il mondo del lavoro è stato impoverito e violentato da una crescente corruzione basata sul silenzio/assenso e se prima la povertà riguardava soprattutto gli anziani, ora riguarda anziani e giovani: minori, ma anche quei 20enni e 30enni che non riescono a lasciare la casa dei genitori perché privi di un’indipendenza economica.

Il dramma della disoccupazione di massa, si unisce oggi, da un lato a una crescita dei fenomeni di povertà, anche fra chi lavora, dall’altro a un più ampio senso di precarietà del lavoro. Oggi la deregolamentazione normativa e la frammentazione del lavoro rendono a volte più difficile distinguere chiaramente l’occupato dal disoccupato, riproponendo per alcuni versi la fragile condizione del lavoro salariato della prima metà del Novecento.

Senza ricambio generazionale risulta ovvio lo stato di prostrazione degli occupati vecchi, stabili, e nuovi, precari. Le loro condizioni non hanno più un’attenta lettura da parte delle istituzioni e degli organismi maggiormente rappresentativi in una sorta di non scritta alleanza per modificare nel profondo i rapporti sociali e individuali tra “datori di lavoro” e dipendenti salariati. Quindi nei luoghi di lavoro sono diventate base di programmazione organizzativa anche le intimidazioni (mobbing diffuso) che sul piano della salute fisica e mentale della vittima che li subisce, agiscono come stress, depressione, diminuzione dell’autostima, sensi di colpa, fobie, disturbi del sonno e degli apparati digestivo e muscolo-scheletrico.

Lo Stato ha smesso di essere sociale per diventare un ente che favorisce il mercato e le privatizzazioni. Il governo è contro il welfare e demolisce i principi d’uguaglianza, di solidarietà e di equità sanciti dalla Costituzione. E’ indispensabile rifondare l’idea di una società elementarmente giusta, in una prospettiva di trasformazione complessiva e generale delle condizioni di vita e di lavoro per le classi subalterne, contro e oltre la logica della ricchezza in mano di pochi.

La stessa tutela della salute da elementare diritto costituzionalmente garantito è diventata parametro economico e finanziario. I tagli alla sanità rappresentano la regola amministrativa fondamentale. Il dato reale e drammatico è che la crisi economica e i costi dei servizi sanitari portano moltissimi cittadini a rinunciare alle cure a causa delle difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie, determinata da liste d’attesa troppo lunghe e da costi notevolmente aumentati. Ovviamente a favore del privato, come da programmazione.

Chi difende questo diritto di civiltà viene represso sistematicamente , come nel caso di Gina De Angeli, infermiera dell’Ospedale di Massa , aderente al Collettivo SOS sanità , figura storica nelle lotte per la difesa della sanità e dei lavoratori del settore, condannata per aver sostenuto la lotta delle lavoratrici dell’appalto delle puizie dell’Ospedale, oggetto dei tagli della spending review. Uno dei tanti casi di repressione che nulla insegna a chi dovrebbe sentire sul proprio collo il fiato degli aguzzini anche nel proprio luogo di lavoro. Lo stato di depressione esternato nella frase ” ma che ci posso fare”, non ce lo possiamo permettere. Di fronte allo stato di cose presenti, mai dire: MA CHE CI POSSO FARE, altrimenti si diventa complici inconsapevoli della delinquenza al potere.

franco cilenti

editoriale del periodico cartaceo Lavoro e Salute nel numero di maggio 2016

www.lavoroesalute.org

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